lunedì 6 ottobre 2014

Leoni e gazzelle



Tutti i giorni in Africa una gazzella si alza e sa che dovrà correre più veloce del leone per non essere mangiata.
Tutti i i giorni in Africa un leone si alza e sa che dovrà correre più veloce della gazzella per non morire di fame.

Tutti i giorni in Africa ti svegli. Non importa se sei leone o gazzella, l’importante è iniziare a correre.

Gli ivoriani devono aver fatto loro questo detto, oppure è stato fatto su di loro, perché molti di loro non camminano, corrono.
Se deve spostarsi dal punto A al punto B, in genere l’ivoriano corre o va a passo diciamo svelto.
È comunissimo vedere gente che corre, qui.

Corre per attraversare la strada, ché qui la precedenza non ce l’hanno i pedoni, ma le macchine (non è uno scherzo, purtroppo).
Corre per prendere l’autobus o il taxi.

Il povero corre, sa che se vuole vendere qualcosa per strada, che sia un giornale o un telecomando, o bicchieri, o un tappeto, dovrà intercettare uno sguardo interessato e rincorrerne la macchina.

Il povero corre, sa che il ricco non ama aspettare.

Quella del correre è un’abitudine da cui distingui il grado nella scala sociale: il povero corre, il ricco non ci pensa proprio.
Il ricco si aspetta che tutti lo servano, e anche in fretta. Sa avere un razzismo umiliante e sgradevole come pochi altri: servile coi bianchi e con i connazionali ricchi, sprezzante con i poveri. Ho visto scene che sarei scesa a menargli.

Quindi tu ti immagini comunque un mondo fatto di ricchi in panciolle e di poveri che corrono.
Ma non è neanche così, in realtà.

Quando dici “correre” di solito intendi anche lo “sbrigarsi”… ecco quello no.
L’artigiano che ti vede interessato ti rincorre anche per cento metri; quando gli commissioni un lavoro avrai davanti a te tempi biblici di attesa.

Il correre è legato al fatalismo e al loro modo di vedere la vita: la vita è oggi, per un ivoriano. Anzi, è adesso. Per cui devo correre e prendere l’occasione o il cliente, ma poi non mi interessa mantenermelo, il cliente, quindi faccio il lavoro male, ci metto un’infinità di tempo, dico bugie.

Un dialogo telefonico tipico:

Marito Paziente: Occhietto vispo, dovevi portarmi la zanzariera un’ora fa!
Occhietto Vispo: Sono per strada, Patron! (è una cosa odiosa, ma non c’è verso di far loro capire che io non mi sento padrona di me stessa, figurati di loro)
Marito Paziente: a che ora pensi di arrivare?
Occhietto Vispo: mah, tra mezzora sono lì! Sicuramente Patron! (e aridaje)

e arriva una settimana dopo. No, aspetta, non è un modo di dire. Arriva veramente una settimana dopo. E no, non viene a piedi. E sì, ha la macchina. E no, non viene dall’Angola, viene da un quartiere di Abidjan.

Quella che capisci a tue spese, dopo 3 anni, è un’importante verità: un ivoriano cui hai affidato un lavoro, dandogli una caparra (anche perché altrimenti non lo inizia neanche, il lavoro) non è né un leone né una gazzella, evidentemente.

1 commento:

  1. Chissà quanto nervoso che mangi....poi noi non siamo abituati a questi ritmi..."aspetta che te che vengo io"....

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