I bambini sono a scuola. Fuori c’è l’Harmattan.
Dentro le mie finestre chiuse mi chiedo se anche questa polvere portata dal vento un giorno mi
mancherà.
Se l’aspetterò come un cambiamento, se metaforicamente affidare a questo vento qualcosa di me che non voglio più portarmi dietro.
Se l’aspetterò come un cambiamento, se metaforicamente affidare a questo vento qualcosa di me che non voglio più portarmi dietro.
Vedo, dietro l’angolo di questo anno appena accennato, i
tanti cambiamenti che mi aspettano e non so se sono pronta a lasciare questo
posto in cui ho imparato ad essere me, senza alibi né zavorre o corde di
salvataggio.
Ogni cosa determinata temporalmente ha il sapore acre
dell’ultima volta che la vivi in un contesto che sei destinato a lasciare.
Mi chiedo se pateticamente cercherò di ricrearmi una vita
africana in Italia, se mi mancheranno così tanto gli appigli ormai stabili che
mi sono ricavata a poco a poco tra le rocce di una quotidianità difficile e
sostanzialmente solitaria. Ci ho lasciato unghie e sangue, su quelle rocce. Ma
sono oggi il posto dove cammino più spedita. I sentieri più facili e
conosciuti, quelli che posso fare ad occhi chiusi.
Per ogni cosa che metto via, per ogni cosa che sistemo, mi
chiedo se è un mettere via provvisorio o definitivo, se ci saranno ancora
occasioni africane per quella cosa o se dovrò ritrovarne di italiane.
Questo posto che ho amato tanto, oggi mi sta rendendo più
facile il commiato, tra medicine, malesseri, clima pesante. Ogni giorno più
stanchezza e un pezzo di cuore che supera il sahara e torna da dove è partito
più di tre anni fa.
Resta da vedere che figura verrà fuori, una volta ricomposti
i pezzi.
I saluti sono sempre difficili da digerire, soprattutto se il posto ci ha dato tanto.
RispondiEliminaTi abbraccio forte e aspetto di vedere il puzzle finito.