mercoledì 9 luglio 2014

Tornare


Manco dal mio blog da un’infinità di tempo.

Tempo passato a produrre oggetti artigianali per il mercatino estivo a Sboronia, tempo passato a organizzare le vacanze estive italiane, tempo passato a riflettere su questa mia permeante non voglia di tornare in quello che resta il mio Paese.

Tornare è sempre strano, lo è sempre stato. Sempre questa sensazione di lasciare una quotidianità in cui ti muovi bene per ritrovarne una che non ti rappresenta più fino in fondo. Un posto che conoscevi ma in cui non hai vissuto negli ultimi anni.

Anni che sono stati densi. Che ti han visto crescere come mai nessuna università o esperienza prima.

Quando sono partita ero diversa. Più insicura, più irrisolta, più incastrata in dinamiche anche non mie.
Ora mi sento più leggera e più pesante. Più leggera perché so dare alle cose importanze relative, più pesante perché conosco il confronto, perché della vita altrove mi sono sporcata un po’ e porto in giro i miei passi con scarpe piene di sabbia a ricordarmi altri passi, passi più interni, più intimi, più grandi.

La consapevolezza che dovrò tornare a camminare in strade dove non sono da sola, dove qualcuno si aspetta qualcosa da me, dove la mia vita non sia chiusa nella crescita di un nucleo a quattro ma si apra ad una socialità cui non sono più abituata, mi chiude lo stomaco.

Mi fa chiedere se davvero tornare è quel che voglio, o se esista in un altro dove, un dove più adatto a noi, a quello che siamo diventati.

Poi sono arrivata in Italia. E tutto si è fatto strano. Per la prima volta negli ultimi tre anni ho trovato la consapevolezza che questa è casa mia. Che è il posto in cui il mio corpo sta meglio, in cui, se sono pronta ad accettarlo, trovo una maggiore serenità interiore.

È il posto di parole piene di passato, di racconti del presente e di speranze di un futuro in comune con chi amo.
È il posto in cui ogni angolo ha dietro un ricordo e un pezzo di me lasciato in permuta per giorni come questi.

Dentro di me sento mille voci contrastanti tra un’improvvisa consapevolezza di essere alla fine di un cammino e la grande paura di doverne iniziare un altro.

Tre anni fa avrei potuto dire semplicemente no. Mi è mancato il coraggio. E dissi un sì che sapeva di baratro e di bivio. Ma fu una scelta.

Tra un anno mi aspetta qualcosa che non è un bivio ma è un uscire da una lunghissima galleria e ritrovarsi improvvisamente in un posto che dovresti conoscere e che invece non è più il tuo. E che soprattutto non è una scelta.

Mi aspetta un ricominciare nello stesso posto e con le stesse persone che ho lasciato tre anni fa, che avranno sulle spalle quattro anni in più, come me, ma quattro anni diversi. Ci sarà da riannusarsi, da riscoprirsi, da ricercare parole comuni.

Mi spaventa il non riuscire a condividere questi anni densi, il doverli banalizzare per renderli comprensibili e raccontabili a chi non li ha vissuti con me. Mi spaventa tornare in una mentalità meno aperta e cosmopolita.
Prima di partire, anni fa, quando vedevo un nero avevo timore. Timore di non conoscerne reazioni e ragioni, essenzialmente. Un timore che non è razzismo, ma piuttosto non conoscenza e inquietudine.
In questi ultimi giorni mi sto muovendo un po’ in giro per l’Italia per abbracciare amici e parenti e mi sono resa conto di come vedermi intorno moltitudini di gente bianca mi turbi. Di come mi senta più serena se trovo anche una persona di colore a portata d’occhio.
E sconvolge me per prima, questa cosa.

In questa Italia che sento mia, che custodisce il mio passato e tiene al caldo i semi che vi piantai anni fa, non mi riconosco più molto.

Sembra un controsenso, ma è così. È un posto che mi appartiene ma che non mi rappresenta più.
Tra un anno ci sarà una prova enorme da affrontare, e fa pazzescamente paura.