Visualizzazione post con etichetta ridere di me. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ridere di me. Mostra tutti i post

giovedì 18 giugno 2015

Chissà quante volte hai riso, tu, di me...



Quando ero piccola mi sarebbe piaciuto essere uno di quei personaggi dei cartoni animati che guardavo tutti i pomeriggi. Non era la capacità di modificare la realtà, ad affascinarmi, non aspiravo ad essere una maghetta o ad avere chissà quale potere.

Volevo la capacità di trasformare me stessa.

Da quella grassottella, con le lentiggini e i codini, volevo sbocciasse una Fra diversa: quella cui sarebbe stata perdonata una caduta, perché alle ragazzine belle e magre si perdona una distrazione, come anche una sonora caduta sul sedere.
Invece rimanevo nei miei kg in più e nella goffaggine che nessuno voleva farmi dimenticare. E stai ben certa che se fossi caduta di sedere a terra non avrei avuto che risate e frecciatine.

Volevo essere quella che ride insieme agli altri, invece che quella di cui si ride, sostanzialmente.
Visto che quel superpotere evidentemente non lo avevo, è stata una strada in salita.
Poi ho capito che la strategia era quella di ridere per prima di me stessa, che significa essere consapevoli di ciò che si è nel bene come nel male, nel figo come nel ridicolo.

Una bella arma, l’autoironia: toglie potere a tutti i denigratori. Da non confondere con la finta modestia, che è lo specchietto per le allodole: se hai un merito o una capacità, riconoscitela apertamente, senza esaltarti e senza sminuirti, altrimenti sì, che sei ridicolo.

Crescendo, mi sono resa conto che quello che ha salvato la mia psiche, e anche, su questo concordiamo sia io che il Marito Paziente, il mio matrimonio, è stata proprio questa capacità di non prendersi sul serio se non quando è necessario farlo. Che si può ridere di ogni difetto, di ogni imprevisto, di ogni propria imperfezione o defaillance.

Ed ho capito che alla fine, per quanto tu possa essere una donna sovrappeso e goffa, dentro di te può esistere quella ragazzina magra che aspiravi ad essere… non serve una magia, basta una risata, di cuore e sincera e al momento giusto, per tirarla fuori.

martedì 7 aprile 2015

Simpatia, portami via



Figlio grande è un Patato, si sa.

Diciamo però che è un patato cosciente del suo sapere e vagamente presuntuoso. Il ché, nella giusta misura non guasta.
Ha una faccia da angioletto e difficilmente potresti immaginarlo antipatico.

Ma lui ci riesce eh, e anche bene.
Saccente e testardo, ti dà ragione solo dopo che gli hai dimostrato che si sbaglia e a volte dopo ulteriori conferme da parte di terzi che è proprio vero che a sbagliare sia stato effettivamente lui e non tu.
Noi lo si percula chiamandolo Patato Granger, non a caso.

Una delle cose che mio figlio ama simpaticamente rimarcare è il suo essere più bravo di me con il francese (cosa ovvia).
Mi corregge accenti, pronunce, nomi, traduzioni.
Insomma, francamente, mi massacra.

L’apoteosi l’abbiamo raggiunta l’altro giorno in macchina, quando la Fra dopo averli presi dalla lezione di inglese doveva incontrare una sua amica per darle delle cose. Ovviamente la Fra non solo non era mai stata a casa della signora in questione, ma non conosceva neanche il quartiere e non aveva quindi molti punti di riferimento.

Insomma ad un certo punto è stato palese che la Fra era un filo in difficoltà e si è decisa a chiamare la sua amica per avere qualche coordinata in più. Dopo un sommo sforzo per capire la sua interlocutrice, la Fra, sudata, ha chiuso la chiamata.

Mamma, allora hai capito dove devi andare?
Ehm, no, amore, non benissimo. Sai lei parlava veloce, io stavo guidando e non conosco molto bene il quart…
Mamma avresti dovuto farci parlare me, così eravamo sicuri che saremmo arrivati. Ora ti perderai, di nuovo.

Più che Patato Granger, da ora lo chiamerò Percy Latana, uff.

lunedì 23 marzo 2015

Madame Fransesca LaTana, Ambassade d'Italie



Amore, vuoi andare a vedere una sfilata? Sono abiti tradizionali!
Wow, che bella cosa, dai! Mi piacerebbe!

Allora, guarda, andrete tu e due nostre amiche dell’Ambasciata. Venerdì 20.
Ah grazie, che bello.

Arrivati a venerdì 20 si scopre che ci sono i biglietti, per andare. Il ché significa che non stai andando esattamente al festival della porchetta, quindi un minimo di dress code ci starebbe bene. Per quanto si tratta di una pomeridiana.
La Fra lo scopre, però, tipo in macchina, casualmente, quando non ha più tempo di cambiarsi. Quindi indossa sandali sportivi, gonna pantalone in pagne (tessuto locale) e magliettina senza pretese. Manco il rossetto o una collana. E vabbeh, si imboscherà dietro. Pensa.

Nel frattempo la Fra scopre che non si tratta tanto di abiti tradizionali quanto di “donne tradizionali”. Le Awoulaba, da cui l’omonima associazione che organizzerà il tutto, sono donne molto formose: grande seno, fianchi larghi e soprattutto un sedere che lo stesso wikipedia definisce ipertrofico. Sono donne che rappresentano la bellezza tipica africana, quella che poi era la bellezza ancestrale un po’  in tutte le culture preclassiche.
La Fra, che in questo deve avere parecchi geni africani, era anche molto interessata a questa cosa: vedere donne con un fisico del genere essere orgogliose di esserlo è una piccola vittoria per tutte le persone, come la Fra stessa, che Barbie non saranno mai. E che la vivono male.

Insomma arriviamo e scopriamo che ecco, no, non è esattamente una sfilata. No. Per niente proprio. Ci viene prospettata l’ipotesi che si tratti di una conferenza. Ah. Qui si va sul difficile, per il francese della Fra. Ma accettiamo la sfida.

Ma diciamo anche che qualcosa a livello di comunicazione non deve essere proprio filato liscio, perché quando entriamo nella sala, veniamo fermamente indirizzati a dei posti speciali, con il cartellino “Ambassade d’Italie”. Ecco no, anche lì.
Non siamo una rappresentanza dell’Ambasciata e non siamo in veste ufficiale, ma neanche un po’. Fattostà che siamo alla sinistra del tavolo delle persone che interverranno e praticamente lampeggiamo, nella sala, perché siamo gli unici bianchi. E olè. Veniamo presentati, fotografati, salutati. Un imbarazzo mortale.

Ed è stato allora che i nostri eroi hanno scoperto che neanche di conferenza si sarebbe trattato, bensì della presentazione del nuovo “tema dell’anno”: il ruolo della donna nella riconciliazione e nell'unità nazionale. Un tema molto bello, a quel punto una conferenza ci sarebbe stata meglio.

Nell’accompagnarla al suo posto, una delle donne dell’organizzazione si è guadagnata l’eterna simpatia della Fra dicendole, tutta sorridente: “ah, tu es une awoulaba aussi!” (la traduzione italiana potrebbe essere, liberamente: “ah, pure te sei una chiattona!”). La fra, che non ha quello che si può definire “un buon rapporto” col proprio corpo, ha sfoggiato il suo miglior sorriso dissimulante odio e si è accomodata. Al caldo.

Ma al caldo davvero: i condizionatori erano rotti. Ora immaginatevi una sala, con tante persone a respirarci dentro, in un edificio sotto al sole cocente africano, in una giornata senza vento, alle 3 del pomeriggio, senza aria condizionata. Il presidente dell’associazione si è scusato dicendo che il giorno prima funzionava tutto, e alla Fra son venuti in mente i disperati tentativi all’esame di urbanistica 1: “ma glielo giuro,ieri la sapevo questa!”.

Dopo un’ora in cui ci siamo sventagliati con qualsiasi cosa e metà della faccia ci è praticamente colata via, grazie signore grazie per non essermi truccata altrimenti finivo la giornata da panda, finalmente sono stati rimediati 4 o 5 grandi ventilatori. Vi giuro, una cosa surreale.

Nell’ora intercorsa tra quando siamo arrivati e l’inizio della cerimonia, abbiamo, dalla nostra postazione privilegiata, tra una foto  e una ripresa, avuto tutto l’agio di guardarci intorno e scoprire meglio questo mondo decisamente per noi inusuale.
Le donne awoulaba danno un nuovo senso alla definizione “tanto”, veramente. Ma sono perfettamente a loro agio e sicure di se stesse. Rappresentano un canone di bellezza tradizionale e lo fanno con orgoglio.
Indossano vestiti colorati, di pagne, con modelli che rendono giustizia al decolté e soprattutto al sedere, vero e proprio punto focale della loro bellezza
.



Hanno abiti da sirena, che mettono in risalto il seno prorompente, la vita più stretta, il fianco largo e il sedere sporgente (ma tanto sporgente). Portano zeppe o tacchi alti, che slanciando la figura esaltano ancora di più la rotondità del sedere. Sono oggettivamente affascinanti e molto, molto, femminili.


Quando, finalmente, la presentazione ha avuto inizio, siamo stati chiamati per nome. Quando l’han chiamata, la Fra era lì che pregava “terra inghiottimi” e si è limitata a sorridere. Praticamente alla fine della serata aveva una paresi, ma vabbeh.

Non vi tedio coi discorsi, di cui comunque avrò capito neanche un decimo per essere onesta, ma ci sono stati anche momenti simpatici, tipo due coreografie con la musica e una cantante: nel primo la cosa notevole erano due ragazzi a torso nudo che ballavano (e sì la pelle nere fa sangue, c’è poco da fa’), nel secondo era il testo della canzone che sostanzialmente diceva “mi sono sposata, sono andata a vivere con mio marito e la mia donna delle pulizie lo guardava, è diventata la sua amante e allora io mi trovo un altro uomo” nel momento in cui diceva l’ultima frase accattava un uomo dal pubblico e ci ballava. Per un’occidentale una cosa da rimanerci con gli occhi appadellati, credetemi sulla parola.


Ad un certo punto, fortunatamente, la presentazione è finita e la Fra ha finito di aver paura che, avendoci erroneamente etichettato come “Ambassade d’Italie” ci chiedessero pure di dire qualcosa. Sarebbero stati bei momenti.

Nell’uscire dalla sala, che con i ventilatori era passata dalla definizione “forno statico” a “forno ventilato”, la Fra è stata re-intercettata dalla simpatica signora dell’ingresso, che sostanzialmente le ha ribadito il concetto, chiedendole di fare da modella per la sfilata di ottobre. Quel dommage! Je vais quitte definitivament la Cote d’Ivoire a la fin de Juin… ci è rimasta male. Lei.

Per completare il quadro “come annientare l’autostima della Fra”, quando la Fra è uscita per fumarsi una strameritatissima sigaretta, è stata accolta da un gruppo di musicisti locali improvvisati che appena l’hanno vista hanno improvvisato un inno alla donna bianca awoulaba.

No, ma non era meglio che me ne restavo a casetta? :-D

mercoledì 7 gennaio 2015

Conquiste, molto in alto



22 dicembre

Ciao, vivi ad Abidjan?

Ciao, sì vivo ad Abidjan.

Dove?

Cocody

Ah, ti va di darmi un passaggio?

Sai, non credo di potere: mi vengono a prendere e la macchina sarà piena.

Gli viene un dubbio.

Ma hai già un marito?

Mostro l’anulare

Sì, sono sposata

Oh peccato! Ecco sono sempre sfortunato!

Fa un po’ di scena da uomo disperato poi si ripiglia e aggiunge sornione

Ma io non sono geloso…

Voglio fare la simpatica

Mannaggia! (schiocco anche le dita) Dai, sarà per la prossima vita!

Mi guarda intensamente, ridendo

La prossima vita potrebbe iniziare dopodomani, se vuoi.

Non ho ancora capito se è stato per il rossetto nuovo, l’evidente felicità del tornare a casa o più facilmente per gli alcolici serviti a bordo.
Bentornata ad Abidjan!

mercoledì 16 aprile 2014

Di Barbie, cani e funzioni corporali



Da brava mamma XY, confesso che l’universo rosa negli ultimi anni mi ha toccato solo di striscio, generalmente a livello biancheria intima e neanche tanto.
L’universo “bambole e giochi di ruolo con bambole” l’ho lasciato tardino, verso i 17 anni, ma pur sempre 20 anni fa.

Negli anni, sempre un po’ da lontano, ho notato le evoluzioni che le bambole hanno avuto nel tempo. Ai tempi miei era tutto uno svolazzo di tulle, sbrilluccichi e cuori a profusione. Oggi anche le bambine, pare, sono più concrete e si illudono meno: quindi meno cuori e più vestiti alla moda, più accessori, più lavori.

Parliamo della bambola per antonomasia, la Barbie.

Le Barbie anni ottanta avevano, oltre a vestiti cuoriciosi, due soli ruoli: la femme fatale e la casalinga. La prima era la versione “prima che m’accatto Ken” (che, porello, diciamocelo, era attraente quando un merluzzo), la seconda era “me so’ accattata Ken e quindi vai di famiglia feliceeeeee”.

Ovviamente continuando a tenere nell’armadio i vestiti sexy, cuoriciosi e accattivanti del pre-merluzzo (del resto scusate, ma a livello sessuale Ken era completamente inutile eh: la vita della povera Barbie era triste assai) (non a caso in tutte le pubblicità era sempre in compagnia delle amiche a organizzare una meta del puttan-tour, mica a casa a cucinare per Ken).

Visto che la famosa biondona era tutta dedita alle interessanti attività ricreative e che la famiglia Merluzzi comprendeva solo lei e il Tristone Impomatato, le venne affiancata una famiglia di amici con lei mora, sguardo meno da zoccola più dolce, innamoratissima e decisamente incinta (erano gli anni della pubblicità della Barilla col gattino, ci stava).

Noi preadolescenti XX degli anni ottanta ricordiamo perfettamente il senso di aspettativa, anche un po’ maliziosa, che la bambola incinta aveva creato: io costrinsi i miei ad ordinarla, per dire (e sì, sapevo essere mooooolto convincente) (non ho perso questa caratteristica) (testimoni possono confermarlo) e rimasi come TUTTE delusissima: la signora Cuore non aveva la panza, aveva solo un paraculissimo vestito premaman che la faceva sembrare incinta. Un epic fail, davvero.

Quindi io ero rimasta con Barbie Insoddisfatta e la Famiglia Cuore, punto.

Negli anni pare si sia scoperto che Barbie avesse tipo una sorella adolescente (che nella sua prima versione era un coso di sesso incerto e nella seconda versione una strafiga da paura) (una cosa che poteva tranquillamente rimpiazzare i cataloghi Vestro nell’immaginario erotico degli adolescenti XY dell’epoca) e anche, perdindirindina, una sorellina piccina.
Vista l’età della bimba e l’età della bionda, se ne deduce che siano figlie di Brooke di Beautiful, che in quanto a fertilità avanzata frega pure Antinori.

Dopo i sedici anni hanno smesso di interessarmi i giochi di ruolo: nella mia vita è entrato stabilmente il Fidanzato Storico (ora Marito Paziente) e francamente non è che si passassero i pomeriggi a giocare a Barbie, suvvia.
Questo per dire che da allora il mio interesse per il mondo Barbie è un filo scemato, per usare un eufemismo.

Ricordo che anni dopo, in un duty free sloveno, io e Fidanzato Storico notammo un discreto allestimento di vestiti per la biondona. Dopo l’iniziale rosicatio, ché la fra i vestiti alla sua barbie glieli faceva con gli scampoli di stoffa, approfondimmo la moda chez la blonde del momento e ci sbellicammo dalle risate quando trovammo (giuro) una guepiere con calze autoreggenti in tulle, bianche e bordate di nero. Barbie Zoccola, l’ultima frontiera.

Pensavo.

La televisione, in questi anni, ci ha mostrato come anche la Biondona abbia modificato il suo modo di vivere: alla figura della femme fatale e a quella della casalinga, si è affiancata una nuova barbie, che rappresentava la “normalità” nell’evoluzione sociale della donna.

Le prime barbie erano donne da esibire o donne dedite alla cura della casa (la cucina di barbie, il letto di barbie, la casa di barbie: tutto gridava casalighitudine), come ancora l’immaginario collettivo vedeva la figura femminile, con buona pace della lotta femminista.
Le donne lavoratrici erano percentualmente poche e quasi tutte facevano le insegnanti o le cassiere o  le modelle. La maggior parte delle madri dei miei compagni non lavorava, per dire.

L’evoluzione della condizione e la presa di coscienza femminile, hanno portato ad una società in cui la donna stessa ha ruoli molto più variegati e permeanti. Tutto questo è arrivato in ogni ambito e anche le bambole, che dovrebbero rispecchiare la società e fornire un modello per le giovani donnine ( ohi ohi ohi), si sono adeguate.
Ecco fiorire allora, accanto alle sempiterne legate al fantasy con improbabili ali da farfalla, figure come Barbie dottoressa, Barbie babysitter, Barbie dog-sitter.

Ecco, parliamone. La novità è proprio in questo campo. Ora Barbie ha anche dei animali. Ma mica il pappagalletto da niente che lo metti e finisce lì.
Oggi la Bionda fa le cose in grande: si prende Pipì e Popò (che io, vi giuro, lo voglio conoscere chi gli ha dato sti nomi qui e stringergli la mano, più che altro perché riesce a farsi pagare per non fare un’assoluta minchia), un gatto e un cane che la fanno, pare che la facciano davvero.

No, vabbeh, chi di noi non ha sognato un cagnolino dimensione più o meno cafard locali che scaghicchi e pisciacchi dans la maison? Ecco. Ma con tanto di giornali che pare si colorino di giallo e marrone, una cosa veramente tres chic.

Se proprio dovessimo per forza immettere nel mondo platinato della Bionda le funzioni corporali, perché non regalare, finalmente, un pisello a Ken? Penso che Barbie preferirebbe finalmente copulare, invece di pulire cacche e pipì, e andiamo su.

E io che mi dannavo per i Gormiti.