La nostra nuova vita è iniziata psicologicamente il primo
giorno di settembre, con uno spartiacque netto che ci ha reso coscienti senza
ombra di dubbio che una vita per noi, ad Abidjan, non c’è più, al momento. Che l’esperienza
si è davvero definitivamente conclusa.
Con una rentrée al
di sotto del Sahara che per la prima volta in quattro anni non ci ha visto
protagonisti. Nessuna divisa da provare, nessuna foto rituale di bimbi felici,
nessun momento di gioia nel ritrovarsi nella stessa classe, nello stesso banco
o nel cercarsi nella classe affianco.
Con un container pieno di quattro anni di vita africana
arrivato alla Terra di Mezzo. Centottanta
scatoloni colmi e pesanti delle nostre scelte, delle nostre quotidianità,
dei nostri sorrisi, dei nostri colori. Centottanta scatoloni a raccontarci, a
raccontare la nostra Tana Africana, la nostra crescita.
Così mentre gli ex compagni dei miei figli varcavano il
cancello di un nuovo anno scolastico tutto da scoprire e costruire, io tagliavo
il sigillo del nostro container e aprivo il
vaso di Pandora della mia nostalgia.
La consapevolezza della fine reale di questo percorso mi è arrivata così, con un elenco in mano, sotto un sole caldo, stanca da giornate di venti ore e notti di quattro. Una consapevolezza fredda e crudele, nella calda rassicurazione di avere davanti centottanta scatoloni di ciò che renderà questa Tana Italiana tutta nuova, portando Noi nello spazio in cui eravamo stati solo noi.
La consapevolezza della fine reale di questo percorso mi è arrivata così, con un elenco in mano, sotto un sole caldo, stanca da giornate di venti ore e notti di quattro. Una consapevolezza fredda e crudele, nella calda rassicurazione di avere davanti centottanta scatoloni di ciò che renderà questa Tana Italiana tutta nuova, portando Noi nello spazio in cui eravamo stati solo noi.
Una totale assenza di drammi, che mi ha stupito.
Avevo iniziato a piangere a febbraio e da fine giugno non ho versato una lacrima. Neanche una.
Il pezzetto di cuore che credevo di aver lasciato in Costa d’Avorio in un caldo pomeriggio di due mesi fa, è in realtà ancora dentro me a battere forse più lento ma assolutamente riconoscibile. Con alcuni margini netti e altri più sfumati, con confini uniformi o rattoppati, ma è lì.
Avevo iniziato a piangere a febbraio e da fine giugno non ho versato una lacrima. Neanche una.
Il pezzetto di cuore che credevo di aver lasciato in Costa d’Avorio in un caldo pomeriggio di due mesi fa, è in realtà ancora dentro me a battere forse più lento ma assolutamente riconoscibile. Con alcuni margini netti e altri più sfumati, con confini uniformi o rattoppati, ma è lì.
Forse è la meravigliosa consapevolezza di sapere che nessuno
potrà portarmelo via ad avere asciugato le lacrime.
La vita ci regala occasioni… quelle che cogli rimangono tue per sempre, anche dopo anni, anche a migliaia di km di distanza, forse perché hai permesso loro di entrarti dentro e sconvolgerti gli equilibri e tutto ciò che credevi statico diventa un bellissimo turbinio che non sai dove ti lascerà.
La vita ci regala occasioni… quelle che cogli rimangono tue per sempre, anche dopo anni, anche a migliaia di km di distanza, forse perché hai permesso loro di entrarti dentro e sconvolgerti gli equilibri e tutto ciò che credevi statico diventa un bellissimo turbinio che non sai dove ti lascerà.
E quell’oggetto che vedrai non ti sembrerà più straniero e
quella canzone o quella parola che sentirai ti risuonerà dentro con armonia.
Pensavo di aver perso, e invece ho scoperto che le cose ti lasciano solo se le lasci andare, altrimenti restano meravigliosamente e permanentemente tue.
Pensavo di aver perso, e invece ho scoperto che le cose ti lasciano solo se le lasci andare, altrimenti restano meravigliosamente e permanentemente tue.
È così, è vero...le cose ci cambiano, ci trasformano se lo permetamo e diventano parte di noi
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