sabato 6 giugno 2015

Pensieri sparsi, tra mutamenti e case



Mi prendo tempo per me.

È una cosa che faccio di rado, anche se non sembra.
Sono sempre a fare mille cose tra casa (poco, non sono una grande casalinga), bambini, instamamme, la piscina (che è tempo per me, sì, ma per il mio corpo) e altre mille cose. Perfino quando sfoglio riviste e libri di cucina, ho un secondo fine.

Vado sempre in giro con un fedele quaderno in cui appunto idee, spunti, menù, persone da contattare, cose da fare, argomenti di cui scrivere. Un po’ la mia copertina di Linus, in fondo.

E invece… da un po’ mi prendo del tempo per me. Per i miei pensieri, per gli attimi che mi scorrono davanti, per tutto quello che l’intorno mi regala, per tutte le riflessioni che ne scaturiscono.

Ho cominciato a fumare, per abbattere lo stress e per concedermi quelle pause. Il senso di colpa mi diceva che c’era bisogno di un motivo per fermarsi a fare qualcosa che non fosse dovere, o impegno.
Quelle quattro sigarette al giorno sono i miei pensieri, sono il momento di pausa quotidiano, sono il concedersi di guardare le stelle dal balcone, o i pipistrelli che migrano, insieme al Marito Paziente. Un rito, quasi.

Una strana forma di concessione a se stessi, a ben guardare.
Ma del resto mi sento parecchio strana, in questo limbo temporale che separa l'oggi da una partenza che vorrei non dover affrontare perché non sono pronta, perché è ancora questo il mio cielo, perché i miei ritmi sono settati su quelli di questo angolo di mondo che tre anni e mezzo fa non conoscevo per niente, e che ora chiamo Casa.

Sono a metà tra ciò che lascio, con tutta la pesantezza del lasciare, e il pensiero a ciò che dovrò costruire o ricostruire nel posto da cui sono partita e in cui ritornerò.
Una strana insofferenza nei confronti di una nuova vita che non conosco, ma che è inquinata da ricordi di tempi in cui ero diversa, più fragile, più debole, più chiusa nelle quattro mura del mio pensiero e della mia lingua.

E poi, inizia a fare capolino timidamente una sensazione di voglia di riprendersi uno spazio che porta il tuo nome sopra, di rendere quello spazio lo specchio di ciò che sei ora. La Tana Italiana non ci rappresentava per niente, quando siamo partiti. Era una casa in cui stavamo crescendo i Patati, in cui ci stavamo dimenticando di noi, in cui nulla parlava della nostra vita.
Quando mi chiusi la porta dietro, sapendo che era l’ultima volta prima di partire, non versai una lacrima. Piansi tanto per gli amici e gli abbracci dati prima di chiuderla, alla Terra di Mezzo.

Quello che stavo lasciando era il nostro contenitore, non la nostra Casa.
Quella che lascerò a fine mese è invece proprio la nostra Casa, con tutto quello che implica e comporta.
Ma stanno germogliando la voglia e la necessità di lasciare una traccia indelebile di noi e della nostra storia, in quella nuova Tana. Quella che una volta era “casa” e rinascerà Casa, e noi, probabilmente, con lei.

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