Mi stavo rendendo conto, ieri, del fatto che ho saltato la
barricata.
No no, sono sempre etero, sempre mamma, sempre innamorata,
sempre quella che sono. Solo, con qualcosa in più.
Quel qualcosa in più è una seconda lingua. Che sembra banale a dirsi, ma non lo è.
Le mie difficoltà linguistiche, appena arrivata qui, erano
allucinanti. Da una parte non ero in grado di esprimere me stessa, dall’altra,
fondamentalmente, non capivo loro.
Il che mi poneva in una sensazione di disagio perenne, avevo sempre bisogno di un interprete.
Il che mi poneva in una sensazione di disagio perenne, avevo sempre bisogno di un interprete.
Ovvio che, in due anni e quasi mezzo, le cose si siano
evolute. Ora sono in grado di fare delle conversazioni, di seguire lezioni di
cucina in francese, di leggere un testo e capirlo (magari non proprio tutte le
parole, ma lo capisco), di spiegare qualcosa a qualcuno.
Quello che però mi ha stupito non è che parlo, in francese.
Io, oggi come oggi, penso, in francese.
Quando rielaboro qualcosa nel mio cervello capita sempre più frequentemente che lo faccia in francese. In questo momento, per dire, mi è più facile capire le istruzioni di qualcosa (dal medicinale al detersivo) in francese piuttosto che in italiano. Se ci sono entrambe le lingue, lo leggo in francese, mi viene (ed è allucinante, a rifletterci) più facile.
Quando rielaboro qualcosa nel mio cervello capita sempre più frequentemente che lo faccia in francese. In questo momento, per dire, mi è più facile capire le istruzioni di qualcosa (dal medicinale al detersivo) in francese piuttosto che in italiano. Se ci sono entrambe le lingue, lo leggo in francese, mi viene (ed è allucinante, a rifletterci) più facile.
L’altro giorno, ad un atelier di cucina, tenuto ovviamente
in francese, ho preso degli appunti strani e sbilenchi.
Il mio cervello dava l’input di scrivere in francese e io non so scrivere in francese. Ma quando mi viene detto “crème fraîche” io ormai penso crème fraîche, non più panna. Quando sento quatre-vingt-dix-neuf il cervello non deve più fare l’operazione, registra 99 e va avanti.
Quando scrivo, la mia mente deve, paradossalmente, fare lo sforzo di tradurre nella mia lingua un concetto che gli è perfettamente chiaro anche nell’altra, ma che non so appuntarmi se non in italiano.
Il mio cervello dava l’input di scrivere in francese e io non so scrivere in francese. Ma quando mi viene detto “crème fraîche” io ormai penso crème fraîche, non più panna. Quando sento quatre-vingt-dix-neuf il cervello non deve più fare l’operazione, registra 99 e va avanti.
Quando scrivo, la mia mente deve, paradossalmente, fare lo sforzo di tradurre nella mia lingua un concetto che gli è perfettamente chiaro anche nell’altra, ma che non so appuntarmi se non in italiano.
Questo significa ovviamente che è giunta l’ora di affrontare
il francese scritto, dopo il parlato e la lettura.
Ma significa pure che mi sono arricchita di qualcosa senza accorgermene, senza svolte epocali, senza drammi o riflettori. Improvvisamente, certe cose nella mia testa hanno nomi che due anni fa non conoscevo.
Ma significa pure che mi sono arricchita di qualcosa senza accorgermene, senza svolte epocali, senza drammi o riflettori. Improvvisamente, certe cose nella mia testa hanno nomi che due anni fa non conoscevo.
Se mi ci fermo a riflettere la cosa mi lascia quasi
spaesata, poi torno a pensare a quanti bouchon
di adoucissante devo mettere nella
lavatrice, e la vita va avanti serenamente.
Che bello sentirsi padroni di una lingua che non è la nostra.
RispondiEliminaAffrontare lo scritto è un'altra cosa, tutti quegli accenti..ma sapendolo parlare bene, sarai avvantaggiata.
bene... diciamo che me la cavo. Ma sto iniziando a collegare i suoni alla scrittura, finalmente!
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