mercoledì 30 aprile 2014

FM Awards 2014




Perché dovreste votare le Instamamme ai FM Awards?
Innanzitutto cosa sono i FM Awards, chiederete voi.
FM Awards sta per “Fattore Mamma Awards” e sono un riconoscimento che viene dato  a realtà, iniziative e progetti portati avanti da mamme e papà.

L’anno scorso, ed eravamo online da quattro mesi, arrivammo seconde. Nell’ultimo anno abbiamo ampliato talmente tanto il nostro progetto che la domanda giusta è: perché non dovreste votare Instamamme?
Instamamme, che noi ancora affettuosamente chiamiamo blog, è stato fin da subito un sito e, oggi come oggi, è praticamente un portale.

Una media di tre, a volte quattro, articoli al giorno dedicati alle esperienze, alla condivisione, alle curiosità, agli approfondimenti, alle riflessioni, ai suggerimenti.

Una serie di rubriche fisse, tra cui anche La Tana Africana (come, non ve ne eravate accorti? Correte a leggere anche lì le nostre avventure!), dedicate alla casa e alle esperienze genitoriali.

Una grande varietà di argomenti: dalla bellezza all’attualità, dalla salute alla cucina, dal craft all’astrologia.

Tanti collaboratori con competenze specifiche, tra cui anche  pediatra, omeopata, psicologa, educatrici, insegnanti.

Un disegnatore bravissimo con strisce inedite.

Tante collaborazioni che coinvolgono i lettori, tante iniziative fotografiche, tante occasioni da cogliere, tanti spunti su cui riflettere.

Instamamme è oggi una realtà con quasi centododicimila foto taggate su Instagram, un profilo twitter attivo, una fanpage su Fb costantemente aggiornata sulle novità, un gruppo FB dove poter chiacchierare in maniera più diretta, dovere ridere e sfogarsi, dove raccontare e esprimere i propri pensieri (cercateci!).

Ma soprattutto Instamamme è un gruppo di mamme con voglia di condividersi e coscienza che il confronto sia un modo per conoscersi e aiutarsi reciprocamente.

Quindi, ripeto la domanda: perché non dovreste votarci?

Farlo è semplicissimo: basta andare su www.surveymonkey.com/s/FmAward2014 , noi siamo il progetto 26.
Ovviamente più spargete la voce e meglio è: i vostri voti ci aiuteranno ad arrivare alla finale, dove il nostro progetto sarà sottoposto al giudizio di giurati selezionati da Fattore Mamma.
Scaldate le dita e andate a votarci, dateci ancora fiducia, aiutateci a crescere. L’anno scorso eravamo ancora una scommessa, oggi siamo una realtà concreta e di qualità!
Grazie!

lunedì 28 aprile 2014

Macchine ed emancipazione da se stessi



Vengo da una famiglia con nette divisioni.
I compiti di mamma, i compiti di papà.
Le aspettative di mamma, le aspettative di papà.
La macchina di mamma, la macchina di papà.

Ecco, la macchina.
Nella nostra famiglia, la macchina era qualcosa di particolare: papà guidava entrambe le macchine, mamma solo la “sua”.
All’inizio la macchina del pater familias era aziendale, perciò la cosa era in qualche modo giustificata; in seguito, anche senza macchine aziendali, la cosa è andata avanti così.
Tanto da rimanere sedimentata nel modo di vivere, in casa Latana Senior.

Ognuno è figlio della sua storia e la cfra non è sfuggita a questo modo di percepure l’automobile: lei aveva la sua KA 313, il Marito Paziente la sua Bravo, poi sostituita, con l’avvento del principe ereditario, da una Xsara Picasso che abbiamo tuttora.
Solo che nel frattempo sono arrivati i patati. Metticeli, due bambini in una 313: fai delle contorsioni che manco a pilates, per dire.

E la fra si è arresa: doveva guidare lei la macchina grande.
Un salto epocale nel fra-pensiero. Ed è iniziata così: con timore e riverenza, quasi.

Oggi la fra non solo guida una Jeep ma guida anche macchine altrui, se serve.
Nella fattispecie, dobbiamo aver offeso qualche divinità dei motori, in una delle vite precedenti, si direbbe, serve spesso.
Non essendo concettualmente abituata a guidare macchine non sue, per la fra è uno sforzo enorme.

Un po’ come la prima volta che ha guidato, a 19 anni, con qualcuno a bordo, da Peppaland a Roma, via Raccordo Anulare. Una cosa, il Raccordo Anulare, per una novellina, da far impallidire Caronte, sappiatelo.

Ci ripensavo ieri, a quanto la vita ti cambi e le circostanze ti portino ad affrontare cose che non sapevi di poter e voler affrontare.
Di quanto sia strano vedersi in ruoli e situazioni che non fanno parte del nostro vissuto, che non ci sono state trasmesse via imprinting.
Di quanto sia strano, non difficile ma strano, scardinare le impostazioni mentali base che ci sono state date o che abbiamo maturato da “piccoli”.

A volte l’emancipazione da se stessi passa anche attraverso una macchina non tua da guidare.
Chi lo avrebbe mai detto.

mercoledì 23 aprile 2014

Religioni e libertà.



Una delle cose che amo molto di questo paese è la tolleranza religiosa.
Diverse religioni, tra cui le principali sono la cristiana (con varie sfumature) e l’Islam, ma permangono culti animisti e sono presenti anche Testimoni di Geova, convivono senza (apparenti) problemi, almeno attualmente.
La guerra civile, quella del 2000, ebbe qualche connotazione religiosa, che però non fu presente in quella più recente, che aveva alla base motivazioni esclusivamente politiche.

I musulmani che abbiamo conosciuto ci hanno pregato di non offenderci per il fatto che le donne non potessero dare la mano al Marito Paziente e gli uomini alla fra, poiché la loro religione, a quanto pare, vieta ad un uomo di toccare una donna “che non gli appartenga” (ci sarebbe da riflettere, e parecchio, su questa visione della propria compagna, ma non conosco abbastanza l’Islam per poter fare una riflessione seria, quindi mi astengo) o che non sia sua parente, ma erano davvero timorosi di offenderci, tanto che abbiamo dovuto rassicurarli in tal senso.

Nel quartiere libanese, Marcory, per esempio, puoi trovare sia musulmani che cristiani (in genere maroniti), a diversi livelli di ricchezza, ma con una reciproca e serena tolleranza.
Nella scuola patata si festeggiano sia le feste cristiane che quelle musulmane senza che nessuno ne rimanga turbato e, pensate, non c’è l’insegnamento della religione! E vivono lo stesso!!! Ma wow!

Ironia a parte, da quando sono qui mi chiedo ancora più frequentemente quale sia lo scopo di avere, nelle scuole primarie, l’insegnamento di una religione. A parte il fatto che l’insegnante è, mi risulta, scelto dalla Curia e pagato dallo Stato (se lo pagassero loro, almeno, visto che invece così grava pure sulle tasse di chi non fa religione e mi pare un attimo assurdo), cosa che già in sé la dice lunga sulla volontà di indottrinamento delle giovani menti, ma… perché mai si dovrebbe aver bisogno di fare religione a scuola?
La fede, quale che sia, è qualcosa che deve nascerti da dentro, è una Ricerca. L’unico scopo di un insegnamento (peraltro a senso unico, visto che si parla sempre e solo di una religione, soprattutto a bambini piccoli) del genere in tenera età è di creare persone non abituate a porsi dubbi, che siano abituate a pensare la religione in un certo modo: un bambino di 6 anni, ma che capacità critica ha?

Avevo già parecchi dubbi prima, ora, dopo la nostra serena esperienza qui, non ne ho proprio più: i miei figli non faranno religione, a scuola, quando torneremo in Italia.

Non la faranno perché non è il luogo adatto, perché, nel caso lo ritenga necessario, voglio essere IO a cercare la persona adatta a parlare con loro di certe cose, perché la spiritualità è una cosa e la religione un’altra ed è bene che lo sappiano, che non credano che non riconoscersi in una qualche forma religiosa sia indice di pochezza o di peccato. Perché per parlar loro di bene o male non devo per forza citare un Vangelo o un qualsiasi testo sacro.

Non voglio che cerchino di soddisfare criteri di appartenenza, non voglio dare loro un percorso nel quale non sono pronta ad accompagnarli completamente. La mia fede in qualcosa di soprannaturale è talmente variegata e complessa che non posso parlarne con bambini così piccoli, né voglio che altri lo facciano al mio posto, dandogli delle convinzioni che poi io e il Marito Paziente non approviamo.

Per rivolgersi ad un Dio non si ha bisogno di formule e preghiere preconfezionate, puoi relazionarti con Divino attraverso l’azione, la natura, il rispetto. Puoi chiamarlo Bene e non avere bisogno di altari e candele. Non mi sento di essere ipocrita e dar loro un tipo di dottrina in cui non mi rispecchio o l’appartenenza ad una chiesa che non sento mia.

Qui è possibile farlo, e non devo giustificarmi con nessuno. Qui non ci sono simboli religiosi nelle scuole pubbliche, come dovrebbe essere ovunque.
Chi è cristiano lo è dentro, non ha bisogno di imporre un crocifisso nelle scuole per dimostrarlo: è pura ipocrisia, è facciata.

Se vuoi puoi riempire di crocifissi e immagini sacre casa tua, un luogo laico e comune no. Questo, in Costa d’Avorio è un discorso possibile.
In Italia no.
Ci sarebbe da rifletterci sopra. Ma tanto eh.

lunedì 21 aprile 2014

Compleaani e comunità



Festeggiare un compleanno patato in Africa è sempre una cosa particolare.

Da una parte c’è la nostalgia assoluta di tutto quello che è casa, di candeline spente con nonni e amici, di regali sicuramente graditi perché espressione di un gusto e non di quello che trovi, di atmosfere particolari e affetto.

Dall’altra hai vicino persone che sanno perfettamente cosa voglia dire stare lontani dal proprio luogo d’origine e che quindi ti avvolgono in un caldo abbraccio di affetto; persone che ridono, scherzano, giocano coi tuoi figli improvvisandosi un po’ nonni e un po’ amici, che cercano qualcosa di bello e adatto da regalare a tuo figlio, che conoscono sia te che i tuoi figli come fossimo stati vicini per anni.

È in occasioni come queste che ti accorgi di quanto sia vero che il tempo all’estero, nei rapporti, vale almeno doppio. C’è la fame di conoscersi per crearsi un nido, c’è il bisogno di avere dei punti fermi, c’è la comprensione dei momenti brutti, c’è la consapevolezza delle difficoltà.

C’è il capire cosa significhi per un bambino di sette anni il festeggiare senza i nonni, o gli amichetti storici. C’è il vivere gli eventi come un qualcosa che ci riguarda, come se fossimo una sorta di strana e stramba famiglia di gente che non si è scelta, che è capitata per caso, che vive o ha vissuto le stesse cose che vivi o hai vissuto tu, o che le vivrà.

E quella che ti sembrava un’occasione difficile da gestire diventa un bellissimo momento di condivisione.

sabato 19 aprile 2014

Con parole altrui #14. Catullo



Ognuno di noi vuole stabilità, alla lunga.
Alle continue farfalle nello stomaco seguono emozioni diverse, più sedimentate, meno basate sulla scoperta e sulla “lotta” e più sulla conferma e l’armonia.

Però ci sono quelle passioni brucianti, che spesso non sfociano in nulla di duraturo, che sono irrazionali e potenti, che ci consumano, che non capiamo, che ci portano all’opposto dei sentimenti senza che ce ne accorgiamo.

I forti sentimenti si assomigliano, in fondo. Sono tutti governati dall’urgenza, dalla passione, dal desiderio assoluto di qualcosa.

È difficile perdonare ad una persona amata una defaillance, come è difficile accettare che ad un sentimento così forte non ne corrisponda un altro di uguale intensità. Che non ci sia lo stesso trasporto, la stessa voglia di scomparire a favore dell’altro.

A volte è anche difficile accettare che l’amore per un’altra persona ci porti in posti dove non sapevamo di poter andare; ci ribelliamo, odiamo chi ci porta così lontano da noi e da quello che pensavamo saremmo stati.

Vivere passioni forti significa indagare angoli di se stessi dove si annida la polvere del “penso”. L’amore non ha bisogno di pensieri. È, a prescindere.

Le grandi passioni sfumano i contorni, confondono gli opposti, tolgono il peso alla bilancia e lasciano che i nostri piatti si destabilizzino. Non c’è razionalità, non c’è motivo, non c’è un senso logico. Sono da vivere, non capire.

È un po’ come arrivare all’infinito e accorgersi che la normalità è solo un segmento retto di un cerchio di diametro incalcolabile. Ecco, la grande passione ti fa vedere l’infinito e confondere gli opposti.

Ami, con tutto te stesso; odi, allo stesso modo, la persona che ami.
L’amore assoluto perdona tutti i difetti. La passione no. La passione ne tiene il conto, la passione si ribella all’imperfezione.

La passione porta a grandi litigate, a farsi del male, a bruciarsi di intensità, nel bene o nel male. La passione è una lotta con l’altro e con se stessi. La razionalità ci pone di fronte tutte le sue carte e non riusciamo a vederle, anche per questo possiamo arrivare ad odiare chi amiamo.

Le passioni sono qualcosa da vivere, semplicemente. Nelle loro contraddizioni, nella loro impetuosità, nel loro esaltarci e annullarci, nell’altalena di amore e odio su cui ci spingono.

Perdonare qualcosa è facile, perdonarla a chi amiamo non lo è.
Quando l’amore è la normale evoluzione di una passione che ci ha bruciato (e non è affatto scontato che lo sia) è un amore che accetta ma che perdona poco le delusioni.

È un amore che, come tutti, cerca l’armonia. Ma ha il seme della lotta, dentro. Per conciliare la salvaguardia di se stessi con l’annullarsi in nome di un sentimento indefinibile fatto di amore, odio, stima, rispetto, empatia, ci vuole una gran forza. Bisogna permettersi di provare le varie sfumature, odio compreso.

È il piatto della bilancia che perde un equilibrio: se il sentimento è sano, è normale. Ci destabilizza e ci rafforza. Contro certe cose è inutile lottare. La passione, l’amore, la loro dualità, il loro contenere una componente di non accettazione e di odio,  comunque ti arrivino, sono da vivere e  godere, nelle loro incomprensibilità e nel difficile e meraviglioso tormento che questo ci provoca.


Odi et Amo – Catullo

Odi et amo.
quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Odio e amo.
Come sia possibile, forse mi chiederai.
Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.


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