Ricordi le parole, i gesti, le espressioni, il viso, il modo
di camminare, i gusti, il carattere… ma la voce ti lascia sempre più orfano.
È una cosa che atterrisce, che ti svuota. È l’esatta misura
di quanto si perda la persona e non ciò che ci ha lasciato; è la consapevolezza
che sei pieno di quella persona ma che non potrai mai più avere uno scambio con
lei, che la quota parte della tua crescita che devi a lei si è fermata.
È qualcosa che ti colpisce alle spalle, inaspettatamente,
quando stai facendo cose banali e le tue sinapsi ti portano un ricordo
qualunque, cretino, banale… e vorresti solo avere un giorno, un’ora, anche un
solo minuto di quella voce, di quella possibilità.
Sei ciò che sei anche in virtù di ciò che ti hanno dato,
delle persone che ti hanno formato, che hai incontrato, che hai lasciato
entrare. Il regalo che la vita ci fa è di rendere tutto questo duraturo a
prescindere da tutto: lontananza, scazzi, la stessa morte. La cosa più pesante
della morte di una persona è che non sia più possibile l’evoluzione, il
confronto diretto.
Mio padre mi manca come mi mancherebbe un organo interno non
vitale: vivi lo stesso, ma non è la stessa cosa. Sono ancora nella fase in cui
si cerca un nuovo equilibrio, mi sorprendo ancora a pensare di raccontargli ciò
che mi accade per avere consigli e conforto e mi accorgo che le risposte devo
cercarmele in ciò che di lui mi ha dato negli anni, ma mi manca la voce e
piango come una bambina in momenti intempestivi e improvvisi.
Non ho pianto mio padre, non abbastanza. Troppo dolore,
troppe incombenze, troppa la maledetta razionalità che mi ha insegnato, o che
ho ereditato da lui.
Non posso permettermi di rischiare di schiantarmi in mille
pezzi, perché c’è chi conta su di me e merita di avermi intera.
Se c’è una cosa che mio padre mi ha insegnato, con i consigli e soprattutto con l’esempio, è che la vita va avanti, non aspetta che tu ti riprenda, che devi mantenere lucidità e ritrovare in fretta un equilibrio anche se i piatti della tua bilancia sono stati scossi violentemente. Perché non si vive mai solo per se stessi e non si ha modo e agio di perdersi se si è importanti per qualcuno.
Se c’è una cosa che mio padre mi ha insegnato, con i consigli e soprattutto con l’esempio, è che la vita va avanti, non aspetta che tu ti riprenda, che devi mantenere lucidità e ritrovare in fretta un equilibrio anche se i piatti della tua bilancia sono stati scossi violentemente. Perché non si vive mai solo per se stessi e non si ha modo e agio di perdersi se si è importanti per qualcuno.
Ogni tanto trabocco, sono umana, certo. Non la prendo come
una sconfitta ma piuttosto come un fatto naturale, e vado avanti. Ogni tanto
riesco anche ad essere felice senza sensi di colpa.
Non ho avuto una vita facile, di ciò che sono non mi è stato
regalato nulla e ne sono orgogliosa e forse è anche questo che mi aiuta: so che
ho superato tante cose difficili, alcune molto brutte. So che se oggi sono qui
è anche in virtù di quello che è stato, nel bene e anche nel male.
La vita in fondo non è che la continua evoluzione di se
stessi rispetto a fatti contingenti, imprevisti, occasioni, scelte.
Una volta ero proiettata sul futuro, e perdevo di vista il
presente.
Una volta ero cristallizzata nel passato, e non pensavo di
meritarmi un presente.
Oggi so che la vita è oggi, adesso, questo istante. Posso
programmare, ma c’è sempre il margine di ciò che accade intorno. Ho imparato ad
accettarlo, forse è stato l’ultimo regalo di mio padre.
Ma la voce, dio, la voce è ancora una ferita aperta.
Quello che mi fa male invece è il sapere che non ci saranno più ricordi, mi devo aggrappare a quelli che ho e basta.
RispondiEliminaIo non avevo un rapporto quotidiano e continuativo con mio padre, un po' per carattere, un po' per la distanza fisica che ci divideva. Quindi è facile per me continuare con la mia vita, poi però la sera vado a dormire e penso "mai più, non potrò vederlo, sentirlo, parlargli mai più" e mi sale l'angoscia...
In un certo senso anche io. Sì, condividevamo praticamente tutto, ma non ci sentivamo ogni giorno e vivevamo quel tanto lontani da vedersi una volta al mese al massimo.
EliminaAll'angoscia mi si somma anche il senso di colpa per non averlo visto di più, per non essere stata più presente fisicamente. Poi la vita va avanti, anche con facilità come dici giustamente tu, ma quando ti colpisce colpisce duro.