Siamo tornati.
Tornati alla nostra pioggia calda, al cielo fosco, ad essere
puntolini bianchi nel mare nero.
Tornati in quella che, per la prima volta in 3 anni, iniziamo a sentire meno “tana”.
Tornati in quella che, per la prima volta in 3 anni, iniziamo a sentire meno “tana”.
Ci siamo scoperti, in Italia, proiettati nella nostra
vecchia tana, con l’occhio e i pensieri tesi a pensare a come trasferire in
quelle mura che ci han visti diventare quattro e poi partire, quello che siamo
diventati.
Questi tre anni ci hanno cambiato tanto.
Sono stati un enorme banco di prova per la nostra famiglia, sono stati gradini aggiunti nella scala della nostra autonomia, sono stati finestre spalancate sul confronto e un vestire panni che in Patria vestono altri.
Sono stati un enorme banco di prova per la nostra famiglia, sono stati gradini aggiunti nella scala della nostra autonomia, sono stati finestre spalancate sul confronto e un vestire panni che in Patria vestono altri.
Ora bisognerà rendere giustizia a tutto questo, trasformare
la Tana perché ci assomigli, perché ora come ora potrebbe essere la casa di
chiunque, da quanto è impersonale.
La nostra casa italiana non parla di noi, parla il linguaggio
confuso di una coppia stanca, sepolta dal supremo impegno di crescere due figli
e farlo al meglio, parla il linguaggio di due bambini piccoli e di fiabe
raccontate la sera. Parla il linguaggio di una donna che si sentiva sconfitta e
dei trenta kg che la separano dalla donna di oggi.
Parla di fumetti da ragazza, libri per ridere, mille cose
tenute per sentirsi al sicuro.
Oggi non siamo più quelli che sono partiti e stare lì è come
trovarsi nella casa di un altro, solo che quell’altro eri tu. Uno specchio sul
passato, prezioso e angosciante.
Anche la Tana Africana ci rappresenta meno, oggi.
Una data di scadenza stampigliata tra le scapole ci dice che qui siamo ospiti e non ci fa sognare modifiche, cambiamenti, personalizzazioni.
Una data di scadenza stampigliata tra le scapole ci dice che qui siamo ospiti e non ci fa sognare modifiche, cambiamenti, personalizzazioni.
Avevo detto che no, a noi non sarebbe successo. Me l’ero
promesso.
Avevo guardato gli altri smettere di attaccarsi alle cose e guardarle con distacco di chi sa esattamente quando dovrà lasciarle, e avevo detto “per me non sarà così”. Però se oggi vedo un oggetto, quell’oggetto è per la Tana Italiana, non per quella Africana.
Avevo guardato gli altri smettere di attaccarsi alle cose e guardarle con distacco di chi sa esattamente quando dovrà lasciarle, e avevo detto “per me non sarà così”. Però se oggi vedo un oggetto, quell’oggetto è per la Tana Italiana, non per quella Africana.
Guardi le cose con distacco, ti affezioni meno. C’è chi è
abituato all’idea di cambiare mondo ogni tot, i civili dell’Ambasciata, per
dirne una, e non capisce il tuo smarrimento e le tue lacrime al pensiero che
lascerai questa terra, questa casa, la te stessa che ti sei costruita qui.
In questo momento la vita è tornata alla quotidianità, qui.
Bimbi a scuola, Marito Paziente al lavoro, io al pc per Instamamme o a lavorare
su altro. Nei momenti di pausa, però, c’è un sottile senso di smarrimento, di
vita che va troppo veloce, di qualcosa che vorresti non si fermasse o che forse
sì, si fermasse.
Poi guardi fuori e ti rendi conto che l’anno prossimo a
posto delle palme vedrai castagni e ti senti sospesa, tra ciò che sei e ciò che
sarai.
Decidi di goderti le palme, poi chissà.
Decidi di goderti le palme, poi chissà.