Caro Architettone
oggi sono finalmente riuscita a venirla a trovare. Mancavo da più di nove anni e mi sentivo quasi imbarazzata.
Nella sua casa attuale mancano le sedie, e mi è quasi scappato un sorriso a pensare che lei di sicuro ne avrebbe progettate di adatte, per riunirci tutti lì e magari fare anche due chiacchiere o cantare una canzone.
Mancavo da una mattina caldissima di inizio agosto, quando
avevo dentro un dolce segreto che era tale forse solo per la parte razionale di
me, quando forse quella più intima sapeva già. Durante il viaggio che mi aveva
portato lì, avevo avuto quasi un lampo di consapevolezza, finito presto nella
coscienza del reale, del saluto, del concreto. Era un segreto che avrei tanto voluto
poter avere la possibilità di condividere con lei, che lo avrebbe accolto con
un sorriso, ne sono certa.
Sono venuta a confessarle la mia vigliaccheria, sperando
nella sua assoluzione. Vigliaccheria per non essere riuscita più a venire,
vigliaccheria per tutte le volte che tornando da un mercatino a notte fonda
alzavo gli occhi su una finestra illuminata e pensavo “domani vado” e poi la
luce di giorno mi toglieva il coraggio.
Ci sono andata sa, una o due volte. Ho salito quelle scale, ho poggiato la mano sulla ringhiera di cui andava tanto fiero, ho parlato, forse anche riso, ma sono tornata a casa con una pesantezza densa ad inzupparmi il cuore.
Ci sono andata sa, una o due volte. Ho salito quelle scale, ho poggiato la mano sulla ringhiera di cui andava tanto fiero, ho parlato, forse anche riso, ma sono tornata a casa con una pesantezza densa ad inzupparmi il cuore.
La sua era l’ultima porta, avevo bussato a tutte e in tutte
avevo provato la sensazione sgradevole di non essere una persona, di essere una
provenienza, una diversità.
Ricordo ancora come mi sentissi demoralizzata da un posto che rimarcava costantemente il mio non appartenergli, in quel primo gennaio toscano. E per la prima volta trovai calore. Forse il primo pezzo del mio cuore lei lo ha conquistato lì, quella prima mattina. Io non so mentire, così misi le mie carte in tavola, e lei sorrise. Come sorride un padre, o un nonno.
Ricordo ancora come mi sentissi demoralizzata da un posto che rimarcava costantemente il mio non appartenergli, in quel primo gennaio toscano. E per la prima volta trovai calore. Forse il primo pezzo del mio cuore lei lo ha conquistato lì, quella prima mattina. Io non so mentire, così misi le mie carte in tavola, e lei sorrise. Come sorride un padre, o un nonno.
Nel poco tempo che abbiamo lavorato insieme, lei mi ha
insegnato la passione per il mestiere, la tenacia, e anche tante altre cose che
ho capito dopo.
Ma soprattutto lei mi ha dato empatia.
Ma soprattutto lei mi ha dato empatia.
Ognuno ha la sua cartina al tornasole per valutare chi ha di
fronte, la mia è la diversità.
Un giorno le parlai di mia sorella, non so come venne fuori il discorso, e lei mi parlò di una ferita del passato. Era una ferita che grondava amore e ancora oggi sento dentro il grande privilegio insito nel permettermi di vederla.
Poi un giorno venne Ale a studio con me, era estate e lei aveva un gran cerotto sul petto, in alto. Prima ancora che potessi farlo io, lei la rassicurò con il tono e le parole giuste, senza paternalismo, senza difficoltà, senza pietà: è stata una delle pochissime persone capaci di fondere consapevolezza, rispetto e dolcezza, nell’approccio con lei. Ed è stato allora che lei mi è entrato nel cuore, e non se ne è più andato.
Un giorno le parlai di mia sorella, non so come venne fuori il discorso, e lei mi parlò di una ferita del passato. Era una ferita che grondava amore e ancora oggi sento dentro il grande privilegio insito nel permettermi di vederla.
Poi un giorno venne Ale a studio con me, era estate e lei aveva un gran cerotto sul petto, in alto. Prima ancora che potessi farlo io, lei la rassicurò con il tono e le parole giuste, senza paternalismo, senza difficoltà, senza pietà: è stata una delle pochissime persone capaci di fondere consapevolezza, rispetto e dolcezza, nell’approccio con lei. Ed è stato allora che lei mi è entrato nel cuore, e non se ne è più andato.
Tre giorni fa anche sua moglie è venuta ad abitare in quel
posto per cui alcuni hanno una facile definizione ma che poi in finale è solo
un oltre, ciò che è dopo ai passi fatti insieme. Un luogo silenzioso di passi
dell’anima, il nulla e il tutto.
Forse è questo che mi ha dato il coraggio stamattina, il sapervi insieme.
Forse è questo che mi ha dato il coraggio stamattina, il sapervi insieme.
Ogni coppia ha il suo punto di equilibrio e cade per ognuno
in un posto diverso. Ogni coppia non è che la ricerca, la protezione e il
mantenimento di quella posizione in cui tutti i tasselli combaciano e in cui si
sta bene senza arrecare disturbo all’altro. Ci sono coppie che oscillano
intorno a quel punto durante tutta la vita comune, senza mai trovare il punto
esatto in cui l’io e te combaci perfettamente con il noi. Ed è un punto che
rimane incomprensibile a chi osserva, è un punto che parla un linguaggio
diverso, è un punto di cui è più facile avvertire l’assenza, più che l’essenza.
Quando salii quelle scale, questo mi colpì. L’assoluta
percezione della mancanza di equilibrio, l’assoluta percezione dell’assenza.
Quando hai passato la vita accanto ad un uomo come lui, come puoi guardare il resto e trovarlo ancora bello? Questo disse lei, quel giorno, concretizzando la mia sensazione. E togliendomi ogni forza di tornare.
Quando hai passato la vita accanto ad un uomo come lui, come puoi guardare il resto e trovarlo ancora bello? Questo disse lei, quel giorno, concretizzando la mia sensazione. E togliendomi ogni forza di tornare.
Ora c’è di nuovo equilibrio, il vostro.
Forse per questo sono uscita oggi dalla vostra nuova casa piangendo, ma inspiegabilmente serena.
Forse per questo sono uscita oggi dalla vostra nuova casa piangendo, ma inspiegabilmente serena.
bellissimo post, emozionante! complimenti Lory
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