mercoledì 25 aprile 2012

di partenze, compere e affetto

Cinque mesi fa, quando la fra è venuta qui, non sapeva proprio cosa aspettarsi.
Si aspettava un mondo diverso dal suo, ma "diverso" è una parola che contiene tante di quelle sfumature che alla fine è una parola che ha senso solo se la prendi in valore assoluto.
Era talmente l'emozione di questa nuova vita, che la fra non si è nemmeno resa conto di aver lasciato il suo paese...ha iniziato a rendersi conto quando ha visto dall'aereo le luci di Abidjan e si è scoperta commossa a pensare "sto andando a casa".
Questa è casa mia, non posso viverla altrimenti. E' dove lavora mio marito, dove i miei figli impareranno a leggere e scrivere, dove forse nascerà un altro bambino (forse).
Quello a cui la fra non era preparata è la strana sensazione del sentirsi stranieri. Il ché, a ben guardare, le è successo anche in maremma, dove per integrarsi ci ha messo 6 anni ma la fra teme che i maremmani siano più chiusi e selettivi degli ivoriani, a questo punto.
Non era preparata ad emozionarsi per l'abbraccio e il "come stai" della signora libanese che vende i dolci e la chiama "chéri"; non era preparata ad emozionarsi per la dolcezza dei bambini; ma soprattutto non era preparata ad emozionarsi per i venditori che ti riconoscono e ti chiedono "mon ami, come stai?".
Sono cose stupide, ma danno perfettamente la misura di come e quanto il contatto umano sia importante. Anche se magari vogliono venderti qualcosa, perché se poi non compri non è che la prendono a male. E lo stringerti la mano per loro significa "ci conosciamo, per me non sei più un estraneo".
Queste dimensioni del contatto fisico, a noi sono ormai del tutto estranee. Che un venditore ti stringa la mano per il piacere di stringertela, da noi non esiste. Che una pasticcera libanese che non ti ha mai visto e conosciuto quando entri nel suo negozio ti faccia sedere, ti offra dei dolci e poi ti abbracci quando te ne vai (e ti saluti abbracciandoti ogni volta che ti vede, da lì in poi) è una cosa che nel mondo occidentale non esiste.
Noi siamo abituati al "vedo, chiedo il prezzo, compro, me ne vado", il tutto nel più breve lasso di tempo possibile. Qui non esiste proprio. Non nelle botteghe o dai venditori.
C'è un posto ad Abidjan che si chiama CAVA, il che sta per Centre Artigianal Ville d'Abidjan. E' praticamente come un mercatino di quelli di natale in alta Italia ma con caratteristiche chiaramente diverse. Al CAVA puoi mangiare (dall'odore fan cose spettacolari, appena vinceremo la paura del tifo forse troveremo anche il coraggio di assaggiare) con due spicci, puoi comprare vero artigianato (ma VERO), trovi di tutto: tovaglie, bambole, maschere, borse, fermacapelli, statuine. Trovi legno, avorio, corno di bue, ottone, stoffa.
Ma trovi soprattutto negozianti che pur vendendo quasi le stesse cose (o almeno lo stesso genere, visto che ogni cosa è un pezzo unico) non si fanno la guerra tra loro. Non ho quello che cerchi? Aspetta vado a chiedere al mio amico qui vicino. Si scambiano le merci, si aiutano. E' il mio stesso modo di vedere l'artigianato: se io non ho quel che cerchi ti mando da un altro del mercatino e sono pure felice se alla fine compri quello che volevi, da lui, piuttosto che un ripiego che poi non avresti mai usato, da me.
Con l'approssimarsi del nostro primo viaggio alla volta del paese natio, chiaramente la fra e il Marito Paziente (per questa occasione ancora più paziente) hanno cercato delle cosine carine da riportare a parenti e amici, con la voglia di condividere almeno per quel poco che è possibile la realtà che stanno vivendo.
E si sono, chiaramente, recati al CAVA. Attrezzati con scarpe chiuse, ché il CAVA è una specie di mini città di negozietti, ma la strada sempre di sabbia è.
E han comprato di che riempire un numero di bagagli superiore a 2 ma speriamo compreso entro i 4. Evidentemente questa spesa non è stata fatta tutta insieme, siamo andati più volte. Appena si è sparsa la voce che avevamo comprato, chessò, 5 bambole...chiunque vendesse bambole o qualcosa anche di vagamente similare, ci chiamava per farci vedere cosa aveva nel suo negozio. Un delirio. E la fra e il MP han capito che se vuoi comprare qualcosa, qui, devi prenderti il loro tempo, non il tuo. Il tempo per farti vedere le cose, per contrattare, per scegliere, per instaurare quel rapporto che alla fine per loro è fondamentale, ma che anche a te, a ben guardare, fa tanto bene al cuore. La pasticcera libanese, quando ci vai, ha piacere di farti assaggiare un dolce, di scambiare due chiacchiere, tiu abbraccia e ti tratta come se tu fossi la nipote (attenta, sei sudata, non prendere freddo con l'aria condizionata). E tu, che tua nonna l'hai lasciata a 4500 km da te, ti emozioni sempre un po' e quasi ti spiace andare via, anche se non parli che un francese stentato, ma c'è la voglia di capirsi, quindi ci si capisce.
Questo amo di questo paese. Non parli la loro lingua? cercano di capirti, perdono tempo con te e se ti scusi di non parlare francese ti dicono "pas problem, ton francaise est meilleure de mon italien". E tu rimani così, stupito e profondamente riconoscente.
E' bello stare qui, è difficile stare qui, ma soprattutto è formativo, stare qui.
Ti mette di fronte a quello che hai sempre dato per scontato, sia nel bene che nel male. Ti pone al bivio tra quello che sei abituata ad essere e quello che potresti diventare.
Pertanto può renderti una persona migliore, come anche una peggiore. Può incattivirti o addolcirti. Farti chiudere come farti aprire. Farti salire i gradini della crescita personale o farteli scendere.
E io mi sono ripromessa di non sopravvivere a questi 4 anni, ma di viverli, sempre e profondamente.




Detto questo, tra poche ore la vostra famiglia preferita (noi, ovvio) prenderà il primo aereo tout ensemble alla volta dell'Italia, per recarsi nella sua tana standard dove la attendono i nonni latana, la suocera, la cognata (che attendono palesemente solo il contingente sotto i 120 cm, della tana ma gli toccherà prendersi il pacchetto completo) e gli amici. Coerentemente con le connessioni e il tempo, la fra cercherà di fermare su supporto elettronico le sue impressioni da ritorno in patria. Un bacione a tutti, a presto!

martedì 17 aprile 2012

stanchezza

Dicono che sia normale, ad un certo punto, provare nostalgia di casa.
Che dopo un po', passato l'effetto novità, passata la sensazione assoluta di pietà, si vedano le cose con occhi diversi.
Che si comincia a diventare intolleranti non tanto verso le persone in sé, quanto per il modo di vivere completamente diverso.
E' che ad un certo punto ti rendi conto che in Costa d'Avorio ci sono quattro tipi di persone: gli ivoriani poveri, gli ivoriani molto più ricchi di te al paese tuo, i libanesi e i bianchi europei.
Che un ivoriano standard è abituato all'idea che deve servirti, se sei più ricco di lui. E lo fa anche se tu gli dici "pas besoin". Ma è abituato anche al pensare che essendo tu più ricco di lui e bianco, tu gli debba dei soldi. Ecco, amico, anche no. Io non ti devo nulla. Se posso e se voglio ti aiuto, altrimenti no. E se io ti do dei soldi spesso invece che farci mangiare i tuoi figli ti vai a comprare un cazzo di telefonino.
Che qui non c'è tutela e un commerciante, piccolo o grande che sia, libanese (che i supermercati son tutti gestiti da libanesi qui) si può permettere di alterare le date di scadenza dei prodotti che vende per non buttarli (mica te li mette scontati, no: cambia la data di scadenza)...prodotti tipo salmone affumicato, mica cereali che si mantengono meglio. Prodotti che io do ai miei figli, come il latte UHT. Ecco. E nessuno dice nulla e nessuno fa nulla. E non c'è nessuno che controlla.
Che qui una cosa a me costa 10 e ad un ivoriano 1 eppure siamo persone lo stesso e io spendendo e vivendo qui assicuro posti di lavoro a guardiani, vigilantes, donne delle pulizie, babysitter, tate, maestre, bidelli, magazzinieri etc.
Che non esiste una tutela, uno stato di diritto.
Che sono sporchi. Mica per mancanza d'acqua, eh. Anche in città, dove l'acqua c'è, non si lavano. E puzzano, ma tanto.
Che ritengono normale che gli scappi da pisciare e lo fanno in strada, davanti a tutti. Con le conseguenze olfattive che sono facilmente immaginabili e con quelle, più nascoste, igieniche.
Che chiaramente, dopo che se lo sono preso in mano, con le mani sporche, non si lavino le mani.
Che chiunque ti incontri in strada con cui tu abbia già parlato anche meno di mezza volta, ti voglia stringere la mano.
Che la tua migliore amica, a quel punto, si chiami Amuchina Gel.

Eppure, di fondo, questo paese mi piace pure. Ma vorrei essere trattata né meglio né peggio di loro. Non voglio che mi si apra la portiera e non voglio neanche aspettare i tuoi comodi per avere qualcosa che mi spetta di diritto.
Mi mette in imbarazzo essere l'ospite bianca ad una festa di bambini, vorrei essere come una di loro.
Vivo qui, mio marito lavora qui, faccio spesa qui, mi curo qui. Questo posto per 3 anni e mezzo ancora sarà casa mia. In un posto che considero casa mia vorrei essere trattata né da ospite di riguardo né da vacca da mungere.
Forse ho solo bisogno di tornare in Italia per un po', tanto per apprezzare un po' di più il mio paese e per accettare un po' meglio questo.

venerdì 6 aprile 2012

Maitresse

La fra quando pensa al termine "maitresse", di primo acchitto non pensa mai alla scuola.
Le viene sempre in mente, chissà perché poi, "paprika", il primo film erotico visto di nascosto con l'allora Fidanzato Storico quando i genitori eran fuori casa. Di conseguenza le viene da ridere a prescindere.
"Maitresse", è evidente, significa semplicemente "maestra".
Ad un certo punto della storia linguistica, almeno in Italia, il termine ha preso anche l'accezione di "tenutaria di bordello", forse perché era quella che, come appunto una maestra,  insegnava alle ragazze "il mestiere" o anche più semplicemente di prostituta. Vai a capire, ma tant'è.
Mentre in  Francia e in tutti i paesi francofoni, la parola maitresse ha quindi questo banalissimo significato, se la usi in Italia tutti ti guardano con fare quantomeno ammiccante alla "hai capito questa sicché che giri che c'ha".
Essendo italiana, la fra, ha sempre qualche momento di sconcerto quando i patati le parlano delle loro maitresse, poi s'aripija e cerca di seguire il discorso.
Ogni classe, almeno fino a tutta la materna, ha due maitresse. Pertanto in famiglia ne abbiamo 4: per l'enp Maitresse C'est pas grave (che adoriamo, tutti, e per la quale non c'è problema qualsiasi cosa accada. Mi son scordata il quaderno. c'est pas grave. mi sono scordata di far fare i compiti all'enp. C'est pas grave. Mi sono scordata il bambino. C'est pas grav...ops. ) e Maitresse Sorriso (che conosciamo meno ma che si chiama come una delle maestre della materna italiana dell'enp e tanto basta a farcela stare simpatica); per Mortino c'è Maitresse Baobab (che è un armadio a 4 stagioni: alta tipo 1 e 90 e robusta) e Maitresse Svampita (che è tanto caruccia ma a vederla non le lasceresti neanche il cane del vicino).
Le maestre hanno sempre avuto un ruolo particolare nella famiglia latana per tutta una serie di motivi:
1. la mamma della fra, nonna latana, è un'insegnante. In pensione, ma chi come lei nasce insegnante, ci muore. Questo ha comportato che la fra è cresciuta vedendo i suoi insegnanti come degni della massima stima e rispetto (una rarità al giorno d'oggi), tranne rarissime ed evidenti eccezioni (tipo quella di tecnica, alle medie, che "non so che ci sto a fare qui che siete tutti cretini e non capite niente", così, come un disco rotto. Finché la fra le ha risposto "guardi che è pagata, per farlo". Nonna latana ancora glielo rinfaccia, alla fra, si sappia).
2. la fra e il marito affidano alle maestre le cose più preziose e belle che hanno e questo rapporto di fiducia ha un peso enorme.
3. la fra e il marito vivono la vita dei figli insieme a loro, partecipando a tutto ciò in cui partecipare è possibile, pertanto conoscono bene le maestre e hanno con loro un rapporto speciale.
Emblematico di tutto questo, è il dare un soprannome alle maestre come lo daresti ad uno della famiglia. L'usanza è nata quando il patato grande ha iniziato a frequentare il nido comunale (ché quello privato lasciamo perdere che mi sale la carogna) e ha avuto da subito due insegnanti di riferimento ben precise. Una la conoscevamo meno perché anche lei aveva un bimbo piccolino, sapevamo che legava molto con l'enp ma la incrociavamo meno spesso, suppongo per problemi di gestiore oraria. L'altra c'era sempre, sempre sempre. Ed era per nostro figlio un punto di riferimento importante. E lo era, principalmente, anche per noi. Era quella che, tolti noi, ci sembrava si occupasse maggiormente di nostro figlio. E poi un giorno il MP (Marito Paziente) disse  "eh PRG oggi cercava Betta" e la fra "beh, è normale, lei è il nostro "allenatore di eroi"", da lì a chiamarla Filottete, "chiamami Fil" (se non avete visto Hercules della Disney - checampateaffà- correte a rimediare) il passo è stato breve. E da allora è sempre stata "Fil". Chiaramente quando dai a una bella ragazza il nome di un satiro, glielo confessi praticamente solo quando stai salendo sull'aereo che ti porta a 4500 km e un continente di distanza. Pare non ci abbia odiato per questo, certo sempre che nottetempo non lanci freccette alla nostra foto. Scherzo, chiaro. Ti vogliamo bene, Fil!!!
Tornando al suolo ivoriano, Maitresse C'est pas grave da qualche tempo è anche la nostra babysitter. Il ché in Italia avrebbe probabilmente fatto scoppiare lo scandalo del conflitto di interessi nella scuola materna della Terra di Mezzo (che alla Terra di Mezzo spesso 'n c'hanno un cazzo a cui pensà).
Qui 'ste pippe mentali non se le fa nessuno. La paghi? ok, va bene. Certo fosse stata la meastra delle elementari, che assegna dei voti, sarebbe stata cosa ben diversa e io per prima non glielo avrei neanche proposto. Ma lei è carina, ci sembra una persona seria, ha un bel rapporto con l'enp (che sa essere di un stronzo, poro fio mio) e da subito si è data da fare per promuoverne l'integrazione all'interno della classe.
Qui il concetto di babysitter all'italiana maniera, o almeno come lo intendo io, non c'è. Maitresse C'est pas grave ha fatto tanto di occhi quando le abbiamo detto che la cena per lei e i bambini era solo da scaldare. Come, anche per me? E che fai, li guardi mangiare? Cioè per me le stesse cose che mangiano i tuoi figli? ehm, sì, e se non le mangi mi offendo pure.
Quando le abbiamo chiesto della sua disponibilità a guardarci i patati una o due sere a settimana, le abbiamo anche detto quale sarebbe stato il suo compenso. Alla cifra ha avuto un lampo negli occhi, ma s'è ripresa subito. Noi la paghiamo diecimila franchi a serata (15euro, sì è da pezzenti, in Italia, lo so) per guardare i nostri figli per circa 2 ore e mezza ma anche 4 se serve, farli colorare, parlare loro francese, controllare che non si facciano male e far loro vedere la televisione francese (e nel caso si torni tardi, anche metterli a letto). Per fare pressocché la stessa cosa (e in più insegnare loro delle cose) con altri 28 bambini per 4 giorni a settimana, 6 ore e rotti al giorno, lei ne prende più o meno cinquantamila. Se la facciamo venire 5 volte al mese si raddoppia lo stipendio. In pratica è come se per un'analoga serata dessimo ad una babysitter italiana 250 euro, cena compresa. Minimo minimo ci fa un altare all'ingresso di casa e si mette a manterci il fuoco acceso come Rea Silvia.
L'unico problema, che poi la fra è sicura di essere l'unica a percepirlo tale, è come chiamarla.
Maitresse C'est pas grave?
C'est pas grave?
Maitresse e basta no, che la fra proprio non ce la può fare, a darle della zoccola.

lunedì 2 aprile 2012

L'amico di Wall-E

Nei mesi (due) in cui la famiglia latana è stata una famiglia bicontinental, il marito ha chiaramente iniziato a prendere contatto con la realtà africana, preparando via etere la fra a ciò che si sarebbe dovuta aspettare: il caldo, l'umido, lo sporco, il modo di vivere completamente diverso dal nostro.
Era tutta una novità. Novità bella, novità brutta.
"Sai il sole ci mette pochissimo a tramontare". E la fra spuntava la voce "tramonti romantici sotto il cielo africano".
"Sai qui ci sono un sacco di libanesi" E la fra aveva la bava alla bocca al solo pensiero di mangiare libanese a du' spicci (che poi mica tanto) quando appena avesse voluto.
"Sai i mobili si comprano per strada" E la fra ha pensato "ma tu' sorella", ma della vicenda si conosce il triste svolgimento.
"Sai c'è tanta povertà". E la fra visualizzava le immagini viste in tv, ancora non consapevole che un conto è vedere da lì e un conto è vedere da qui.
"Sai nei fine settimana si va al mare". E la fra si disperava all'idea di mostrare la sua quantità di pelle al mare, ancora inconsapevole che in terra africana non gliene sarebbe fregato un tubo, della sua ciccia.
"Sai le scuole qui sono un po' diverse, ma ho trovato una scuola dove mandare entrambi i patati." Ok, li hai iscritti? ah, no, aspetti me, ok.
Insomma tutta una serie di "Sai", più o meno importanti, più o meno divertenti, che andavano a riempire la lontananza e il disagio di non poter vivere quelle novità insieme.
Finché un giorno...
"Sai, qui a casa c'è l'amico di Wall-E"
La fra ci ha pensato, s'è scorsa mentalmente il film, ha pensato ad un robottino per pulire casa (wow), a EVE che cerca la vegetazione , al Comandante ciccione, a quello che casca dalla seggiola, perfino ad "Auto", finché arrivata ai titoli di coda, ha ammesso di non avere idea di cosa stesse parlando il marito.
"Massì, amore, l'amico di Wall-E, quello che lo segue dappertutto mentre lui pulisce"
"ehm, questo?"


"Sì"
"Speriamo sia gay"
Non lo era.