lunedì 26 maggio 2014

Conversazioni con Madame Dissout la Graisse. La guerra.



Lo sai, che qui c’è stata la guerra.
Ma la guerra, per te, sono racconti sfocati di chi è rimasto chiuso in casa per mesi o di chi a ricordare gli leggi ancora negli occhi l’orrore e ti racconta quel poco che ha visto e che si sente di raccontarti.

Poi un giorno nella tua strada incontri una persona, una persona che invece c’era e l’ha vista e l’ha vissuta e l’ha subita.
Te ne parla mentre ti massaggia e gli occhi tradiscono ancora la ferita e lo sdegno.

Ti parla di strade con rivoli di sangue, rosso, scuro, secco, portato via dalla pioggia e indelebile nella memoria.

Ti parla di bambini uccisi davanti alle madri solo per esprimere un potere e una supremazia. Uccisi per gioco, per rabbia, per vigliaccheria. Davanti alle madri.

Davanti alle madri.

Il cervello si ferma e l’immagine ti si focalizza sulla retina. Prima di venire qui, e la guerra era da poco finita, hai sognato per mesi bambini uccisi. Dopo il cervello, tocca al cuore fermarsi.

Gli occhi di chi ti racconta questa cosa sono lo specchio del tuo rifiuto, del tuo dolore e della tua rabbia. La sola idea che occhi di madre possano vedere una cosa del genere è in grado di fermarti e farti urlare dentro. Ed è solo l’idea.

Buttavano i bambini dai palazzi, uccidevano le donne.
Basta, ti prego basta. Non vuoi sapere, ma c’è una parte di te che deve sapere. Quei morti meritano di essere conosciuti, da me, da chiunque.

Il terrore di tornare a casa e non sapere cosa ci avresti trovato, chi, se ci avresti trovato ancora la casa. Se avresti trovato i tuoi figli.

Dover passare in strade seminate di morti. E no, mica strade desolate in mezzo alla campagna. Nel mio quartiere, che pure è una zona “benestante e tranquilla”, ammazzavano e bruciavano viva la gente in strada. Lungo la strada che porta in Ambasciata, mi avevano raccontato, c’erano morti e sangue, a terra.

Le chiedi, perché tutto questo?
Non lo sa, e come lei, dice, moltissima gente. Un giorno prima avevamo la pace, il giorno dopo la guerra. Molti di loro non hanno mai saputo veramente perché, c’era stato un problema alle elezioni ma cosa, da un giorno all’altro, abbia spinto gli amici uno contro l’altro rimane qualcosa che sfugge a qualsiasi setaccio razionale.

Negli occhi le vedi ancora un impasto di ferita, paura e incredulità. Ti dice che chiunque, di qualunque credo, colore e idea politica sia, si sporca le mani in questo modo è una bestia, che non c’è comprensione, che non ci può essere perdono.

Le leggi addosso la necessità di imparare a fidarsi solo di se stessa e a contare solo sulle sue capacità e possibilità. Le leggi il disincanto, la delusione, l’orgoglio dello sdegno.

Le leggi la fierezza del rifiuto.

Ed in mezzo a tutto l’orrore che ti ha raccontato, è una cosa bellissima da preservare.

6 commenti:

  1. Non so pensare cosa volesse dire essere presente su quelle strade, un orrore. Difficile restare sani di mente di fronte a tanta ferocia.

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    1. Lo credo anche io. A me atterrisce anche solo il pensiero, di certe cose. Sapere che sono accadute in posti che vedo dalla mia finestra è angosciante, credimi.

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  2. Gli esseri umani sono così stupidi! Questi racconti mi lasciano sempre senza parole perché non riesco a capire il perché.

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    1. non esiste un perché, un perché valido almeno. Mai.
      Le motivazioni stanno nella povertà, nello scarso valore (qui) che viene dato ad una vita umana, nella repressione di vario tipo cui sono stati sottomessi. Questo può solo aiutare a spiegare, ma che difficoltà accettare che sia successa una cosa simile nel posto in cui vivi ogni giorno coi tuoi figli!

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  3. Da madre dico che è veramente un dolore inimmaginabile e devastante. Mi chiedo davvero come si faccia ad andare avanti, dopo.

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    1. me lo chiedo anche io. Non si va avanti, secondo me: ci si trascina. :-(

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