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venerdì 13 gennaio 2017

Chiamatemi Sid...





Attualmente io e il simpatico protagonista dell’Era Glaciale abbiamo qualche punto in comune (freddo compreso).

L’anno passato è stato difficile, pesante, doloroso.
È stato un anno che mi ha lasciato… svuotata. Di energie fisiche e mentali, soprattutto.

Sono arrivata al fotofinish stanca, di una stanchezza abissale, che tuttora mi parte dalla testa, che in realtà se ne frega e continua a sfornare idee, e arriva un po’ dappertutto facendomi faticare il doppio o il triplo per stare dietro a quelle idee.

Non è nella mia mentalità il lasciare indietro le cose e prendermi del tempo per riprendermi, non sono proprio capace. Il giorno dopo l’operazione facevo avanti e indietro per i corridoi con tutti i drenaggi. Il giorno dopo essere tornata a casa, ancora con un drenaggio, ho camminato per un km. Sono fatta così. Cinque giorni dopo ero a Milano per il mammacheblog d'autunno.
Ma ora mi trascino, me ne rendo conto perfino io. Un bradipo, davvero.
La stanchezza mi piomba nelle tasche improvvisamente, lasciandomi annichilita e intollerante rispetto a ciò che non ho forza di fare.

Questo anno appena iniziato sarà comunque un anno importante: familiarmente meno da figlia e più in prima linea su cose che in precedenza seguiva mio padre; lavorativamente ci sono tante cose che voglio portare avanti, tanti progetti da studiare e far decollare.
E questa stanchezza non mi ci incastra proprio per nulla. È frustrante.
Mi sembra di essere in un qualcosa che gira ad una velocità che il mio corpo non riesce a sostenere, ma so che se poco poco scendessi, risalire implicherebbe una fatica che non saprei affrontare e gestire. Soprattutto adesso.

Per cui tengo botta, rammendando tempi e pensieri, facendo schemi mentali e cartacei, programmando, cercando di mantenere fede ai timing tirando ora di qua e ora di là in modo da non lasciare completamente scoperto nulla. Per una perfezionista è un incubo. Forse dovrei lavorare su quello, chissà…
Nel frattempo, non si sa mai, chiamatemi Sid, signore delle fiamme… e ridiamoci un po’ su!

giovedì 9 aprile 2015

La legge di Murphy non risparmia gli expat...



Murphy doveva essere un gran simpaticone, oppure un gran menagramo, chissà.

Fattostà che è facile ritrovarselo tra i piedi in ogni ambito della propria esistenza: dalla scuola, alla maternità, dal lavoro alla vita da expat.
Le leggi di Murphy per un expat sono diverse:

1. se esiste un posto solo che ti viene in mente come unico posto al mondo non papabile come sede di lavoro, sarà ovviamente quello cui verrai destinato.
es: amore facciamo domanda per andare all’estero?
Si, certo se poi ci danno un posto demmerda come la costa d’Avorio, magari rifiutiamo [è andata così, virgole comprese]

2. la temperatura del posto di assegnazione, che sia in celsius o in farenheit, sarà ovviamente inversamente proporzionale alla tua capacità di tollerarla.
es: odi l’estate? Sarai destinato ad un paese equatoriale.

3. la capacità di fare spese oculate in vista della partenza sarà invece direttamente proporzionale al preavviso ricevuto. Il ché spiega perché tra le vettovaglie reputate indispensabili tu abbia considerato anche succhi di frutta (che si trovano ovviamente ovunque), biscotti (che si son fatti 2 mesi di viaggio) e soprattutto riso da sushi.

4. la capacità di riempire i bagagli è direttamente proporzionale al numero di bagagli assegnati.
es. Amore, stavolta mancano tre mesi al vostro ritorno definitivo, quindi non so di cosa riempiremo le valigie per questo viaggio verso l’Africa… E parti con 8 valigie da 23 kg. Piene.

5. inutile prevenire, anche gli eventi più prevedibili.
es. Amore, visto che staremo quattro anni in Africa direi che possiamo fare una scorta di assorbenti, ché giù non so quali trovo… e per due anni, tra clima e spirale, non hai il ciclo.

6. se vai alla ricerca di sapori conosciuti, non ne troverai neanche mezzo.
es. amore, andiamo dal cinese che ho una voglia matta di involtini primavera? Poi vai lì, ordini spring rolls e ti trovi nel piatto una roba molliccia, trasparente, con dentro foglie di insalata e carne. Epic fail.

giovedì 3 aprile 2014

10 buoni motivi per non fare acquagym di sera



1.    L’acquagym, in Costa d’Avorio, si fa all’aperto. Ricapitolando. Siamo in una piscina illuminata da dentro, ovviamente, sulla laguna, di sera. Un’esperienza da ascrivere al capitolo “come essere sicuri di prendersi la malaria” del libro “vivere in Costa d’Avorio”. Il Ledum Palustre pure endovena, servirebbe.

2.    Fare acquagym due volte a settimana di sera implicherebbe perdermi due pasti dei miei figli; già perdermene uno, il giorno in cui c’è pilates (e li non ho scelta: c’è solo la sera), mi scoccia parecchio. Tornare e trovarli che già dormono mi pesa un bel po’.

3.  L’istruttore non è lo stesso della mattina ed è di quelli che pare che si respirano l’anima: ha meno muscoli di me, cosa che francamente non depone a suo favore in tema di qualità degli esercizi che propone (infatti ci dice cosa fare e lui non lo fa).
  
      4. È anche brutto. Voglio dì: io sto lì ad ammazzarmi di addominali e altro e non ho neanche la pietà di un belvedere? No no no, non ci siamo. Il coach della mattina ha taaaaanti bei muscoletti ben disegnati ed è pure un bel tipo, oltre ad essere simpatico e stare alla battuta. L’occhio vuole la sua parte, parbleu!

      5. Il coach della sera, come non bastasse il fatto che non ha muscoli ed è pure bruttino,  ha una visione un filo nazista dell’acquagym. Allora: mettetevi sedute in acqua con la cintura che vi aiuta a tenervi su (e tu tiri un sospiro di sollievo, poteva chiederti di farlo senza cintura). Ora da questa posizione aprite e chiudete le gambe per cinque minuti. Una cosa che l’addominale chiede l’eutanasia. Fa così per TUTTI gli esercizi e cronometra i minuti. Un folle.

      6. Non c’è gruppo. Nel senso che oltre a me l’altra volta c’era una signora sola. Non che l’acquagym sia un modo per fare salotto, anzi io personalmente sono parecchio concentrata nel fare gli esercizi quindi apprezzo poco la chiacchiera, però non c’è il confronto, che secondo me è essenziale. Spesso guardare più persone fare lo stesso esercizio ti fa capire se e dove sbagli. Raramente, se sei tu quella che gli altri prendono ad esempio, rafforza anche l’ego (che non fa mai male).

7. Il corso in acqua dura fino tipo alle 20. Alle 21 chiude la struttura. Nel frattempo devi lavarti, capelli compresi, e vestirti. Per me, che approfitto di quei momenti anche per mettere crema idratante per il corpo, anticellulite, crema ai capelli, crema per il viso e farmi un minimassaggio energizzante a spalle e collo con apposito prodotto, significa correre. Eh ma anche no, ho fatto esercizi in vasca per un’ora eh!
 
      8. Le attività serali, esclusa ovviamente l’acquagym, non necessitano di una doccia per forza. Farsi la doccia e asciugarsi in uno spogliatoio completamente deserto, di sera, non è una cosa che mi trasmetta serenità, sappiatelo.

      9. L’uscire dalla struttura praticamente per ultima e dover attraversare la zona parcheggio (non attrezzata, è praticamente sull’erba lì intorno), buia, di notte, in un posto dove le persone di notte si mimetizzano (ovvio, hanno la pelle nera) non è esattamente una cosa che io vivo come rilassante. Almeno quando faccio pilates si esce tutte insieme!

      10. Il fare una qualsiasi attività in una piscina all’aperto, di sera, implica (oltre ai pericoli di cui al punto 1) che non si è mai da soli, in vasca. Insieme a me l’altra sera hanno fatto esercizi circa 3 cafard (le nostre blatte) (bleah) e un migliaio di bacarozzetti piccoli piccoli. Ok larghe vedute, ma anche che schifo eh.

venerdì 4 ottobre 2013

Scuola, strada, parcheggio e delirio. Tutto compreso nel prezzo.


La scuola patata è situata su una strada ad alto scorrimento. Immaginatevi una cosa tipo la Nomentana a Roma, con un po’ meno traffico in situ, perché siamo in periferia e con intorno il nulla: non ci sono case direttamente su strada, né negozi, né marciapiedi, nulla a rallentare neanche visivamente l’andamento delle macchine.
La scuola patata è un complesso scolastico che comprende dalla TPS (bambini di due anni) alla términale (17 anni) (che sì, come nome è inquietante) con conseguimento del Baccalauréat (il diploma superiore) (hanno 1 anno di nido, 3 di materna, 5 di elementari, 4 di medie e 3 di liceo), quindi, la scuola patata, è una scuola GRANDE. Mentre per le classi di materna ed elementari ci sono solamente due sezioni, per quelle delle medie arriviamo a 4, per il liceo non ho indagato.
Questo per dire che i ragazzi che frequentano l’istituto sono tantissimi. Alcuni prendono il pulmino, molti (la maggior parte) vengono accompagnati da autisti e nounou, o solo autisti o genitori (più raro); sta di fatto che le macchine che accedono allo spiazzo della scuola per lasciare i bambini siano tantissime. I parcheggi invece NO. Sono pochi, sulla sabbia, incostuditi e vige la legge della jungla, anche lì.
La maggior parte delle volte, tocca lasciare la macchina fuori, sperando che nessuno di quelli che arriva da dietro se la carichi a tutta velocità.
Ma devi essere pure fortunato se ci arrivi, a parcheggiare. Il tratto di strada dove è situata la scuola è infatti dotata di spartitraffico in cemento continuo alto tipo 90 cm, quindi, venendo dal centro città, come noi e praticamente il 95% degli altri alunni, devi superare la scuola, fare una discesa, arrivare alla fine dello spartitraffico e poi fare inversione. Senza semaforo, senza niente, così. Altro che legge della jungla, questa è legge di sopravvivenza.
Comunque, diciamo che siamo arrivati sani e salvi vicino alla scuola e che abbiamo trovato (mezzora prima che suoni la campanella) solo posti sulla tangenziale. Ti toccherà fare un pezzetto, che per quanto breve è sempre in tangenziale, a piedi costeggiando le macchine già parcheggiate e sperando nella buona vista di quelle che stanno ancora percorrendo la strada.
A questo punto sei nel piazzale della scuola, che è organizzato come una rotonda in cui da una parte entri, da quella opposta c’è il cancello della scuola e a destra e sinistra ci sono gli imbocchi dei veri e propri parcheggi. Lì, il delirio. Le macchine si infilano da ogni pizzo, fanno manovra senza minimamente guardare (ché son già due volte che salvo in extremis i figli), parcheggiano bloccando gli altri… insomma mica per niente avevo citato anche la scuola parlando della legge della jungla eh.
Ma il meglio deve ancora venire. All’uscita della scuola, oltre alle macchine presenti quando sei arrivata, ricordiamolo, con un discreto anticipo, troverai un agglomerato di macchine manco regalassero telefoni o televisori. Le macchine arrivate dopo di te, infatti, non è che abbiano deciso di mettersi in fila dopo di te, come è logico, o di superare l’ingresso della scuola e mettersi accostate lì, no no e poi no. (ho già detto “no”?). Le macchine sono parcheggiate alla “arrivo e sticazzi”, ovvero “e che mi posso fare 30 metri in più per parcheggiare senza disturbare gli altri?” Ma non sia mai: io arrivo e dove sto, parcheggio.
All’uscita della scuola mediamente ci sono altre due file, oltre quella dove hai parcheggiato, senza causare difficoltà a nessuno, tu. Tre file disordinate di gente che la maggior parte delle volte chiude proprio la macchina e con tutta calma va a ritirare i figli  o i figli del suo datore di lavoro. A quel punto tu arrivi, metti i patati in macchina, chiudi cinture e seggiolini, parli con i tuoi figli, senti tuo marito al telefono, metti la musica e in genere dopo puoi tentare di uscire.
Tutto questo su una strada ad alto scorrimento, fai tipo una consolare, fai tipo la Nomentana a Roma.
Fai tipo un delirio.

domenica 20 gennaio 2013

Se



Se avete un utero pigro, ma pigro, che però quando decide di fare le cose le fa per bene e quindi pensa bene che rendervi partecipi della sua esistenza per 25 giorni più o meno consecutivi sia cosa buona e giusta.
Se siete a dieta, stretta. Che sotto le feste di Natale si sa che è la morte sua;
Se il collega del marito è in Italia e quindi avete un marito tra il part-time e il desaparecido.
Se la notte tra il 23 e il 24 dicembre vi siete svegliati con un dolore improvviso e forte ad un dente.
Se vi siete recati da un dentista che ha decisamente sottovalutato la portata della vostra infezione e vi ha liquidato con antibiotico e paracetamolo come antidolorifico.
Se in preda a dolore sempre più forte avete fatto una bella visita la sera della vigilia al pronto soccorso dove vi han fatto una flebo di paracetamolo “tosto” e poi una fiala di morfina. Che vi han fatto una mazza entrambe.
Se avete passato la sera della vigilia e il giorno di Natale in compagnia di un dolore sempre più forte.
Se il 26 vi siete recati da un altro dentista che vi ha visto e ha cambiato l’antibiotico e dato un antidolorifico “serio”, di quelli da post operatorio per capirsi, da prendere al massimo ogni 8 ore.
Se di ore a malapena siete arrivati a farcene 6, con due pasticche per volta.
Se passate altri 3 o 4 giorni rimbambiti completamente dai farmaci e con la sola coscienza di voi stessi che dà il dolore.
Se avete passato una serata a piangere di dolore e l’ultima volta che avevate pianto di mero dolore fisico era stata quando è nato il vostro secondo figlio, con la differenza che non avete avuto un travaglio di 5 giorni.
Se i batteri della vostra simpatica infezione decidono di andare a girare il mondo e finisco per fare un rave party sul vostro nervo del trigemino coinvolgendo così nello smadonnoday  tutta la mandibola, l’orecchio e la testa.
Se alla fine il dolore va scemando e tirate un sospiro di sollievo, finendo l’anno carichi di speranza.
Se l’anno nuovo inizia con la febbre, alternata, di entrambi i vostri figli: antibiotico, sciroppo, antiinfiammatorio e via discorrendo.
Se la febbre da Harmattan arriva a toccare anche il Marito Paziente, che viene completamente abbattuto dalla febbre oltre i 40 che non scende con niente.
Se portate il Marito (sarebbe) Paziente (se non stesse male) al pronto soccorso dove gli viene fatta una flebo potente che gli ridia forza, come gli spinaci di braccio di ferro.
Se chiaramente tutto questo accade nell’unica settimana di ferie che il marito si prende da tempo immemore.
Se nel frattempo il dentista dice che è il caso di pulire intorno al dente e quindi vi rimette sotto antibiotico a scopo preventivo, sai mai.
Se però una sera iniziate a sentirvi caldi e il termometro registra una temperatura superiore a 38°.
Se passate i giorni seguenti a letto incapace di alzarvi se non per fare la pipì e se appena poteste fareste anche quella per procura.
Se dopo altri tre giorni di paracetamolo la febbre è quasi passata ma continuate a non reggervi in piedi e se vi alzate avete un’autonomia di ben 3 minuti prima di iniziare a sudare freddo e vedere nero.
Se riandate dalla vostra dottoressa di fiducia e lei vi rimette sotto antibiotico, un altro, perché avete le placche e una febbriciattola che non va via ancora.
Se nel frattempo si scopre che la vostra riserva di ferro è ormai praticamente inesistente ma il ferro non riuscite a prenderlo perché vi distrugge lo stomaco.
Se avete i globuli bianchi in caduta libera non si capisce se per l’antibiotico o le infezioni.
Se l’utero decide di mandare degli occasionali “instant message” per ricordare che esiste ancora, anche se decisamente fuori tempo.
Se il dente ogni tanto decide di fare altrettanto.
Se continuate a sentirvi distrutti e avete toccato la cifra record di 28 giorni di antibiotico e ancora, di fatto, dovrete prenderne se volete farvi pulire il dente malefico.
Se in tutto questo chiaramente lo stomaco è da buttare e fa male sempre.
Se comprensibilmente iniziate a sentirvi un po’ depressi…
Allora siete la fra.
Altrimenti siete decisamente più fortunati di lei.
Buon 2013 anche a voi!