lunedì 13 ottobre 2014

Ultimo



L’ultimo compleanno in maglietta leggera.

L’ultimo Natale a trenta gradi.

L’ultimo anno scolastico con la divisa.

L’ultimo capodanno a brindare tra le palme.

L’ultimo anniversario dicendosi “je t’aime”.

L’ultima festa di fine anno scolastico riconoscendo i propri figli anche a cento metri di distanza.

Le ultime poesie di Natale in francese.

Le ultime lezioni di cucina internazionali.

Le ultime lezioni di acquagym all’aria aperta, tutte.

Le ultime piogge calde.


Ultimo sarà l’aggettivo chiave dei prossimi 8 mesi e mezzo.
Qualcosa che sa di scadenza, di fine, di perdita.
O forse solo di cose da godersi di più.

lunedì 6 ottobre 2014

Leoni e gazzelle



Tutti i giorni in Africa una gazzella si alza e sa che dovrà correre più veloce del leone per non essere mangiata.
Tutti i i giorni in Africa un leone si alza e sa che dovrà correre più veloce della gazzella per non morire di fame.

Tutti i giorni in Africa ti svegli. Non importa se sei leone o gazzella, l’importante è iniziare a correre.

Gli ivoriani devono aver fatto loro questo detto, oppure è stato fatto su di loro, perché molti di loro non camminano, corrono.
Se deve spostarsi dal punto A al punto B, in genere l’ivoriano corre o va a passo diciamo svelto.
È comunissimo vedere gente che corre, qui.

Corre per attraversare la strada, ché qui la precedenza non ce l’hanno i pedoni, ma le macchine (non è uno scherzo, purtroppo).
Corre per prendere l’autobus o il taxi.

Il povero corre, sa che se vuole vendere qualcosa per strada, che sia un giornale o un telecomando, o bicchieri, o un tappeto, dovrà intercettare uno sguardo interessato e rincorrerne la macchina.

Il povero corre, sa che il ricco non ama aspettare.

Quella del correre è un’abitudine da cui distingui il grado nella scala sociale: il povero corre, il ricco non ci pensa proprio.
Il ricco si aspetta che tutti lo servano, e anche in fretta. Sa avere un razzismo umiliante e sgradevole come pochi altri: servile coi bianchi e con i connazionali ricchi, sprezzante con i poveri. Ho visto scene che sarei scesa a menargli.

Quindi tu ti immagini comunque un mondo fatto di ricchi in panciolle e di poveri che corrono.
Ma non è neanche così, in realtà.

Quando dici “correre” di solito intendi anche lo “sbrigarsi”… ecco quello no.
L’artigiano che ti vede interessato ti rincorre anche per cento metri; quando gli commissioni un lavoro avrai davanti a te tempi biblici di attesa.

Il correre è legato al fatalismo e al loro modo di vedere la vita: la vita è oggi, per un ivoriano. Anzi, è adesso. Per cui devo correre e prendere l’occasione o il cliente, ma poi non mi interessa mantenermelo, il cliente, quindi faccio il lavoro male, ci metto un’infinità di tempo, dico bugie.

Un dialogo telefonico tipico:

Marito Paziente: Occhietto vispo, dovevi portarmi la zanzariera un’ora fa!
Occhietto Vispo: Sono per strada, Patron! (è una cosa odiosa, ma non c’è verso di far loro capire che io non mi sento padrona di me stessa, figurati di loro)
Marito Paziente: a che ora pensi di arrivare?
Occhietto Vispo: mah, tra mezzora sono lì! Sicuramente Patron! (e aridaje)

e arriva una settimana dopo. No, aspetta, non è un modo di dire. Arriva veramente una settimana dopo. E no, non viene a piedi. E sì, ha la macchina. E no, non viene dall’Angola, viene da un quartiere di Abidjan.

Quella che capisci a tue spese, dopo 3 anni, è un’importante verità: un ivoriano cui hai affidato un lavoro, dandogli una caparra (anche perché altrimenti non lo inizia neanche, il lavoro) non è né un leone né una gazzella, evidentemente.