lunedì 5 dicembre 2011

école, culture et intégration

Qui in Costa d'Avorio, oltre agli autoctoni, si trovano, chiaramente, anche abitanti dei paesi limitrofi:  Ghana, Mali, Liberia, Guinea e, nella stragande maggioranza dei casi, Burkina Faso (di cui è originario anche l'attuale presidente, Ouattara). Più raramente, si trovano persone che vengono da più lontano: Madagascar, Tanzania, etc.
Tutto questo fa sì che la tavolozza della pigmentazione cutanea dei Ivoriani sia quantomeno varia: da un color cioccolata calda densa a un color cappuccino, per intenderci (si capisce che ho fame?). Non mancano anche persone nere nere, ma sono rare.
I bianchi, almeno qui ad Abidjan, non sono moltissimi e sono perlopiù francesi (guardati ancora con un discreto astio dalla popolazione locale per via del colonialismo francese) oppure libanesi. In seguito a non so quale momento di agitazione in Libano (ché anche lì non scherzano, quanto ad instabilità politica) pare ci sia stata un'intensa migrazione verso la Cote d'Ivoire, dove attualmente i discendenti dei Fenici vivono e commerciano.
Gli italiani, in Costa d'Avorio, sono poco più di 300 in tutto il paese divisi tra personale diplomatico, persone occupate in missioni umanitarie, turisti oppure anche persone che si sono fermate a vivere stabilmente qui.
I miei figli hanno iniziato a frequentare la scuola poco dopo esserci trasferiti qui. La scelta di mandarli allo sbaraglio subito è stata dettata dalla precisa volontà di farli integrare in un posto che per i prossimi 4 anni sarà, volenti o nolenti, casa loro; di far loro imparare più in fretta possibile il francese (senza il quale qui non puoi fare assolutamente nulla) e di accrescere il loro bagaglio culturale partendo dal concetto di diversità.
Qui in Costa d'Avorio, non c'è nulla da fare, i diversi siamo noi, i bianchi. Siamo quelli con più soldi, con le macchine migliori, quelli che vanno a fare la spesa nei supermercati più cari e forniti, quelli che si possono permettere di fare la spesa senza badare al centesimo.
E, a volte, siamo guardati male, per questo. Generalmente la popolazione ivoriana è molto gentile e tollerante con chiunque sia bianco ma non francese e noi italiani siamo comunque trattati con rispetto ma anche come vacche da mungere (nella loro ottica abbiamo soldi quindi possiamo anche darne a loro, ma questo è un discorso che merita decisamente un approfondimento).
Tornando all'argomento scuola, si è deciso di iscrivere i bambini in una scuola locale, ma privata. Questo principalmente perché la cultura africana è di molto diversa dalla nostra sotto molti punti di vista, tra cui quello della pulizia. E questo non perché la loro cultura sia inferiore alla nostra...semplicemente è diversa, punto. Molte persone vivono nelle bidonville, qui: vagli a spiegare il tuo concetto di sporco a persone nate e cresciute in microcasette con il tetto di bandone e la sabbia per pavimento.
Il marito, mentre noi si era ancora in terra italica, si è girato tutte le scuole private con classi materne e nidi che è riuscito a scovare e alla fine dopo aver ispezionato classi, bagni e insegnanti, ha scelto una scuola che poi abbiamo rivisto insieme.
La scuola dei patati è un complesso scolastico privato con un servizio mensa (di cui i miei figli usufruiranno da oggi) e uno di pulmino (di cui i miei figli non credo usufruiranno mai) ed è per la stragande maggioranza dei casi frequentata da bambini Ivoriani (chiaramente figli di gente ricca o almeno decisamente benestante, vista la retta) con tutte le variazioni di colore già dette, seguiti in numero da bimbi libanesi (che hanno sì la pelle chiara ma decisamente tendente al nocciola, chiarissimo, ma pur sempre nocciola) e poi ci sono i patati.
Mentre il figlio piccolo ha la pelle decisamente virante al nocciola chiaro e la tendenza ad abbronzarsi, come il papà (cosa che li fa passare entrambi per libanesi senza problemi), il figlio grande ha ricevuto, quasi come me (che però ho occhi nocciola e capelli castani), un'enorme eredità genetica slava dalla sua bisnonna: ha una pelle chiarissima, le lentiggini, i capelli biondi e gli occhi di un meraviglioso colore tra il verde e il grigio. Praticamente lampeggia, nel cortile della scuola, esattamente come lampeggio io quando vado a riprenderli.
Questa diversità, che in Italia, mi duole ammeterlo, spesso, anche tra bambini, significa difficoltà di integrazione, qui si traduce in curiosità e affetto (almeno per ora, spero vivamente di non essere smentita). E' capitato che la maestra di PRG, il patato grande, fosse in ritardo e che uno spaesatissimo patato fosse gentilmente invitato ad aspettarla in un'altra classe, con un'altra maestra. Mentre la temporaneità dell'assenza della nostra maestra mi veniva spiegata dall'altra maestra, mio figlio mi guardava confuso e un bel po' sperso. Una bimba della sua classe gli si è avvicinata, l'ha guardato, l'ha preso per mano e se l'è portato a sedere vicino a lei. Sono uscita da lì con le lacrime di commozione e riconoscenza, è stato un gesto meraviglioso e spontaneo.
E' capitato poi, sia nella classe di Mortino (il patato piccolo, e no, non si chiama veramente così, è un soprannome) che, nel cortile su cui affacciano tutte le classi della materna, qualche bimbo mi fermasse, fortemente incuriosito dalla mia pelle chiara e dalle lentiggini e che io, mappamondo alla mano (no, non giro con un mappamondo in borsa, era già lì) gli abbia spiegato da dove vengo e chi sono. Questa curiosità senza secondi fini, nei bambini, è molto stimolante e, a mio parere, è anche sintomo di un'apertura culturale cui noi non siamo molto abituati.
Qualche giorno fa una bimba, fuori dalla scuola mi ha chiesto se fossi la mamma di PRG e si è presentata, dicendomi che è in classe con lui; stamattina, infine, ho sentito una bimba per mano al suo papà, nel passarmi accanto per recarsi in classe, dirgli: elle est la maman de PRG, con tenerezza, come dicesse "lei è la mamma di un mio amico".
Mio figlio non è uno di loro, è evidente. Mio figlio se fosse stato nero come la pece, in Italia, sarebbe stato guardato in maniera decisamente meno curiosa e decisamente più diffidente.
Io direi che c'è da imparare, e riflettere.

3 commenti:

  1. Visto che non è specificato ne deduco che PRG non è un soprannome bensì il vero nome del patato grande.. mmm... :P
    Bellissime immagini ci offri nel tuo scritto... a quando immagini vere, cioè foto? e non vale la scusa della macchinetta rubbbata, ci sono anche i cellulari :P

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  2. L'esperienza che PRG e Mortino stanno facendo non ha eguali. Secondo me vale più di ogni altra cosa. Ed è forse uno dei motivi che vi deve (a te e marito) rendere più fieri per aver fatto una scelta così coraggiosa, inusuale ed impopolare. BRAVI!!!!

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  3. Bellissimo post!!!!Shukri

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