L’importanza di passare dall’indicativo al condizionale.
Lo status di Amicadisempre
su FB, qualche tempo fa.
Uno status che mi ha smosso dentro, che mi ha fatto riflettere un bel po’.
Uno status che mi ha smosso dentro, che mi ha fatto riflettere un bel po’.
L’indicativo è il modo più egocentrico di vedere la vita: in
qualsiasi tempo lo declini, implica certezze, imposizioni, un cammino segnato,
decisioni già prese.
È un porsi rispetto alla vita di petto con le proprie convinzioni. È un modo utilissimo quando ci si pone un obiettivo importante, implica in sé già la voglia e la fiducia in se stessi di cui necessita la nostra avventura.
È un porsi rispetto alla vita di petto con le proprie convinzioni. È un modo utilissimo quando ci si pone un obiettivo importante, implica in sé già la voglia e la fiducia in se stessi di cui necessita la nostra avventura.
Il condizionale è il modo del dubbio, del compromesso:
implica incertezza e mediazione, strade fatte un passo alla volta e decisioni
in divenire.
È un percorso di vita fatto di mediazioni e interrogativi. È il modo che ci fa analizzare tutto ciò che facciamo, che implica l’importanza di prendere in considerazione fattori esterni da noi stessi.
È un percorso di vita fatto di mediazioni e interrogativi. È il modo che ci fa analizzare tutto ciò che facciamo, che implica l’importanza di prendere in considerazione fattori esterni da noi stessi.
Questo meraviglioso modo, il condizionale, implica
l’accettare il compromesso di un “se” non governato da noi. È il modo verbale e
psicologico più sociale che abbiamo poiché accetta che non tutto sia deciso,
che ci siano altre persone e volontà da prendere in considerazione. La
differenza tra “farò” e “farei”, nella società, è sostanziale.
Il condizionale implica in sé anche l’accettazione di un
eventuale cambiamento e prende in considerazione quello che l’indicativo non
riesce a gestire: l’imprevisto.
Inserire ed accettare l’elemento sorpresa nella propria vita non è cosa da poco: ci vuole maturità e neanche poca, a dirla tutta.
Inserire ed accettare l’elemento sorpresa nella propria vita non è cosa da poco: ci vuole maturità e neanche poca, a dirla tutta.
Il nostro percorso linguistico, parallelamente a quello
psicologico, parte dall’affermazione di noi stessi e della nostra volontà. Per
il bambino, l’”io” è tutto: ha bisogno di imporsi per attribuirsi una sicurezza
di se stesso che gli permetta di superare i suoi limiti e non a caso
l’indicativo è il primo modo con in quale ci si confronta.
Ad un certo punto, concedetemi il “dovrebbe”, entrare il condizionale, nel linguaggio del bambino. E non perché è importante che il bambino parli una lingua corretta (anche se, su questo, la fra è una talebana), bensì proprio per le implicazioni psicologiche che questo comporta.
Ad un certo punto, concedetemi il “dovrebbe”, entrare il condizionale, nel linguaggio del bambino. E non perché è importante che il bambino parli una lingua corretta (anche se, su questo, la fra è una talebana), bensì proprio per le implicazioni psicologiche che questo comporta.
La nascita e lo sviluppo dell’aspetto sociale della vita è
necessariamente legata all’idea che non si debba affermare se stessi sempre e
comunque e che si possa accettare, anche se a fatica, che la nostra volontà,
scontrandosi con quella altrui, possa risultare perdente.
L’importanza di una mediazione, di una negoziazione, è
fondamentale. Nel bambino e nell’adulto che diventerà. Accettare un
condizionale è un passo enorme, nella vita. Fa la differenza tra l’immaturità e
la maturità, tra l’asocialità e la socialità.
Il condizionale è il modo del dialogo e del confronto.
Dovrebbe essere la forma verbale più usata al mondo. E invece.
Il condizionale è anche il modo dell’amore, dell’affetto e
della stima. Ovviamente non nelle affermazioni, ma nelle decisioni: quando il
“vorrei” vince sul “voglio”, la coppia funziona, per dire. Due “voglio”
contrapposti fermano la vita, due “vorrei” camminano insieme cercando passi
comuni.
Se l’indicativo è il modo dell’agire e dell’affermare, il
condizionale è il modo del pensiero e della riflessione, come anche
dell’accettazione e implica la grande maturità e coscienza di se stessi da
riconoscere ciò che oggettivamente non si può da quello che è invece nelle
nostre possibilità e capacità.
Il condizionale, usato con facilità, è la lingua degli alibi per se stessi. La differenza tra un “vorrei ma” e un “vorrei se” è sostanziale, nell’approccio alla vita.
Il condizionale, usato con facilità, è la lingua degli alibi per se stessi. La differenza tra un “vorrei ma” e un “vorrei se” è sostanziale, nell’approccio alla vita.
Il condizionale è un modo meravigliosamente adulto di
affrontare le vita, la socialità, i rapporti personali, il lavoro, il futuro.
Quando capisci l’importanza di passare dall’indicativo al
condizionale hai fatto un passo enorme: non sei più una persona, sei una
Persona. Con tutto il peso e l’importanza di una maiuscola.
Ho adorato la frase "due voglio contrapposti fermano la vita, due vorrei camminano insieme cercando passi comuni". Ci sono grandi verità, a un centimetro dai nostri occhi...
RispondiElimina<3
Eliminama come è difficile, a volte, vederle queste verità!
Mi piace molto e mi fa riflettere questa tua analisi fra indicativo e condizionale. Ti seguo da un po', ma credo di non aver commentato. Poco tempo fa ho parlato di un tuo articolo anche nella rubrica che tengo sul mio blog sui "Blog italiani nel mondo".
RispondiEliminasai che la cosa mi era sfuggita? purtroppo non ho mai molto tempo per dedicarmi al blog :-(
EliminaComunque grazie! <3
È motlo bella questa analisi .qualcosa di cui tenere conto.
RispondiEliminagrazie! <3
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