lunedì 31 dicembre 2012

31 dicembre 2012



Ha avuto in comune con lei le efelidi e le ha trasmesse al suo primogenito. Ha ereditato anche la sua pelle chiara, delicata e fragile. Ha condiviso con lei l’esperienza di sposare un uomo, un mestiere, delle regole. Hanno mangiato insieme i crauti, il gulaš, le patate in umido e la potica.
Ha condiviso con lei i momenti di gioia, risparmiandole quelli duri, che le avrebbero fatto solo male.
Ha festeggiato insieme a lei compleanni, anniversari, matrimoni, nascite e battesimi.
L’ha vista commuoversi di gioia e piangere di dolore.
L’ha vista perdersi, quando il destino le ha tolto una figlia e le si è spezzato qualcosa dentro, perché sopravvivere ad un figlio è ingiusto e massacrante.
L’ha vista piano piano perdere contatto con la realtà, scordarsi di chi le stava intorno e poi anche di se stessa.
L’ha vista chiederle “e tu chi sei?” e l’ha sentita chiamarla in un attimo di riconoscimento, commossa dalla sua mano che le accarezzava il viso con la tenerezza di un gesto ridato dalla bimba cui lo faceva lei e che ora è una donna.
Hanno avuto in comune il cambiare la propria vita per amore di un uomo, il lasciarsi indietro la famiglia, gli affetti, gli amici, la propria quotidianità.
Le ha accomunate una vita diversa da come se l’erano immaginata, programmata e forse anche un po’ sognata.
Si sono riconosciute nella paura, per lo più atavica e ingiustificata, che accomuna tutte le donne, le compagne e le spose di chi come mestiere serve il suo paese e lo fa credendoci.
Hanno avuto parole, silenzi, lacrime, sorrisi.
Non li hanno più.
E questo, alla fra, fa decisamente male.
Quest’anno, dopo 4 anni, festeggi il tuo compleanno di nuovo con l’amore della tua vita, quello che è morto guardandoti negli occhi e dicendoti che ti amava. Quest’anno mi piace immaginarvi che ballate la vostra canzone: vieni c’è una strada nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu? E state stretti stretti e vi tenete per mano mentre spegni le tue prime candeline da presenza e non più da donna. E mi piace pensare che, ovunque siate, mi stiate guardando e magari alzate il calice insieme a me.
Buon compleanno nonna Tina, mi manchi immensamente…

venerdì 28 dicembre 2012

Adjamé



Al mercato di Adjamé l’aria puzza di sudore, immondizia  e poche speranze.
Al mercato di Adjamé le cose han prezzi decisamente diversi e dipendono dal colore della tua pelle.
Al mercato di Adjamé trovi vestiti, perline, giocattoli, stoffe, prodotti per la casa e tutto quello che ti può venire in mente.
Al mercato di Adjamé se sei una donna bianca è meglio che tu non ci vada da sola.
Al mercato di Adjamé è meglio non far foto.
Al mercato di Adjamé tutto è caotico, confuso, chiassoso.
Al mercato di Adjamé ti rendi conto che non c’è futuro per un popolo che sceglie di vivere in mezzo all’immondizia e pur avendo il cassone a un passo butta per terra qualsiasi cosa abbia in mano: fazzoletto sporco, frutta, cartaccia il tutto solo un sole impietoso e caldissimo che fa fermentare un altro po’ anche la carta, con buona pace della salute.
Al mercato di Adjamé se ci vai in macchina sedicenti poliziotti mettono le ganasce alle ruote e ti obbligano a pagare la mazzetta.
Al mercato di Adjamé la legalità diventa un nome comune senza alcuna definizione dietro.
Al mercato di Adjamé tutti cercano di venderti qualcosa, fosse anche un paio di jeans in cui entra la tua sola coscia destra (forse perché così ne compri un altro paio per la sinistra?)
Al mercato di Adjamé devi contrattare e saper rinunciare alle cose.
Al mercato di Adjamé le mamme tengono i loro figli pieni di moccio in mezzo alla sabbia sporca di qualunque cosa, a giocare per terra tra le pozze di acqua sporca, le bucce di frutta a fermentare e i cassonetti dell’immondizia aperti.
Al mercato di Adjamé hai una tremenda voglia di lavarti le mani dallo sporco e gli occhi dal poco futuro di quei bambini, che ridono felici a due passi dal colera.
Al mercato di Adjamé puoi far felici dei bambini con poco.
Ed è per questo, solo per questo, che la fra e la sua nuova amica Emilia sono andate lì. Han comprato vestitini, palloni, giocattoli da dare ad un centro sociale che li avrebbe poi portati nei quartieri poveri perché andare loro a fare le dame di carità bianche e ricche proprio non era cosa. Tutti carini, incartati col fiocchetto. Perché è Natale per tutti, è stato Natale per tutti. Perché bisogna aver fiducia. Perché bisogna insegnare a questi bambini con gli occhi adulti ad essere bambini. Perché il valore di un sogno o di un desiderio è una cosa inestimabile. Perché il più grande regalo è la speranza. Che qualcosa cambi, che qualcosa si avveri, che si passi dal concetto di sopravvivenza a quello di vita. Perché questi bambini sono bambini e l’unica cosa che hanno di diverso dai miei è la casualità di essere nati in un posto del mondo diverso. Perché potrebbero essere figli miei e ai miei figli io insegno il valore del sapersi sorprendere, commuovere, emozionare. Tutte cose che in alcune zone di questa grande realtà sono impensabili.
Al mercato di Adjamé il futuro, purtroppo, non è in vendita.

lunedì 17 dicembre 2012

Nostalgie



Poi ci son periodi che ti prende nostalgia.
Nostalgia di un posto in cui natale vuol dir freddo e luci e odore di bucce d'arancia a seccare sul termosifone.
Nostalgia di un posto in cui le strenne natalizie parlano la tua lingua.
Nostalgia di un posto dove i bambini si riempiono gli occhi di colori e la bocca di dolcini.
Nostalgia del piumone, del caminetto, di un qualcosa, un qualsiasi cosa che ti dia il senso dello scorrere del tempo.
Qui il tempo non esiste, i mesi si susseguono uguali con la sola interruzione della stagione delle piogge, con la stessa temperatura, gli stessi alberi sempre verdi, le stesse verdure nei banchetti.
E tutte le decorazioni che puoi trovare, e ce ne son tante, in verità, sembrano la pantomima della festa più che la festa in sé.
Nostalgia del cambiamento, dell'avvicendarsi di colori, delle mille e mille sfumature che il ritmo delle stagioni regala alla vita.
Nostalgia di un giacchettino la sera ché comincia a far freddo.
Nostalgia di quel qualcosa di indefinibile che ti fa riconoscere un posto come tuo.
La vita qui sa esser dura, nel suo proporsi sempre uguale, con la sola pietà di qualche giorno di pioggia battente.
Sa essere difficile nel suo proporti ogni giorno la stessa faccia, come la luna.
Nel suo non concederti una pausa, un colore diverso, un odore diverso.
Qui ti svegli la mattina di natale e potrebbe essere marzo o giugno o settembre se non ci fosse un calendario a dare una scansione all'altrimenti non definibile.
E i giorni ti volano via come quelle foglie ramate che vorresti veder andar lontano con un vento che non c'è e quando c'è porta solo acqua, acqua, acqua.
Sembra difficile rendersi conto di quanto sia dura, questa cosa.
Di quanto sia alienante per chi ha un bioritmo basato sull'alternanza ritrovarsi in una lunga estate calda senza fine.
E non è il caldo, no.
È la sensazione di una realtà immutabile, che ti sovrasta, che ti determina, che non lascia scampo.
E rimani sempre, tuo malgrado, con la speranza che domani mattina, al risveglio, vedrai una foglia cadere o un fiore sbocciare lentamente o addirittura sentirai voglia di metterti un giacchetto.
E poi ti alzi, guardi fuori e una parte di te ci rimane sempre un po' male.
È una lunga estate calda, passerà.