domenica 5 febbraio 2017

Strade





Sono passati ormai due mesi e mezzo dall’intervento. Dal punto di vista fisico, in termini di stanchezza, non mi sono ancora ripresa del tutto.
Dal punto di vista alimentare rimango sempre incredula di quanto poco ci stia nel mio stomaco: ieri ho pranzato con due fettine di bresaola con due cucchiai di ricotta, più  o meno. E ci sono arrivata a sera, prendendo solo un tè senza zucchero nel frattempo.

Sto sperimentando la frustrazione tipica di chi ha sempre mangiato con gli occhi ancora prima che con la bocca: se c’è in tavola qualcosa di cui sono sempre stata golosa, la testa ancora pensa che ne mangerà tanto, che proverà piacere nel farlo. Quello che accade è invece che dopo 2 bocconi a stramasticare il gusto del mangiare è già finito nella sensazione fisica del sentire lo stomaco occupato.
È pesante, è frustrante. Mi toglie quel senso di aspettativa e desiderio del cibo che faceva parte di me. Non era giusto, non era sano, non andava bene… ma ero io.

Ovvio che se quello tra me e il cibo fosse stato un rapporto sano non avrei di questi problemi e non avrei dovuto cambiare la geografia interna del mio apparato digerente, con tutto quello che ne consegue. Ma è un cambiamento che, per quanto ci si arrivi determinati, è talmente repentino che lascia spiazzati.

Il grande cambiamento che questo tipo di interventi impone non è quello che parte dalle mani di un chirurgo, ma quello che passa dalla testa del paziente: cambia il rapporto col cibo, cambia il motivo per cui si mangia (banalmente: per sopravvivere e nutrirsi), cambia la quantità di cose che si mangiano, cambia la tolleranza che il corpo ha di certi alimenti, con tutte le conseguenze relative.

E poi c’è un corpo che cambia, e cambia velocemente. Talmente velocemente che la testa non gli sta dietro e mentalmente sei ancora a quattro taglie fa, a venti kg fa: ti stupisci di passare tra due macchine, di entrare comodamente sui sedili della metro, di poter accavallare le gambe.

So che sono dimagrita 20 kg perché me lo dicono gli altri, la bilancia, i vestiti. Ma non mi vedo dimagrita: mi sento sempre enorme, con la vergogna se qualcuno mi guarda, con la paura di mostrarmi goffa se metto un piede male.
È una strana convivenza quella tra questa nuova Fra e quella che l’ha preceduta.

Continuo così tra vecchie strade e nuovi passi per percorrerle, appena riuscirò a staccarmi da quella ringhiera di un percorso che ho sempre considerato sicura sono certa che mi si apriranno panorami meravigliosi… nel frattempo preparo nuovi occhi per vederli.