martedì 30 giugno 2015

Tra la fine e il principio




Scrivo questo post in anticipo, quando lo leggerete sarò forse già sul suolo natìo, perché non voglio che la conclusione di questo percorso risenta dell’inevitabile terremoto emotivo del momento della partenza. Voglio che il mio pensiero e i miei saluti a questa Terra siano lucidi e non solo di lacrime.

Questo momento è esattamente la cuspide tra la fine e il principio, quello in cui cambia la pendenza, un’anomalia nei cerchi del tronco dell’albero. Il punto in cui c’è una separazione che non è una separazione. È l’attimo di silenzio tra due suoni, il punto in cui cambi pagina, o stacchi la matita dal foglio.
Qualcosa che finisce e tutto continua.

Tutta la vita è evoluzione, un filosofo greco affermava che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume e questo significa non solo che l’acqua, come il tempo e la vita stessa, scorre, ma anche, e fondamentalmente, che tu stesso non sei mai lo stesso perché cambi, evolvi, ti conformi, ti discosti, cresci.

Ed è con questa consapevolezza che affronto il ritorno in Italia, ed è proprio forse questa stessa consapevolezza a farmi più paura. Perché è diverso il fiume e sono diversa anche io. Perché ci sarà da recuperare fili e cercare di tesserne trame oneste e governate dall’affetto, più che da una consuetudine ormai macerata dalla lontananza; trame che ci presentino un disegno che renda giustizia dei reciproci cambiamenti.

Questo posto del mondo, un posto che non ho scelto, un posto che mi è capitato tra capo e collo in un caldo giorno di fine luglio di quattro anni fa, mi ha dato tanto, ma ha voluto il suo prezzo. A volte caro, a volte meno. Ma è un prezzo che sono sempre stata contenta di pagare, certa che da questa esperienza ne sarebbe venuto qualcosa di buono. Ne sono venute tante, di cose buone.
Cose che ad elencarle sembrano banali, ma che hanno un carico emotivo immenso.

Litigate furibonde per togliersi la pelle vecchia e permettere ad una nuova e più bella di ricrescerci sopra.
Grandi sorrisi dove meno te li saresti aspettati.
Interlocutori che non hai scelto, ma che hanno sopra la pelle la tua stessa quotidianità e sotto la pelle la tua stessa strana sensazione di essere a casa e di non esserlo.
Lacrime asciugate su un muretto di ospedale, quando scopri che il tuo ruolo è anche quello, e lo accetti mettendoci tutto il cuore che puoi.
Culture diverse da capire, facile, e da accettare, molto meno facile.
La strana sensazione di essere l’anomalia, l’eccezione, il diverso.
La libertà di essere come sei.
Una realtà da guardare con occhi nuovi, perché quelli che hai non gli rendono giustizia, né onore.
Una lingua diversa, parole nuove, suoni sconosciuti.

La Costa d’Avorio, Abidjan, sono state principalmente questo, ma infinite mille altre cose, atmosfere, colori, suoni, odori.
Una profonda differenza da tutto ciò che era la mia normalità, che si è esplicata nelle piccole cose come nelle grandi.

Mi ha insegnato ad accettare l’imprevisto, mi ha insegnato la pazienza, come anche la rabbia.
Mi ha regalato delle opportunità, che altrimenti probabilmente non avrei colto.
Mi ha dato tempo per capirmi e capire. Me stessa, ma anche gli altri.
Mi ha messo di fronte a pensieri  e dinamiche con cui mi ero confrontata solo attraverso uno schermo pieno di parole altrui.

Questo posto mi ha inzuppato di una vita diversa: a volte impedendomi il volo, altre volte facendomi scoprire profondità meno accessibili ma bellissime, altre volte sollevandomi sulla cresta di onde lunghissime a riempirmi gli occhi di cielo e infinito.

È stato Casa, con tutto il valore affettivo che potete immaginare di dare alla parola.

È stato: non lo è già più mentre preparo l’ennesima scatola, non lo sarà più mentre leggerete ciò che sto scrivendo.
Ma questo posto del mondo sarà sempre un po’ casa, queste mura colorate saranno sempre nei ricordi, questa città farà sempre parte un po’ della nostra storia.

C’è una frase che ha accompagnato il mio matrimonio, di cui ancora non sono riuscita a trovare l’autore, che conclude magnificamente questo pensiero e questo percorso:
Nella stessa misura in cui vuoi ricevere, tu devi dare:
Vuoi tutto un cuore, da’ tutta la vita.

Questo posto si è preso quattro anni della nostra vita, è giusto che abbia quattro anni del nostro cuore, per sempre.
Au revoir Cote d’Ivoire,  bonne chance e merci.


Le nostre avventure continueranno anche dall'Italia, il blog non chiuderà ma si evolverà... un po' come noi...

mercoledì 24 giugno 2015

Quotidianità, tra oggi e domani



La vita prosegue, nella Tana.
Tra scatoloni, ricordi, quotidianità, c’è poco tempo per indugiare nella malinconia, in questi ultimi giorni che ci separano da una separazione  sostanziale e affettiva.

Sono giorni fatti di ultime spese, ultimi saluti, organizzazione di ciò che avverrà in Italia.
Sono giorni di scatole che si riempiono e di spazi che si svuotano per essere ricomposti altrove, in altri tempi.
Tempi che non ci appartengono ancora e  per i quali dovremmo costruire uno scheletro emotivo nuovo di zecca.

La fenice sulla mia schiena mi ricorda che si rinasce sempre, uguali o con qualche piuma più folta o più spennacchiata. La fine e il fine di un’esperienza non è che questo rinascere, in fondo.
Ci sono e ci saranno giorni pesanti, qui sotto il deserto come lì, al di sopra. Ci saranno e andranno via, li terremo a farci compagnia per non dimenticare cosa siamo stati, li accompagneremo alla porta quando saremo pronti ad aprirla.

Questa quotidianità diventerà un ricordo, forse a volte una malinconia, addirittura una tristezza.
Ci sarà una nuova quotidianità a dettare le regole, ci sarà da rimontare o ricostruire o addirittura da costruire ex-novo.
I nuovi percorsi, per quanto un po’ obbligati, hanno sempre il diritto di essere giudicati nelle loro potenzialità e senza guardarsi troppo indietro. Il diritto di poter essere accolti come possibilità, anche se il sapore è un po’ ovattato da ciò che si è gustato prima.

Sarà questo il grande compito che ci aspetta, quello di dare al nuovo ciò che abbiamo dato al vecchio: la grande opportunità di stupirci.

sabato 20 giugno 2015

Si tornerà...



A usare il phon.

A mangiare albicocche, melone, funghi freschi.

A svegliarsi senza un sole prepotente che entra dalla finestra presto, troppo presto.

A coprire le braccia.

A vedere le stagioni arrivare e andare via.

A esprimere sentimenti con i tempi verbali adatti e le parole che meritano.

A capire tutte le parole che senti.

A vedere il cielo azzurro e a respirare aria pulita.

A fare il bagno nel mare.

A vedere panorami che stupiscono meno, o che stupiranno di più.

A stringersi in abbracci di vecchia data.


Si tornerà a farlo, ma con occhi diversi.

giovedì 18 giugno 2015

Chissà quante volte hai riso, tu, di me...



Quando ero piccola mi sarebbe piaciuto essere uno di quei personaggi dei cartoni animati che guardavo tutti i pomeriggi. Non era la capacità di modificare la realtà, ad affascinarmi, non aspiravo ad essere una maghetta o ad avere chissà quale potere.

Volevo la capacità di trasformare me stessa.

Da quella grassottella, con le lentiggini e i codini, volevo sbocciasse una Fra diversa: quella cui sarebbe stata perdonata una caduta, perché alle ragazzine belle e magre si perdona una distrazione, come anche una sonora caduta sul sedere.
Invece rimanevo nei miei kg in più e nella goffaggine che nessuno voleva farmi dimenticare. E stai ben certa che se fossi caduta di sedere a terra non avrei avuto che risate e frecciatine.

Volevo essere quella che ride insieme agli altri, invece che quella di cui si ride, sostanzialmente.
Visto che quel superpotere evidentemente non lo avevo, è stata una strada in salita.
Poi ho capito che la strategia era quella di ridere per prima di me stessa, che significa essere consapevoli di ciò che si è nel bene come nel male, nel figo come nel ridicolo.

Una bella arma, l’autoironia: toglie potere a tutti i denigratori. Da non confondere con la finta modestia, che è lo specchietto per le allodole: se hai un merito o una capacità, riconoscitela apertamente, senza esaltarti e senza sminuirti, altrimenti sì, che sei ridicolo.

Crescendo, mi sono resa conto che quello che ha salvato la mia psiche, e anche, su questo concordiamo sia io che il Marito Paziente, il mio matrimonio, è stata proprio questa capacità di non prendersi sul serio se non quando è necessario farlo. Che si può ridere di ogni difetto, di ogni imprevisto, di ogni propria imperfezione o defaillance.

Ed ho capito che alla fine, per quanto tu possa essere una donna sovrappeso e goffa, dentro di te può esistere quella ragazzina magra che aspiravi ad essere… non serve una magia, basta una risata, di cuore e sincera e al momento giusto, per tirarla fuori.

martedì 16 giugno 2015

Questione di pelle



Quando si pensa all’archetipo di uomo africano si pensa al corpo scolpito, in genere.
Il corpo scolpito, in realtà, viene da un’alimentazione povera, dal lavorare sotto il sole parecchie ore al giorno, dai lavori di fatica. Gli africani ricchi sono imbolsiti tanto e quanto gli europei, sappiatelo.

Resta però il fatto che gli uomini africani abbiano un corpo oggettivamente più bello e armonico.
Un corpo felino, di un erotismo strisciante che non sapresti spiegare.

I ragazzi africani, quelli sani, portano a spasso i loro muscoli con disinvoltura.
La loro conformazione, il colore della loro pelle, rende il loro corpo diverso. Un europeo, per avere un corpo come quello dovrebbe uccidersi in palestra. E non sembrerebbe armonico, sembrerebbe “pompato”.

Ma, in questi tre anni e mezzo, non ho mai visto uno di loro usare il corpo come un’affermazione di se stessi. Il muscolo definito viene dalla loro quotidianità, non lo considerano un qualcosa di cui vantarsi.

Non ho mai percepito la vanità maschile, qui. Per i più abbienti o i più attenti, la cura di se stessi, l’andare in giro vestiti con ordine, puliti, è di estrema importanza e lo noti subito, forse per contrasto con la maggior parte delle persone, che invece ritiene un sacrilegio coprire gli odori corporei (con le conseguenze olfattive che si possono immaginare, purtroppo).

In questo posto dai mille contrasti,spesso anche il prendersi cura di sé e del proprio corpo in particolare, o del proprio aspetto in generale, ha due posizioni quasi estreme: l’eccesso di pulizia o il suo netto contrario, una grande attenzione o la più completa sciattezza.

Nelle donne si vede meno, perché anche le donne più povere e meno curate hanno dei vestiti di colori sgargianti che con la loro pelle stanno magnificamente. Negli uomini è più evidente.

Questa sorta di eleganza nei movimenti che li rende unici, il colore della pelle che parla di qualcosa di esotico e potente. Gli uomini africani hanno un grande fascino, solo che non lo sanno.
O forse non gli importa, chissà.