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mercoledì 22 luglio 2015

Prime impressioni da rientro



Ed eccomi di nuovo qui… tornata sul suolo natìo, e per restarci.
Un sensazione strana, rassicurante e terrificante allo stesso momento. La paura di rimettersi in gioco, la consapevolezza di essere una fra diversa da quella che, una freddissima mattina di novembre di tre anni e mezzo fa, aveva preso per mano i due figli piccoli per portarli ad abbracciare il papà e a scoprire un nuovo mondo.

Oggi quei bambini sono più grandi e molto più indipendenti, sanno due lingue e son curiosi della terza.
Tre anni e mezzo, una ventina di cm in più, una disinvoltura incredibile nel viaggiare, un linguaggio a cavallo tra due lingue, una multi etnicità invidiabile. Un enorme Dono, che spero non si perderà nella banalità di una vita con un colore solo.

Temevo molto il rientro e invece… nulla. La mia mente si è difesa pensando alla solita estate italiana, negando il non ritorno: pavento un settembre durissimo con una scuola che non conosco e che non so giudicare o valutare, con una casa diversa e resa più nostra ma non la casa che ci ha visto diventare quelli che siamo oggi.

Mi sento un po’ una disadattata e sempre molto in imbarazzo davanti a chi con un bel sorriso mi dice “dai che bello, è finita! Siete tornati da quel posto, finalmente!” , perché “quel posto” era Casa mia e non un posto che vivevo a forza e con difficoltà, quel posto è il posto del mondo in cui mi sono sentita più libera di essere me stessa di quanto non abbia mai pensato di poter essere qui nel mio Paese. Allora metto su un bel sorriso e dico un timido “già”, ingoiando la ferita del non essere compresa e vado avanti, riservandomi forse un giorno di spiegare ciò che oggi è forse ancora troppo fresco per essere raccontato senza che sembri frutto di un entusiasmo posticcio.

La vita da expat non è più o meno bella di quella nel proprio Paese, è insieme diversa e uguale. La vita, in ogni posto del mondo, ha lo stesso problemi da affrontare, cerchi da far quadrare, lacrime da ingoiare e sorrisi da esibire, ha conquiste e dolori, ha incertezze e dubbi, ha soluzioni e scoperte. Le ha diverse, ma le ha lo stesso.

Uno dei più grandi problemi che hanno gli expat a tempo, come me, come molti altri che ho conosciuto e conosco, è spiegare tutto questo, è rendere comprensibile qualcosa che chi ti sta davanti ha bisogno di incasellare e definire, quando, come ogni cosa nella vita, nulla è così bianco o così nero. Si finisce per banalizzare per rendere comprensibile ciò che sfugge, si cerca un tabellone che renda possibile una partita con chi non ha visto, sentito, odorato ciò che hai visto, sentito, odorato tu. E non è sempre facile. Ed è frustrante.
Si trovano tantissimi interlocutori per i fatti e i racconti, ma le emozioni rimangono sempre inevitabilmente escluse. Forse per paura di essere incasellate in spazi che non potranno mai contenere e rappresentare. Non si può spiegare l’aria, del resto.

giovedì 11 giugno 2015

Una prova costume lunga tre anni e mezzo



Ho sempre avuto con il mio corpo, con la mia esteriorità, un rapporto tutt’altro che sereno.
Fosse stato possibile uscire mettendo uno scafandro, probabilmente lo avrei fatto.
E, a ben guardare, di scafandri virtuali me ne sono messi addosso parecchi, negli anni, per non sentirmi sulla pelle il peso del giudizi altrui.

Poi sono arrivata qui.

Con questa premesse, si può capire con che serenità d’animo io abbia affrontato l’idea di vivere in un posto in cui è estate 9 mesi l’anno e in cui praticamente l’unico svago sia andare al mare, o in piscina.
Tutte attività che comportano una quota parte di pelle scoperta maggiore di quella che mai ero stata disposta a concedere.
Praticamente il miglio verde della salvaguardia dell’ego.

Peccato che una protezione 50+ per l’ego non la facciano.
Quindi: sei a ridosso di una pista da ballo, o balli oppure ti metti seduta su una sedia a guardare gli altri ballare e a far finta di nulla.
Può andare bene per una sera, per quattro anni ovviamente no.
E così, quel primo week end, mi sono messa un costume e sono andata al mare con gli altri.

Rendendomi conto, per la prima volta in vita mia, che in quel contesto l’unica a notare il mio corpo ero io e che agli altri, più del mio fisico, arrivava il mio disagio.
Anzi che era il mio disagio a far loro notare cose verso le quali non avevano il minimo interesse. Una bella lezione di vita, insomma.

Poi ho scoperto, col tempo, che una delle peculiarità di questa società in cui mi sono ritrovata a vivere un po’ per caso, è quella del non giudicare in base a canoni prestabiliti.
In qualunque modo tu sia fatto, qualunque vestito tu scelga di indossare, di qualunque colore tu abbia i capelli o la parrucca, nessuno ti dirà nulla. Nessuno riderà di te, del tuo corpo, della tua parrucca, dei tuoi vestiti.

In questo posto del mondo la prova costume non esiste, concettualmente.
Ed è una sensazione meravigliosa, a dirvela tutta. Un profumo di libertà che non ho mai respirato altrove: nessuno sguardo, nessuna risatina, nessuna battuta cattiva fatta a mezza bocca.
Se stai bene con te stesso, andrai bene anche agli altri. Ecco qui non è un consiglio da psicologo, qui è una realtà che copre tutti come un grande lenzuolo di serenità.

È tutto così semplice, che non sembra neanche possibile.

L’anno prossimo, o forse anche questo, se riuscirò, mi aspetterà una prova costume diversa, in un mondo diverso e sotto occhi diversi, soprattutto.
Speriamo di aver fatto il pieno di indifferenza o di auto-accettazione, altrimenti mi toccherà cercare quella famosa protezione 50+, capace che nel frattempo qualcuno l’abbia inventata.


Con questo post partecipo all’iniziativa Instamamme vuole anche te  che invita i blogger a trattare il loro tema del mese; se sei un blogger e vuoi partecipare vai a leggere come fare: più siamo e più sarà divertente confrontarsi e scoprirsi a vicenda!

giovedì 14 maggio 2015

Interviste e pensieri

Un po' di tempo fa mi ha contattata Alessia, proponendomi di essere una delle intervistate per la sua intervista doppia (semiseria) di maggio.
Quadi 20 giorni per risponderle e più di 10 per scriverlo qui, un record.
Comunque ecco la bella intervista che ne è venuta fuori: http://www.mammacongelo.it/intervista-doppia-semiseria-7/

Come si vede sono un filo, ma proprio un filo (non ve ne foste accorti qui o su Instamamme), logorroica :-D
Anni che provo ad essere essenziale e concisa ma no, niente da fare. ^^'

Per il resto, ho sempre meno tempo per condividere, un po' perché presa da mille cose mentali, un po' perché presa da un bruciante anticipo di nostalgia, un po' (tanto) perché presa da Instamamme che non è un lavoro ma lo è di fatto.
Un po' perché sto cercando di godermi TUTTO quello che mi resta qui: di uscire di più, di vivere di più, di parlare di più.
Sento franarmi la terra sotto i piedi e non so come muovermi per non cadere con lei.
Vorrei portare tutto questo con me e sono cosciente che solo quello che mi sarà entrato dentro potrà essermi compagno, per questo sono bulimica di sorrisi, parole, esperienze, sole, piante, frutta, odori, colori.

Vedo i pipistrelli passare vicino al mio terrazzo la sera, vedo le palme, la laguna; odoro l'aria di cioccolato e frutta tropicale; mi godo la ginnastica fatta in una piscina in cui sopra di me c'è solo il cielo.
Mi godo la libertà di essere me stessa, libertà che nel mio paese non mi sono mai sentita addosso, neanche per sbaglio.

Sono giorni di negazione e di un vivere intenso. Questo posto mi ha dato tanto e non so spiegarlo a chi tutto felice mi dice "dai che stai per tornare a casa!"
Ma io non sono affatto sicura che la mia casa sia quella che ho lasciato 3 anni e mezzo fa...

sabato 11 aprile 2015

Strani e stranieri



People are strange when you are stranger…

Se è pur vero che la gente è strana, se tu sei straniero, è vero anche che tu stesso sei strano, da straniero.
Che passi un momento in cui tutto è bello ma sei pienamente cosciente che quella in cui stai non è casa tua, che a quel momento ne seguono tanti intermedi fino a quello in cui tu pensi che quella potrebbe essere davvero casa tua.

Che potresti avere quel coraggio, che all’atto pratico quasi sempre ti manca, per ammainare le vele e dirti che sei arrivato. Che lì vorrai veder crescere figli e arrivare nipoti. Che sarà quello il punto di arrivo, l’omega della tua esistenza.

La vita di un expat è fatta di linguaggi raffazzonati ed emozioni complesse spiegate in modo elementare, è fatta di giri di parole, di mimica facciale, di gesti.
È fatta della consapevolezza di un ritorno, il più delle volte. È fatta di abitudini importanti conquistate ogni giorno di più, una quotidianità strappata a morsi.

È fatta di comprensione del posto in cui vivi, di accettazione della misura in cui questo si discosti da quello da dove sei partito.
È fatta di autonomie coatte, di imprevisti, di cose lontane che non vivi, di amori a distanza.

È fatta di nuovi amori, di sorrisi e risate quando lo stare insieme vale tutto il cuore che decidi di metterci.
È fatta di pezze d’appoggio, di picchetti per arrampicarsi, di piccole certezze regalate o costruite.

E rimaniamo sempre strani, sempre quel po’ stranieri, ci teniamo attaccati a qualche baluardo di cultura, al piacere di un piatto di casa gustato insieme.
Ci emozioniamo per parole nella nostra lingua ascoltate di sfuggita in un luogo inatteso, e ci sentiamo meno soli, per questo.

giovedì 9 aprile 2015

La legge di Murphy non risparmia gli expat...



Murphy doveva essere un gran simpaticone, oppure un gran menagramo, chissà.

Fattostà che è facile ritrovarselo tra i piedi in ogni ambito della propria esistenza: dalla scuola, alla maternità, dal lavoro alla vita da expat.
Le leggi di Murphy per un expat sono diverse:

1. se esiste un posto solo che ti viene in mente come unico posto al mondo non papabile come sede di lavoro, sarà ovviamente quello cui verrai destinato.
es: amore facciamo domanda per andare all’estero?
Si, certo se poi ci danno un posto demmerda come la costa d’Avorio, magari rifiutiamo [è andata così, virgole comprese]

2. la temperatura del posto di assegnazione, che sia in celsius o in farenheit, sarà ovviamente inversamente proporzionale alla tua capacità di tollerarla.
es: odi l’estate? Sarai destinato ad un paese equatoriale.

3. la capacità di fare spese oculate in vista della partenza sarà invece direttamente proporzionale al preavviso ricevuto. Il ché spiega perché tra le vettovaglie reputate indispensabili tu abbia considerato anche succhi di frutta (che si trovano ovviamente ovunque), biscotti (che si son fatti 2 mesi di viaggio) e soprattutto riso da sushi.

4. la capacità di riempire i bagagli è direttamente proporzionale al numero di bagagli assegnati.
es. Amore, stavolta mancano tre mesi al vostro ritorno definitivo, quindi non so di cosa riempiremo le valigie per questo viaggio verso l’Africa… E parti con 8 valigie da 23 kg. Piene.

5. inutile prevenire, anche gli eventi più prevedibili.
es. Amore, visto che staremo quattro anni in Africa direi che possiamo fare una scorta di assorbenti, ché giù non so quali trovo… e per due anni, tra clima e spirale, non hai il ciclo.

6. se vai alla ricerca di sapori conosciuti, non ne troverai neanche mezzo.
es. amore, andiamo dal cinese che ho una voglia matta di involtini primavera? Poi vai lì, ordini spring rolls e ti trovi nel piatto una roba molliccia, trasparente, con dentro foglie di insalata e carne. Epic fail.