Milano mi piace: mi è piaciuta in estate, deserta e con un
cielo da cartolina, mi è piaciuta in un freddo capodanno con un’aria noncurante
e sospesa, mi è piaciuta in questo maggio che sembra marzo, in metropolitane
affollate e strade piene di turisti e persone indaffarate nei loro perché.
Questa volta, Milano è stata il mio primo MammacheBlog: un
evento cui volevo assolutamente partecipare, dopo anni in differita. Un evento
che mi ha fatto fare il pieno di sorrisi, di abbracci, di stimoli, di amicizia,
di tante persone finalmente conosciute al di là di quello schermo che un po’ ci
unisce tutte. Un evento in cui finalmente puoi toccare con mano l’impatto di
ciò che hai costruito, dell’amore e dell’impegno che ci hai messo. Pare poco.
Questa volta Milano è stata una chiacchierata ad un tavolino
di un bar, importante e preziosa. È stata l’abbracciare finalmente una persona
con cui dividi scazzi, gioie, preoccupazioni, qualunque cosa da quattro anni,
senza averla mai vista dal vivo. È stata un gruppo che ha la sua forza nella
stima, nel conoscere punti forti e deboli l’una dell’altra, nel concederseli,
nel perdonarseli, nello stimolarsi a mettersi in gioco, giorno dopo giorno.
Questa volta, Milano, è stata una strana quotidianità
condivisa con una persona cui voglio molto bene. Sono stati momenti rubati agli
impegni di ognuna, bei momenti, parole, racconti, confronto. Quelle cose che
seppur brevi hanno un peso specifico enorme, nell’economia dell’esistenza.
Questa volta Milano è stata una strana autonomia cui non ero
abituata: 5 giorni per me, per il mio lavoro (che mi concedo di non mettere tra
virgolette, perché alla fine tale è devo essere la prima a riconoscerlo, per
dargli la dignità che merita), lontana dai tre uomini più importanti della mia
vita. Era già capitato, ma solo per problemi di salute. È stata una solitudine
pesante e strana, fatta di sigarette per riempire un vuoto, fatta di negozi da
vedere con tranquillità, fatta di voglia di condividere e mani libere da manine
piccole e sudate. Forse ci si può fare l’abitudine, ma è presto.
Questa volta, Milano, è stata un’assoluta e limpida
nostalgia di qualcosa che vorrei e che non avrò mai, a meno di ribaltare di
nuovo tutto quanto. È stata una Milano dove tocchi le occasioni, dove il tuo
lavoro avrebbe un senso decisamente diverso, dove scopri che un posto può
essere un concime per ciò che stai piantando, semplicemente. Ho amato ogni
viaggio in metro che mi ha portato a svolgere un lavoro, in quei giorni piovosi
e un po’ pigiati di mille cose. Ho rimpianto ogni viaggio che non farò. Una scrivania
in un posto bellissimo per lavorare confrontandosi con realtà diverse dalla tua
ma recettive, costruttive, abituate allo scambio.
Ecco, Milano è stato tutto questo, con un piatto della
bilancia che si alzava e si abbassava a seconda del contesto, della compagnia o
della solitudine, del reale o del virtuale.
Milano mi ha lasciato piena di sorrisi e concretezza, di
puntini di sospensione e congiuntivi. E forse, anche, un po’ vuota perché
essere soddisfatti e felici è ben poca cosa se non puoi esserlo guardando in
faccia chi ami.
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