lunedì 12 gennaio 2015

Malinconia, che porta il vento



I bambini sono a scuola. Fuori c’è l’Harmattan.

Dentro le mie finestre chiuse mi chiedo se anche  questa polvere portata dal vento un giorno mi mancherà.
Se l’aspetterò come un cambiamento, se metaforicamente affidare a questo vento qualcosa di me che non voglio più portarmi dietro.

Vedo, dietro l’angolo di questo anno appena accennato, i tanti cambiamenti che mi aspettano e non so se sono pronta a lasciare questo posto in cui ho imparato ad essere me, senza alibi né zavorre o corde di salvataggio.

Ogni cosa determinata temporalmente ha il sapore acre dell’ultima volta che la vivi in un contesto che sei destinato a lasciare.

Mi chiedo se pateticamente cercherò di ricrearmi una vita africana in Italia, se mi mancheranno così tanto gli appigli ormai stabili che mi sono ricavata a poco a poco tra le rocce di una quotidianità difficile e sostanzialmente solitaria. Ci ho lasciato unghie e sangue, su quelle rocce. Ma sono oggi il posto dove cammino più spedita. I sentieri più facili e conosciuti, quelli che posso fare ad occhi chiusi.

Per ogni cosa che metto via, per ogni cosa che sistemo, mi chiedo se è un mettere via provvisorio o definitivo, se ci saranno ancora occasioni africane per quella cosa o se dovrò ritrovarne di italiane.

Questo posto che ho amato tanto, oggi mi sta rendendo più facile il commiato, tra medicine, malesseri, clima pesante. Ogni giorno più stanchezza e un pezzo di cuore che supera il sahara e torna da dove è partito più di tre anni fa.

Resta da vedere che figura verrà fuori, una volta ricomposti i pezzi.

1 commento:

  1. I saluti sono sempre difficili da digerire, soprattutto se il posto ci ha dato tanto.
    Ti abbraccio forte e aspetto di vedere il puzzle finito.

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