giovedì 29 dicembre 2011

29 dicembre 2004...

7 anni fa (chi leggeva il vecchio blog forse se lo ricorda), montavo sulla mia macchina riempita fino all'orlo e mi incamminavo, da sola, verso la mia nuova vita. Dall'altra parte di quei 250 km avrei trovato il mio uomo ad aspettarci nella nostra prima casa e la mia nuova vita da convivente. Dalla parte che stavo lasciando, lasciavo i miei genitori, mia sorella, i miei amici, un lavoro sicuro e bello e tutta la mia quotidianità e i miei punti di riferimento.
Lasciavo i nonni, la mia camera di ragazza, gli amici importanti...e portavo tutto il resto, TUTTO. I libri, i diari, il materiale artigianale, le foto, i ricordi.
Quel primo di tanti viaggi su quel percorso lo feci da sola, con le mie paure e la mia gioia a farmi compagnia. Con tutte le speranze di una storia più che decennale che finalmente trovava un luogo comune da dividere. Con la consapevolezza che il nido era lasciato e che se le cose non fossero andate bene, in quel nido non sarei più voluta e potuta tornare.
Non me ne sono mai pentita, di quel viaggio fatto 7 anni fa. Mi ha portato lontano da quello che pensavo di volere e nel cuore di quello che ho scoperto di volere. Mi ha portato dentro me stessa. Certo ci son stati momenti difficili, ci son stati momenti in cui quei 250 km son stati un masso sul cuore, momenti in cui avevo bisogno di condividere con gli amici. Ma tutto questo mi ha portato a nuove consapolezze, ad una nuova crescita, ad una evoluzione.
E poi due mesi fa un altro viaggio, un viaggio verso un luogo diverso, caldo, affascinante e sconosciuto. Non più da sola, con l'enorme responsabilità di due figli accanto a me ma con le stesse paure e gioie e speranze di 7 anni fa. Dall'altra parte di questi 4000 e passa km c'era il marito, la nostra terza casa e una vita decisamente diversa. E ho lasciato la mia casa, la mia gente, il mio lavoro artigianale che stava iniziando a crescere, i nuovi splendidi amici trovati in quel posto che all'inizio mi era stato così ostile. Ma stavolta con la consapevolezza che un posto, al mio ritorno, lo avrò ancora. Che troverò qualcuno pronto ad accogliermi con un sorriso, una corsa e un abbraccio, o una sigaretta o un tiramisù col nesquik perché so che il caffé non ti piace.
Voglio ricordarmela, questa cosa. Ricordarmela per ogni giorno in cui mi partirà lo scazzo, o mi sentirò depressa. Per ogni giorno in cui non saprò vedere le enormi possibilità che questa esperienza comporta. Per riconoscere le occasioni di crescita quando, come e dove ci saranno.
Per ricordarmi chi sono, da dove vengo e dove voglio tornare.
Per ricordarmi che 7 anni iniziai un percorso, soprattutto dentro me stessa. E da allora non mi sono mai fermata.

sabato 24 dicembre 2011

de Natale: scazzi e riflessioni

Per tutti gli occidentali e per quelli nati e cresciuti nettamente sopra l'equatore, il Natale è un coacervo di stereotipi talmente radicati da diventare assiomi.
Il Bianco Natale, le renne, il freddo, la tombola, le bucce di mandarino, le riunioni oceaniche di parenti, l'inevitabile incontro annuale con la suocera con la quale magari non parli da un anno (magari).
Insomma tutta una serie di cose che la fra, nata e cresciuta nel cuore dell'emisfero nord del mondo, si è sempre permessa di dare per scontate.
Fino ad oggi.
Un Natale strano, questo.
Da troppo poco tempo qui per essere entrati nel modo di festeggiare autoctono e troppo lontani dall'Italia per rientrare nella consuetudine.
Che poi questo periodo preparatorio prenatalizio qui in casa latana è coinciso con una simpatica ondata di malattie virali, febbri, tossi e relativi spaventi (e buchi) dei patati e con la partenza delle ferie del collega del marito (che significa, oltre alla solitudine, che il marito lavora praticamente il doppio e che quindi non è mai a casa, olè). Il contingente under5 della famiglia esce da 10 gg così e ne consegue che quello over35 oltre ai bacilli gentilmente messi a disposizione dalla figliolanza tutta, abbia avuto un carico di stress e isteria che la fra praticamente ormai parla con la voce di Vanna Marchi, son cose.
La conseguenza più eclatante di questo periodo di rintanamento forzato, scazzo a parte, è che non ci sia stato fisicamente il tempo di comprare dei regali per Natale. No, no, alt. Stanotte ho incartato una ventina di regali per i patati, quelli un po' li abbiam comprati per tempo qui e un po' ce li siam portati dall'Italia (che mamma previdente che sono, eh?). Avremo così regali italiani e regali en français (sostanzialmente libri). E' per noi che non abbiamo avuto il tempo di far nulla. Che poi tra di noi è da quando è nato il principe ereditario che non ce ne scambiamo, per mancanza di materia prima, ovvero di soldi. E quest'anno che i soldi, beh, ci sarebbero tranquillamente, non siamo comunque riusciti a regalarci nulla. E sarà il primo anno in 35 anni che sotto un albero non troveremo nulla per noi...passando, sempre, il Natale in famiglia c'era sempre qualcosa da parte di qualcuno: il solito vassoio dalla zia, il soprammobile dall'altra zia, un libro, un oggetto, una sorpresa.
Sostanzialmente sarà il nostro primo Natale non da figli, solo da genitori. Ed è strano. E fa anche male, perché fingere che non sia così?
Che poi è un Natale sciapo, in canottiera, ancora senza cospicua parte dei mobili (maledetti artigiani ivoriani che n'c'avete voglia de fa 'n cazzo), senza freddo, senza bianco natale... che poi a 30° non vengon bianche le lenzuola, vuoi che venga bianco il natale?
E allora? Allora nulla. Non ci si arrende, in casa latana. E' Natale, Natale sia. Con il nostro albero pieno di luci e pignette e pallette portato in blocco dall'Italia. Senza presepe perché alla fine tanto religiosi in questa tana non si è. Con l'alloco al posto delle frittelle di broccoli e senza torroni e panettoni. Senza aspettare la mezzanotte ché veramente non ha molto senso. Con un calendario dell'avvento che ha comunque scandito l'arrivo di Babbo Natale.
Ma, sopra ogni cosa, con due bambini che domani scarteranno felici i loro pacchetti sotto l'albero.
E ci si rende conto che il resto, davvero, non conta.
Che il tuo scazzo non ha diritto di esistere di fronte alla bambina sfregiata al semaforo, che forse (ed è possibile, se non probabile) è stata sfregiata dai genitori da piccola proprio per andare a chiedere l'elemosina; non ha diritto di esistere di fronte a chi non avrà nulla da mangiare né stasera, né domani, né mai e viene a frugare nella tua immondizia alla ricerca di qualcosa che tu non daresti più ai tuoi figli ma che forse salva la vita ai suoi; non ha diritto di esistere in un posto dove il problema, in molti, troppi, casi, non è non avere i mobili ma non avere una casa;  non ha diritto di esistere di fronte a tutti i bambini che vorrebbero non sapere che domani è Natale e che per altri bambini un signore barbuto e vestito di rosso lascerà dei doni ma per loro no, perché qui c'è chi (e non son pochi) non può permettersi un futuro per i propri figli, figuriamoci un sogno.
E di fronte a queste cose il tuo scazzo deve solo vergognarsi, e tu con lui.
Ed è per questo che alla fine il tuo scazzo lo dimentichi, prendi un respiro di speranza, di futuro, di sogni avverabili, di bambini felici e ringrazi la fortuna, un dio qualsiasi e qualunque cosa ti abbia permesso di prenderlo, quel respiro.
Godiamocelo, davvero, questo Natale.
E godiamoci la suocera, il solito sugodelventiquattrocheèvigilia, il solito vassoio dalla zia che non ricorda di avertene regalati altri 4, il solito casino, la solita nonna che è uscito il 35?, le frittelle o l'alloco, e anche la solitudine di qualcosa che, anche se fuori patria, anche se senza freddo, senza mobili o regali da scartare, è, e resta pur sempre, una tana, un luogo sicuro, chiassoso e felice.
Buon Natale, di cuore.

giovedì 15 dicembre 2011

a noi william e kate ce fanno 'na semplice...

Venerdi pomeriggio scorso, all'uscita della scuola il marito s'è visto recapitare dalla maestra un invito alla festa per i 4 anni di una delle compagne di classe di PRG (la più piccola, suppongo, visto che qui son molto rigidi sull'attribuzione della classe in base all'anno di nascita). L'invito consisteva in un foglietto ripiegato con una cartina disegnata a mano, il numero di telefono e una scritta del tipo "festa dei 4 anni di mariatizietta". Insomma un invito non molto formale, stile festicciola col corollo (per i non maremmani, ciambellone) fatto in casa dalla nonna. Certo, l'indirizzo avrebbe potuto dirci qualche cosa ma noi stiamo ad Abidjan da 1 mese io e 2 mesi e mezzo il marito, quindi...
Quindi.
Insomma sabato mattina, prima di andare al mare (che dista circa 40 minuti di macchina), s'è fatta una sosta in uno dei centri commerciali "da bianchi" (il ché significa buona scelta e prezzi inaccessibili alla stragrande maggioranza dei locali) per comprare il regalo alla bimba.
Ci siamo recati in libreria da dove siamo usciti 10 minuti dopo con 5 libri di favole racchiusi in un cofanetto di cartone con la maniglia (una cosa deliziosa!), chiaramente dopo aver chiesto alla maestra se regalare libri qui è ben accettato (paese che vai...) e aver avuto risposta affermativa (vi amo ivoriani, sappiatelo! in patria sono abituata a farmi guardar male se regalo libri!), il tutto per modica cifra di 12400 franchi, ovvero più o meno 18 euro.
Che la fra, che avrebbe trovato una tale spesa  quasi tristemente ineluttabile in Italia (provati a fare un regalo decente, da solo, ad un bambino con meno di quella cifra...sigh), s'è pure chiesta se per caso non avessero speso troppo, visto che la retta mensile della scuola privata è tipo 35000 franchi (rapportato all'Italia s'è fatto un regalo tipo da 80-100 euro, in termini monetari)  e che la media della popolazione ivoriana campa con 50000 franchi al mese. Vabbeh, è andata così, speriamo di non mettere in imbarazzo nessuno, ché di fare i bianchi splendidi splendenti non ne ho punta voglia.
Insomma si va al mare ,ok oceano, tempo non bellissimo il ché non ci ha impedito di gustarci l'aragosta (che costava quanto il regalo alla bimba, non ci volevo credere: per quella cifra in Italia ti concedono di sceglierla...poi la paghi a parte ;-D) e poi di volata si torna in città, la fra sale a casa per prendere qualcosa di decente e asciutto da mettere ai patati (ma perché i seggiolini auto non son minimamente traspiranti? dopo un'ora in macchina i miei figli son zuppi di sudore che neanche i minatori belgi) e si riparte alla volta della festa.
Arriviamo in prossimità della meta e ci troviamo davanti un cancello di accesso ad un complesso privato, fortunatamente aperto. Gira gira di qua, gira di là, vediamo i palloncini, accostiamo  e... il signore atto ad accoglierci (o-mio-dio) nella casa fa per aprirmi la portiera (sì, qui lo fanno sempre): lo blocchiamo e il marito gli chiede dove possiamo parcheggiare. Parcheggiamo e lì, in mezzo alla strada,mentre sta per cader giù l'acquazzone del secolo, la fra e il consorte cambiano due- appena svegliati- patati in macchina, sotto lo sguardo dei vigilantes e del signore dell'accoglienza che devon averci presi per matti.
Insomma, ci avviciniamo al cancello della proprietà e già il filo spinato sul muro di confine fa venire qualche dubbio alla fra che il suo regalo possa essere troppo sì, ma troppo poco.
Si apre il cancello.
O-porco-cazzo.
La fra lo dice ad alta voce, tanto sai tu 'na sega di ciò che dico, parlan solo francese.
Di colpo il dubbio sul regalo diventa una certezza.
Di fronte alla mascella slogata dei coniugi la tana c'è una veranda vetrata su tutti e tre i lati, arredata da far paura, con piscina confinante e prato inglese circostante.
Alché anche il marito ha proferito un signorile "cazzo".
E siamo stati fatti entrare.
Entriamo, ammiriamo la veranda, con condizionatore di design e impianto bose per iphone, ipod e i-qualunquecosa e poi ci rechiamo verso l'insopportabile frastuono che viene dall'altra parte della casa.
Dopo aver attraversato un ambiente stiloso ci troviamo in un giardino piccolo ma grazioso con due enormi gonfiabili (uno con l'uomo ragno e uno con barbie, tanto per essere dipartisan) e un improbabile clown, chiaramente nero ma con la faccia dipinta -male- di bianco. Un'incubo degno del migliore Steven King.
Nel frattempo veniamo intercettati dalla mamma di mariatizietta, che mi saluta all'ivoriana (3 baci, se non stai attento finisce che ti limoni qualcuno) e mi dice che è molto felice della nostra presenza. Le rispondo che anche io son felice di essere lì e metto le mani avanti sul mio pessimo francese, alché "preferisci che parliamo inglese?" anche no, merci, torniamo al francese và.
Usciamo in giardino, ci mettiamo seduti sulle classiche sedie di plastica bianca, insieme a tutte le altre mamme...ma noto qualcosa di strano: siamo gli unici ad interessarsi veramente di cosa fanno i propri figli, le altre donne presenti lanciano appena qualche sguardo distratto verso la calca di bambini che gioca, canta e balla lì vicino. Bah, strani 'sti genitori ivoriani, penso io.
Noto anche che qualcuna di quelle signore sta bevendo qualcosa da una lattina  o da un bicchiere di plastica, tempo di girarmi verso il salone e la padrona di casa mi offre da bere, oui, merci, en coca e lei prende una lattina di coca, prende un bicchiere, bello, di vetro, me la versa e mi da in mano la lattina per potermi servire in seguito, da sola, il resto con calma.
Ah.
Improvvisamente mi appare tutto chiaro.
Non sono strani quei genitori ivoriani seduti vicino a me.
Semplicemente, non sono.
Siamo gli unici genitori presenti.
Quelle che ho visto lanciare occhiate svogliate ed annoiate ai bimbi non sono madri, sono nounou, ovvero babysitter, il ché spiega perfettamente il loro atteggiamento e il mio bicchiere di vetro. Il mio senso di inadeguatezza aumenta: non sono sono l'unica bianca presente, ma sono anche l'unica (con l'esclusione della mamma e delle zie di mariatizietta) mamma presente.
Mi lancio allora in una conversazione: "vostre maison est tres tres belle!" "merci" e per farle capire che non è un complimento di cortesia ma che parlo con cognizione di causa aggiungo "Je suis une architecte" "oh bien! mon marit est un paesagist"
Paesaggista? In Costa d'Avorio? Ma, voglio dire, paesaggista? Paesaggista, quindi architetto... e vi potete permettere una casa del genere con bagno di design e le scalette che dalla veranda vetrata scendono direttamente nella piscina? Paesaggista? Porco cazzo, paesaggista. Il mio fegato inizia a far male, chissà perché.
Giove pluvio decide proprio in quel momento di aprire le cateratte del cielo ed entriamo tutti in casa... meglio, penso io, mi confondo nella folla.
Ma anche no, non ci pensare nemmeno. Vengo con la massima gentilezza ma con decisione dirottata verso la veranda, fatta accomodare e a boir? (da bere?) ehm, martini bianco e succo del frutto della passione, merci. Sotto lo sguardo attento del marito, che vuole evitare la scena della bianca ciucca che balla sui tavoli, il padrone di casa mi prepara da bere, mettendo purtroppo poco martini (uff).
Insomma nel salotto buono in veranda si chiacchiera, nel frattempo è arrivata anche la maestra di PRG che conosce le mie difficoltà linguistiche  e improvvisa dialoghi alla "francese for dummies"...essendo vicino all'unica porta di accesso alla casa, ogni persona che entra mi tratta più o meno come fossi l'ospite d'onore: dopo la padrona di casa e sua madre, sono io la prima ad essere salutata e per un attimo ho anche paura che qualcuno voglia farmi il baciamano.
Finito il drink, il padrone di casa, evidentemente dispiaciuto dalla mancata performance di ballerina sul tavolo della sottoscritta, mi chiede se ne voglio un altro: oui ma plus martini s'il vous plaît. Ma sì, sfidiamo la sorte.
Il cocktail della mia vita. Buono da far paura: 3/4 di martini bianco, 1/4 scarso di frutto della passione e ghiaccio. Per un'astemia come me è rischioso, ma cavoli se è buono!!!
Ad un certo punto, poco dopo, la maestra mi fa notare che hanno iniziato a portare la pappa, nel frattempo ha anche smesso di piovere quindi ci incamminiamo verso il giardino.
E allora! v'ho detto che dovete restare in veranda o no?! Il cibo per voi è di là!
Ok, scusa, non avevamo capito. Il motivo sarebbe stato anche semplice da capire viste le premesse ma i neuroni della fra erano a ballare sui tavoli.
Chiaro come il sole che il buffet per noi fosse diverso da quello per le nounou. Per loro eran previste patatine fritte, spiedini di carne, pizza a fette, alloco (banane fritte, un tipo di banane molto meno dolce della nostra che fritte son da orgasmo multiplo), attieké (cuos cous di manioca) e cosine del genere, il tutto in piatti e con forchette di plastica. Il buffet per la famiglia e gli ospiti importanti (cof cof) erano bistecche di agnello, pollo e il miglior alloco finora mangiato dalla fra, il tutto con piatti di ceramica e posate in metallo, non ho indagato se fosse argento ma era possibile.
Io e la maestra (ospite importante anche lei), dopo esserci abbondantemente servite di alloco (spero i genitori di mariatizietta non se ne siano avuti a male, ma l'abbacchio alle 4 del pomeriggio è troppo anche per la fra), decidiamo di uscire in giardino per mangiare, dove possiamo vedere i bimbi; chiaramente appena varcata la soglia ci viene presa la sedia del tavolo buono, sia mai che le nostre sacre chiappe possano poggiarsi sulle sedie destinate alle nounou.
Insomma la festa va avanti tra chiacchiere elementari o più articolate (tradotte dal marito, chiaramente) e arriviamo al "tanti auguri" (cantato in francese, inglese e arabo...mah) e alla torta, anzi alle 3 torte, di tre gusti diversi in modo da venire incontro ai gusti di più o meno tutti. La padrona di casa mi chiede se l'ho già presa, al mio diniego mi chiede di scegliere e me la serve con la posata buona e il piatto da servizio.
Dopo la torta s'è fatta 'na certa: sono circa le 6 e un quarto e sta per far notte quindi, per evitare il tour a zanzarland e di conseguenza a malarialand, più o meno tutti ci avviamo alle rispettive macchine, non prima di aver salutato e sinceramente ringraziato per l'accoglienza che ci è stata riservata e di aver preso dei piccoli regalini per i bambini (un sacchetto per uno, destinato a tutti i bambini, con dentro caramelle e piccoli giochini).
La fra voleva fare una foto alla veranda ma è stata prontamente e decisamente dissuasa dal marito, sai mai come la prendono, magari si offendono, mica posso dire "sai è per il blog", capace che mi prendano per matta.
E così ce ne siamo tornati a casa, con ancora addosso una sensazione di sopravvalutazione e quasi di disagio. Per carità, siamo stati benissimo ma di certo non siamo concettualmente abituati ad essere "gli ospiti importanti", già essere gli unici bianchi fa strano!
La fra s'è sentita tipo Julia Roberts mentre prova a mangiare le escargot in pretty woman: tutti la credevano abituata a quel modo di fare ma lei non sapeva come comportarsi e l'equivalente del famoso "fottute lumachine" era sempre in punta di lingua, con la paura ulteriore di poter offendere gli splendidi padroni di casa in qualche modo.
Insomma siamo sopravvissuti, siamo stati molto contenti dell'invito, ci siamo resi conto di come qui sia netto il confine tra classi sociali e soprattutto del fatto che, se come ci han detto lo standard per una festa qui è questo, i patati difficilmente festeggeranno il compleanno coi compagni...dove li metto i gonfiabili e il pagliaccio in 100 mq di casa?!?

venerdì 9 dicembre 2011

La prima volta non si scorda mai...

Ieri, la prima prova. La prima prova da genitori italiani ansiosi.
Qui si ha un rapporto molto meno ansioso con la malattia e molto più fatalistico con la morte. C'è un tasso di mortalità completamente inaccettabile per un occidentale, non si lotta più di tanto. Anche perché qui c'è di tutto: malaria, tifo, rabbia, tubercolosi, febbre gialla, meningite, epatite, AIDS (che, alla francese, si chiama SIDA)...pensa ad una malattia del cazzo e qui c'è.
Proprio l'altroieri riflettevo sul fatto che siamo nel paese con maggiore diffusione della SIDA al mondo e non si trova una, che sia una, pubblicità sull'uso del preservativo, neanche negli ambulatori privati. E allora mi son detta che qui la morte è qualcosa da evitare sì, ma che si accetta avvenga. Che la SIDA è solo UNA delle cause di morte in Costa d'Avorio. Che ho visto più poliomelitici qui di quanti pensavo ce ne fossero nel mondo e di quanti desideravo vedere. Che la cosa mi fa incazzare a bestia, perché sarebbe bastata una vaccinazione che, evidentemente, per mancanza di cultura, informazione o soldi non c'è stata. Che se per un occidentale l'AIDS è LA malattia, la peggiore della vita, qui la SIDA è UNA DELLE. Che le altre malattie sono ugualmente mortali. Che, anzi, mentre la SIDA ha un periodo di sieropositività senza malattia vera e propria e con accorgimenti e medicine la malattia vera e propria potrebbe anche non arrivare mai, qui ci son malattie come la rabbia, la meningite, il morbillo, alcuni tipi di malaria, la tubercolosi...che sono mortali. In breve, brevissimo tempo. E sono endemiche.
E riflettevo su tutti quei genitori italiani che non vaccinano i figli. Riflettevo su come nel mondo occidentale la sanità sia data per scontata, di come siam pronti a lamentarci di dover aspettare tempo per fare esami diagnostici importanti, per carità, ma che nessuno valuta quanto siamo fortunati ad avere, ad esempio, un programma di vaccinazioni a carico del S.S.N., quanto valgano i vaccini base che ricevono  nostri figli: polio, epatite, difterite, pneumococco, meningococco, epatite, morbillo, parotite, rosolia... quanto tutti questi vaccini diano loro la possibilità di vivere, di stare bene.
Di quanto siamo fortunati, fortunati di essere nati nella parte a nord del mondo.
Di quanto, rispetto a tutto questo, la prevenzione della SIDA abbia poco spazio nella mentalità di chi muore di rabbia. O di influenza. Che a questo punto si concede del sesso senza gommino perché se deve morire almeno se la gode.
Per un'occidentale tutto questo è allucinante.
Per una mamma occidentale che ha un figlio con la tosse da qualche giorno, che nella notte s'è svegliato perché è caduto dal letto ma che si è scoperto avere la febbre, è normale portarlo dal pediatra. Un po' meno, assai meno, decisamente assai meno, normale è essere mandati CON URGENZA a fare l'analisi del sangue per fare il test della malaria.
Ecco. La nostra prima volta. Qui febbre significa automaticamente, grandi e piccini, test della malaria e antibiotico.
E così Mortino s'è beccato il suo primo buco, la sua prima analisi, la nostra prima ora di ansia.
Mi dicono che ci si abitua, quantomeno all'idea.
Vedremo, quattro anni son lunghi.
Ne-ga-ti-vo.
Quattro sillabe di serenità.
Una serenità che una mamma occidentale in patria ha di default.
E che si permette di sottovalutare, si può permettere di sottovalutare.
Riflettere, riflettere, riflettere...

lunedì 5 dicembre 2011

école, culture et intégration

Qui in Costa d'Avorio, oltre agli autoctoni, si trovano, chiaramente, anche abitanti dei paesi limitrofi:  Ghana, Mali, Liberia, Guinea e, nella stragande maggioranza dei casi, Burkina Faso (di cui è originario anche l'attuale presidente, Ouattara). Più raramente, si trovano persone che vengono da più lontano: Madagascar, Tanzania, etc.
Tutto questo fa sì che la tavolozza della pigmentazione cutanea dei Ivoriani sia quantomeno varia: da un color cioccolata calda densa a un color cappuccino, per intenderci (si capisce che ho fame?). Non mancano anche persone nere nere, ma sono rare.
I bianchi, almeno qui ad Abidjan, non sono moltissimi e sono perlopiù francesi (guardati ancora con un discreto astio dalla popolazione locale per via del colonialismo francese) oppure libanesi. In seguito a non so quale momento di agitazione in Libano (ché anche lì non scherzano, quanto ad instabilità politica) pare ci sia stata un'intensa migrazione verso la Cote d'Ivoire, dove attualmente i discendenti dei Fenici vivono e commerciano.
Gli italiani, in Costa d'Avorio, sono poco più di 300 in tutto il paese divisi tra personale diplomatico, persone occupate in missioni umanitarie, turisti oppure anche persone che si sono fermate a vivere stabilmente qui.
I miei figli hanno iniziato a frequentare la scuola poco dopo esserci trasferiti qui. La scelta di mandarli allo sbaraglio subito è stata dettata dalla precisa volontà di farli integrare in un posto che per i prossimi 4 anni sarà, volenti o nolenti, casa loro; di far loro imparare più in fretta possibile il francese (senza il quale qui non puoi fare assolutamente nulla) e di accrescere il loro bagaglio culturale partendo dal concetto di diversità.
Qui in Costa d'Avorio, non c'è nulla da fare, i diversi siamo noi, i bianchi. Siamo quelli con più soldi, con le macchine migliori, quelli che vanno a fare la spesa nei supermercati più cari e forniti, quelli che si possono permettere di fare la spesa senza badare al centesimo.
E, a volte, siamo guardati male, per questo. Generalmente la popolazione ivoriana è molto gentile e tollerante con chiunque sia bianco ma non francese e noi italiani siamo comunque trattati con rispetto ma anche come vacche da mungere (nella loro ottica abbiamo soldi quindi possiamo anche darne a loro, ma questo è un discorso che merita decisamente un approfondimento).
Tornando all'argomento scuola, si è deciso di iscrivere i bambini in una scuola locale, ma privata. Questo principalmente perché la cultura africana è di molto diversa dalla nostra sotto molti punti di vista, tra cui quello della pulizia. E questo non perché la loro cultura sia inferiore alla nostra...semplicemente è diversa, punto. Molte persone vivono nelle bidonville, qui: vagli a spiegare il tuo concetto di sporco a persone nate e cresciute in microcasette con il tetto di bandone e la sabbia per pavimento.
Il marito, mentre noi si era ancora in terra italica, si è girato tutte le scuole private con classi materne e nidi che è riuscito a scovare e alla fine dopo aver ispezionato classi, bagni e insegnanti, ha scelto una scuola che poi abbiamo rivisto insieme.
La scuola dei patati è un complesso scolastico privato con un servizio mensa (di cui i miei figli usufruiranno da oggi) e uno di pulmino (di cui i miei figli non credo usufruiranno mai) ed è per la stragande maggioranza dei casi frequentata da bambini Ivoriani (chiaramente figli di gente ricca o almeno decisamente benestante, vista la retta) con tutte le variazioni di colore già dette, seguiti in numero da bimbi libanesi (che hanno sì la pelle chiara ma decisamente tendente al nocciola, chiarissimo, ma pur sempre nocciola) e poi ci sono i patati.
Mentre il figlio piccolo ha la pelle decisamente virante al nocciola chiaro e la tendenza ad abbronzarsi, come il papà (cosa che li fa passare entrambi per libanesi senza problemi), il figlio grande ha ricevuto, quasi come me (che però ho occhi nocciola e capelli castani), un'enorme eredità genetica slava dalla sua bisnonna: ha una pelle chiarissima, le lentiggini, i capelli biondi e gli occhi di un meraviglioso colore tra il verde e il grigio. Praticamente lampeggia, nel cortile della scuola, esattamente come lampeggio io quando vado a riprenderli.
Questa diversità, che in Italia, mi duole ammeterlo, spesso, anche tra bambini, significa difficoltà di integrazione, qui si traduce in curiosità e affetto (almeno per ora, spero vivamente di non essere smentita). E' capitato che la maestra di PRG, il patato grande, fosse in ritardo e che uno spaesatissimo patato fosse gentilmente invitato ad aspettarla in un'altra classe, con un'altra maestra. Mentre la temporaneità dell'assenza della nostra maestra mi veniva spiegata dall'altra maestra, mio figlio mi guardava confuso e un bel po' sperso. Una bimba della sua classe gli si è avvicinata, l'ha guardato, l'ha preso per mano e se l'è portato a sedere vicino a lei. Sono uscita da lì con le lacrime di commozione e riconoscenza, è stato un gesto meraviglioso e spontaneo.
E' capitato poi, sia nella classe di Mortino (il patato piccolo, e no, non si chiama veramente così, è un soprannome) che, nel cortile su cui affacciano tutte le classi della materna, qualche bimbo mi fermasse, fortemente incuriosito dalla mia pelle chiara e dalle lentiggini e che io, mappamondo alla mano (no, non giro con un mappamondo in borsa, era già lì) gli abbia spiegato da dove vengo e chi sono. Questa curiosità senza secondi fini, nei bambini, è molto stimolante e, a mio parere, è anche sintomo di un'apertura culturale cui noi non siamo molto abituati.
Qualche giorno fa una bimba, fuori dalla scuola mi ha chiesto se fossi la mamma di PRG e si è presentata, dicendomi che è in classe con lui; stamattina, infine, ho sentito una bimba per mano al suo papà, nel passarmi accanto per recarsi in classe, dirgli: elle est la maman de PRG, con tenerezza, come dicesse "lei è la mamma di un mio amico".
Mio figlio non è uno di loro, è evidente. Mio figlio se fosse stato nero come la pece, in Italia, sarebbe stato guardato in maniera decisamente meno curiosa e decisamente più diffidente.
Io direi che c'è da imparare, e riflettere.

venerdì 25 novembre 2011

Il mattino ha l'oro in bocca...

La giornata ad Abidjan, per una famiglia pargoli in età scolare munita, inizia molto presto. Le scuole aprono infatti ad un'ora assolutamente improponibile per un italiano: alle 7 e 45 iniziano le lezioni.
Questo significa più o meno che la sveglia per queste fortunate famiglie suona intorno alle 6, se ti va di lusso alle 6 e 30. Ancora più spesso, vista la totale mancanza di avvolgibili nelle case abidjanesi, è Monsieur Le Soleil a svegliarti verso le 5 e mezzo. Questo tipo di risveglio naturale stranamente non è assolutamente pesante per il fisico: se provate a fare una cosa del genere nel suolo natio tempo una settimana e siete ridotti come un panno swiffer usato. Ecco, qui no.
La cosa più strana per una persona nata al di sopra del tropico è la velocità con cui si muove il sole: alle 7 e 45 di mattina il sole, equatoriale!, è già alto all'incirca a 60°-70° rispetto all'orizzonte, ne consegue che alle 9 qui il sole sia quello delle 11 italiane, ovvero quasi a picco. In pratica qui abbiamo un mezzogiorno che dura 6 ore, checculo eh?
Uscire a piedi per un etranger in questo lasso di tempo è più o meno paragonabile a gettarsi in un altoforno: ci sono modi più piacevoli per morire. La passeggiata massima consentita è di 10 minuti e se proprio non ne puoi fare a meno, altrimenti è meglio uscire in macchina con l'aria condizionata.
L'aria condizionata, vorrei sinceramente inviare un mazzo di fiori al suo inventore! Qui, senza, un occidentale non potrebbe sopravvivere. Tanto per rendere l'idea noi teniamo il condizionatore a non meno di 27° e sentiamo freddo, quando la giornata è più mite si può anche portare a 29° e si sta bene. Se penso che mio padre la metteva fissa in macchina a 18° mi prende uno sturbo :-)
La giornata, come è iniziata presto, finisce anche presto...almeno nella sua componente illuminazione naturale. Abituati come siamo a lunghi e romantici tramonti, qui si resta sempre un po' male nel vedere andare giù il sole velocemente e senza lasciare scie rosse nel cielo: in città lo smog (allucinante) e l'umidità (incredibile) si combinano insieme rendendo il cielo di un indefinito color polvere dietro il quale il sole scende molto velocemente: generalmente da quando si percepisce che il sole sta calando a quando cala la notte passano una decina di minuti, un po' come tirare giù una saracinesca di un negozio: bam! giù! buio! Tutto questo all'incirca alle18-18:30. Ovvero  più o meno come in Italia...peccato che in estate in Italia la luce duri fino alle 21 e qui sia, di fatto, sempre estate (almeno per quanto riguarda le temperature).
Per ora tramonti "oceanici" non ne ho ancora visti, forse si rimedierà a questa mancanza domani ^^
Il far buio presto fa sì che venga naturale anche cenare presto: la famiglia latana cena abitualmente verso le 19 ora locale e alle 20:30-21 i bimbi sono già a letto.
Per quanto riguarda la componente adulta della famiglia, alle 21 e 30 la palpebra scende pesaaaaante e a tutt'oggi ci si chiede come si possa avere una vita sessuale notturna quando l'unica cosa che brami alle 9 di sera è un letto fresco o una partita a burraco coi vicini di casa :-). Ehm, egregio sig. Monti, se facciamo il conto dell'età virtuale,noi a questo punto si sarebbe anche pronti per la pensione, ok?

mercoledì 23 novembre 2011

PREMESSA...

questa avventura inizia parecchio tempo fa. alla soglia dei nostri 30 anni, l'uomo della mia vita buttò lì un "sai potremmo far domanda per andare in un'ambasciata, sarebbe una bella esperienza e si guadagna bene". Alla fra, pargolomunita di fresco, l'idea sembrava talmente lontana che disse "mah, sì, perché no...certo, però ci sono posti e posti", "beh sì, infatti, ecco magari se ci danno tipo la Costa d'Avorio rinunciamo"
quindi 4 anni di domande, esami di riconoscimento linguistico, burocrazia varia, domanda non accettata, domanda rifatta, tempo passato, un trasloco, un altro figlio, finché: "mah, si dovrebbe sapere qualcosa verso marzo, al più tardi..."....passa marzo, passa aprile, passa maggio, nel frattempo passa anche la speranza.
finché a fine luglio...
PIRIPIRIPI PIRIPIRIPI
marito: scusi chi è?
X: Ehm , buongiorno, le volevamo comunicare che lei è il fortunato vincitore di un viaggio quadriennale
marito: sulla AXIOM?
X: Scusi?
marito: no, niente, dica
X: le dicevo che lei ha vinto un viaggio con la Farnesin Airlines
marito: ah, ma lei si riferisce alla mia domanda di prestare servizio presso un'ambasciata, quindi sono entrato in graduatoria...
X: Sì!!!
marito: gioia, gaudio, tripudio, mortaretti e tricchetracche...e quale posto mi è stato assegnato?
X: ehm, sa, lei era un po' in basso nella lista...poi sa, avendo il francese...
marito: si, ok, quale? (fa che non sia il congo, fa che non sia il congo)
X: Costa d'Avorio
marito: checcul...ehm, benissimo! (ommioddio) scusi ma il sito "viaggiare sicuri" dice esplicitamente che è meglio non andare...
X: Quisquilie...non si preoccupi
marito:ah, va bene... e quando dovrò iniziare a prestare servizio?
X: Beh, sa, dovrà: organizzare un trasloco intercontinentale, vaccinare se stesso e la sua famiglia, trovarsi un alloggio, fare le visite mediche per l'idoneità, trovarsi una macchina, fare il corso di preparazione...diciamo che il 27 settembre dovrà iniziare a lavorare lì...
marito: scusi, di quale anno?
X: Ma di questo, naturalmente.
marito: opporcocazz...ehm scusi la linea deve essere disturbata, dicevo: benissimo! mi farete sapere voi il calendario delle cose da fare, immagino
X: ehm, sì, cioè no, non so, le faremo sapere ma in qualche modo ci si organizza, del resto anche noi stiamo facendo le cose un po' di fretta, di solito le assegnazioni si fanno verso febbraio-marzo...
marito: eh già (cominciamo bene). grazie mille e arrivederci

a quel punto il marito era sempre più incediso tra tirarsi una schioppettata, impiccarsi al lampadario di design o farsi una bella insalatina di cicuta fresca.
dopo aver desistito e aver deciso di convogliare le energie suicide all'aiuto alla prepazione di n-mila scatoloni, statole, scatolette, scatoline per il trasloco, il marito è stato risucchiato nel vortice burocratico-organizzativo (passaporti diplomatici, visti, visite mediche, vaccinazioni, corso, reperimento soldi per comprare il necessario, etc) e in quello più pratico-casalingo, come cercare una macchina che fosse in grado di sopportare le strade africane (che non sono esattamente famose per la manutenzione programmata). a tale proposito, chiaramente, avendo scelto il modello di macchina che poteva fare per loro, usata, i coniugi la-tana han girato mezza penisola per andarle a vedere (tipo savona, non so se rendo...) finché l'han trovata a Roma, a più o meno 20 km da casa dei genitori della fra (il remake attualizzato di "lulù, angelo tra i fiori", si direbbe).
e fu così che, il 24 settembre, il marito volò alla volta dell'Africa, dove lo abbiamo raggiunto io e gli eredi circa due settimane fa.
ad accoglierci ad Abidjan, oltre ad un marito visibilmente emozionato, circa 28 gradi e una percentuale di umidità a dir poco imbarazzante.
come inizio non c'è male, no?