Da quando il patato grande ha iniziato la scuola la fra attendeva il grande momento. Il momento di "il mio migliore amico", "il mio compagno preferito"...ma soprattutto il momento di "la mia fidanzata".
Essendo il patato un patato per niente scaltro e decisamente sociopatico-snob, la fra, come dire, se l'era messa via.
Così, mentre le altre mamme, alla Terra di Mezzo, parlavano civettuole di bacini, regalini, affetto e fidanzatE, la fra provava timida a sondare l'interesse del figlio grande per altra metà del cielo ricevendo sempre reazioni sdegnate alla "manco le guardo e comunque non sono cazzi tuoi". Sempre grandi soddisfazioni, sto figliolo.
Arrivati qui, patato grande, che è sempre stato un bimbo con interessi e modi più grandi della sua età e che a 3 anni (cioè quando ha iniziato, più o meno a comporre le frasi) parlava usando congiuntivo e condizionale e usando termini appropriati e quasi "ricercati", s'è trovato prima a non sapere totalmente la lingua e poi a fare i conti con una scarsità linguistica frustrante per uno che ama chiacchierare e che sceglie le parole da usare.
Pertanto la sua vita sociale era molto molto compromessa.
Ad un certo punto, la svolta.
I coniugi latana si sono rivolti ad un insegnate inflessibile e divertente: la televisione. Hanno preso i canali disney nel loro pacchetto satellite in francese e han messo a disposizione della figliolanza un divertimento/apprendimento. Rapido, rapidissimo.
Con una maggiore conoscenza della lingua, chiaramente anche l'aspetto sociale della vita patata è cambiato.
E, un giorno, il patato ha buttato lì un "la mia fidanzata".
La fra un altro po' e le prende una sincope, non era pronta.
Con le lacrime agli occhi ne ha domandato al patato il nome, già pregustando inviti a giocare a casa e tutta quella serie di sfacciate smancerie tipiche di quell'età.
"Non lo so". Ok, non era esattamente questa la risposta che mi aspettavo, facciamo rewind sui sogni ad occhi aperti e approfondiamo.
"Ma patato, lei LO SA che è la tua fidanzata?"
"Sì che lo sa" Ovvio, cazzo di domande fai, mamma. E comunque non sono cazzi tuoi.
L'unica cosa che ci era data sapere è che la bimba in questione era al tavolo della pomme insieme al patato.
Dalla maitresse, io e il coresponsabile biologico abbiamo poi appreso che questo fidanzamento c'era per davvero e che la fortunata rispondeva al nome di Calye (che la fra la primissima cosa che ha pensato è stata: ottimo, 6 mani fanno sempre comodo), ma sul resto della question amoureuse calava un velo di omertà.
Finché un giorno il patato se n'è uscito, a tavola, con un noncurante "ma fiancée s'appelle Calye".
Il contingente adulto della maison la tana è rimasto con la forchetta a mezz'aria, incredulo sia per la formulazione della frase che per il contenuto della stessa.
Mortino ha detto, lapidario, "la mia si chiama Andrea", ponendo subito in chiaro che era così e basta. Che poi l'unica Andrea che si conosce è una compagna del fratello, il ché rende estremamente improbabile la cosa.
Insomma la fra e il marito hanno iniziato, nel tempo, a punzecchiare il patato sull'argomento.
"no, ti ho detto che non glieli do i bacini"
Ecco, una bimba felice.
Finché finalmente ad aprile il patato ha festeggiato i suoi tanto agognati cinq ans, in classe. Per l'occasione la fra ha preparato tramezzini col prosciutto cotto tagliati a stellina e baguette con la mortadella (sììììì semo de roma, mortazza rulez)...chiaramente mentre incartava il tutto la fra si è anche ricordata che buona metà dei compagni dell'enp aveva altissima probabilità di essere musulmana, oh yeah, come farsi degli amici, per dire.
Insomma, ci venne proposto un servizio fotografico della festicciola e accettammo. Senza sapere che saremmo stati immortalati anche noi, ché magari il marito si metteva i pantaloni puliti e la fra si lavava i capelli, ecco.
Ma comunque: patato contento, amichetti contenti, evviva.
Tipo 2 giorni dopo riceviamo l'album con le foto, 15, che avevamo chiesto.
E...sorpresa. Vicino al patato, quasi in ogni foto, c'era una bellissima bambina con le treccine.
"Chi è questa bimba amore?"
"E' Calye, la mia fidanzata" A mà ma te devo dì tutto?
"Gliel'hai dato un bacino a Calye?"
"NO" Aridanga. Ma due cazzi tuoi stracinati in padella no, eh?
Poco prima della partenza per l'Italia, tagliamo i capelli al patato. un taglio diverso: corti corti dietro e laterali e più lunghi sopra, un taglio meno paciocco ma non coatto.
"Allora, che ha detto Calye dei tuoi capelli?"
"Le sono piaciuti" ha detto un patato coccoloso.
E la fra ha iniziato a sperare. Perché è attraverso l'apprezzamento altrui che a questa età si costruisce l'autostima e la coscienza di se stessi.
Tornati dall'Italia deve esserci stata una svolta, perché alla domanda "ma glieli dai i bacini a Calye?"
la risposta è stata un "Sì" timido e con le guance rosse.
E per andare alla festa di Hopiùnomicheanni il patato s'è voluto mettere la camicia e il pantalone fighetto e anche il profumo.
Finché l'altro giorno, a colazione (ché nella maison latana il momento del pasto rappresenta il momento della condivisione e del racconto), l'enp se n'è uscito con "quando saremo adulti anche io e Calye andremo a vivere insieme".
Ecco, poi dice che una odia la nuora.
giovedì 21 giugno 2012
venerdì 8 giugno 2012
Feste diplomatiche
Avendo iscritto i propri figli in una scuola privata, ai coniugi latana s'è aperto un mondo che prima gli era completamente sconosciuto.
I nostri figli studiano, giocano, festeggiano i compleanni, mangiano e litigano con figli di ambasciatori, diplomatici, professionisti. Gente ricca, ma tanto.
Gente che non si muove senza autista.
Gente che ha una nounou per ogni figlio e una schiera di bonne a pulirgli la casa e a cucinare.
Recentemente siamo stati invitati alla festa di Hopiùnomicheanni, compagna di classe del figlio grande. La fra che, oltre ad avere un figlio piccolo malaticcio e una casa al limite accettabile dello zozzo, avrebbe avuto una cena chez soi con 9 persone sedute, ha gentilmente declinato e ha mandato marito e principe ereditario da soli.
Solo che quando il marito s'è recato con il solito libro presso la casa di Hopiùnomicheanni, s'è trovato davanti un'ambasciata ed ha appreso che la festeggiata era la figlia dell'ambasciatore del Gabon.
Il marito, dopo aver mandato il figlio grande a pascere insieme agli amichetti, si è ritrovato in una sala che da quanto era fredda potevi tranquillamente metterci le lonze appese, con tavoli apparecchiati di bianco e le sedie rivestite. Manco al matrimonio nostro, per dire.
Essendo una festa con orario 14:30-18:00, il marito chiaramente ha declinato il buffet, che però possiamo immaginare, come dire, ricco (che poi, che cacchio di orario è? o non pranzi e allora vai lì che ti mangi pure le sedie oppure mica che ti puoi mangiare l'abbacchio alle 3 del pomeriggio, no?).
Un'atmosfera comunque assolutamente friendly, l'ambasciatore ha perfino fatto delle bellissime foto a marito e figlio grande e ce le ha mandate via mail.
Sicuramente però un livello diverso da tutte le altre feste cui avevamo partecipato in precedenza.
E' uso comune, qui, regalare dei sacchetti con giochini stupidi e caramelle a tutti i partecipanti alla festa (si fa anche se si festeggia a scuola: la fra ha preparato 34 bustine per il compleanno patato)...ecco, all'atto del commiato, dopo le candeline di rito, il patato ha ricevuto un peluche. Oltre alle caramelle di default, ovvio.
Non ho ancora ben capito se questa cosa mi piaccia o no.
Cioè l'idea mi piace molto, ringraziare chi ha voluto festeggiare con te è una cosa molto carina. Ma che bisogno c'è di fare un vero e proprio regalo?
L'idea della fra di regalino agli invitati è più o meno un sacchetto di dolcetti, meglio ancora se fatti a mano, confezionato carino e magari personalizzato.
Invece sembra quasi che sia un modo per dimostrare qualcosa: che si può, che si è generosi, ricchi.
Fa parte di una mentalità che decisamente non conosciamo: francamente le probabilità che la famiglia latana venisse a contatto con l'ambiente diplomatico alla Terra di Mezzo erano un pelo superiori a quelle che nevicasse in Costa d'Avorio, ma proprio un pelo.
La fra immaginava l'ambiente diplomatico fatto di persone ingessate e formaliste e invece ha scoperto che non è assolutamente così se non nelle occasioni ufficiali.
Solo che la fra dovrà imparare a leggere bene gli inviti e a fare regali adeguati, decisamente.
Altrimenti rischia che il regalino di partecipazione ricevuto dai figli sia più costoso di quello che ha comprato lei per il festeggiato. Il ché, come dire, non è bello.
...
...
...
Non gliela posso fà.
I nostri figli studiano, giocano, festeggiano i compleanni, mangiano e litigano con figli di ambasciatori, diplomatici, professionisti. Gente ricca, ma tanto.
Gente che non si muove senza autista.
Gente che ha una nounou per ogni figlio e una schiera di bonne a pulirgli la casa e a cucinare.
Recentemente siamo stati invitati alla festa di Hopiùnomicheanni, compagna di classe del figlio grande. La fra che, oltre ad avere un figlio piccolo malaticcio e una casa al limite accettabile dello zozzo, avrebbe avuto una cena chez soi con 9 persone sedute, ha gentilmente declinato e ha mandato marito e principe ereditario da soli.
Solo che quando il marito s'è recato con il solito libro presso la casa di Hopiùnomicheanni, s'è trovato davanti un'ambasciata ed ha appreso che la festeggiata era la figlia dell'ambasciatore del Gabon.
Il marito, dopo aver mandato il figlio grande a pascere insieme agli amichetti, si è ritrovato in una sala che da quanto era fredda potevi tranquillamente metterci le lonze appese, con tavoli apparecchiati di bianco e le sedie rivestite. Manco al matrimonio nostro, per dire.
Essendo una festa con orario 14:30-18:00, il marito chiaramente ha declinato il buffet, che però possiamo immaginare, come dire, ricco (che poi, che cacchio di orario è? o non pranzi e allora vai lì che ti mangi pure le sedie oppure mica che ti puoi mangiare l'abbacchio alle 3 del pomeriggio, no?).
Un'atmosfera comunque assolutamente friendly, l'ambasciatore ha perfino fatto delle bellissime foto a marito e figlio grande e ce le ha mandate via mail.
Sicuramente però un livello diverso da tutte le altre feste cui avevamo partecipato in precedenza.
E' uso comune, qui, regalare dei sacchetti con giochini stupidi e caramelle a tutti i partecipanti alla festa (si fa anche se si festeggia a scuola: la fra ha preparato 34 bustine per il compleanno patato)...ecco, all'atto del commiato, dopo le candeline di rito, il patato ha ricevuto un peluche. Oltre alle caramelle di default, ovvio.
Non ho ancora ben capito se questa cosa mi piaccia o no.
Cioè l'idea mi piace molto, ringraziare chi ha voluto festeggiare con te è una cosa molto carina. Ma che bisogno c'è di fare un vero e proprio regalo?
L'idea della fra di regalino agli invitati è più o meno un sacchetto di dolcetti, meglio ancora se fatti a mano, confezionato carino e magari personalizzato.
Invece sembra quasi che sia un modo per dimostrare qualcosa: che si può, che si è generosi, ricchi.
Fa parte di una mentalità che decisamente non conosciamo: francamente le probabilità che la famiglia latana venisse a contatto con l'ambiente diplomatico alla Terra di Mezzo erano un pelo superiori a quelle che nevicasse in Costa d'Avorio, ma proprio un pelo.
La fra immaginava l'ambiente diplomatico fatto di persone ingessate e formaliste e invece ha scoperto che non è assolutamente così se non nelle occasioni ufficiali.
Solo che la fra dovrà imparare a leggere bene gli inviti e a fare regali adeguati, decisamente.
Altrimenti rischia che il regalino di partecipazione ricevuto dai figli sia più costoso di quello che ha comprato lei per il festeggiato. Il ché, come dire, non è bello.
...
...
...
Non gliela posso fà.
sabato 2 giugno 2012
qqquiiiiii miciomiciomiciomicio [cit.]
Una delle ennemila domande che i coniugi latana hanno fatto ai loro predecessori (mica niente, la fra si è presentata con raccoglitore plastificato con le domande e la penna per scrivere le risposte) riguardava la possibilità di portarsi al seguito animali domestici.
La prima figlia dei coniugi latana è infatti una bella e stronzissima gattona, scelta personalmente dalla fra in una imprevista cucciolata fatta su un balcone di un padrone di cani di taglia enorme, cui è stato dato il nome della protagonista di uno dei fumetti preferiti della fra. Per far capire quanto la nostra gatta sia importante per noi basti dire che dopo 24 ore di aerei per tornare dal viaggio di nozze in Perù, i coniugi latana si son messi in macchina per andarsela a riprendere e si son fatti roma-paesedelcazzoespostosoloanord (ridente cittadina di mezza montagna vicina alla Terra di Mezzo)-roma in una giornata. Due folli.
Comunque alla domanda, ci fu risposto che loro non avevano animali domestici prima, ma che si eran presi un gattino qui, senza problemi.
Aaaaaaaaaaaah, aveva tirato un sospiro la fra,che adora la sua stronza gattona.
Certo, però devi stare attenta che non esca che sennò se lo mangiano, ah ah ah.
Ah, vabbeh, sta scherzando, che simpatica.
Insomma quando si è trattato di fare i biglietti aerei, a novembre, la fra si è trovata al bivio della decisione: comprare il biglietto anche a bimba Kira o no.
Nel marasma dell'organizzazione iniziale, la fra era per portarla, il marito no. Si arrivò al compromesso di non portarla sùbito: andiamo, vediamo com'è e poi decidiamo.
Di questa decisione la fra non era contentissima, ma quando si è trovata a gestire una casa piena di scatoloni e due figli malaticci con un marito lavorante, ne ha apprezzato le conseguenze. Nel frattempo gatta Kira si satollava allegramente a croccantini a casa dei nonni materni.
Poi, passato il periodo clou organizzativo e sanitario, la fra ha iniziato a notare la totale assenza di gatti per la strada. Ma anche di cani, del resto. Meglio, in quest'ultimo caso, visto che trasmettono la rabbia.
Ogni tanto le parole che le eran state dette le tornavano in mente, ma la fra le ricacciava nell'antro del "non ce la posso fare".
Ad Abidjan, e nella Costa d'Avorio in genere, per strada trovi e puoi comprare di tutto: tappeti, piccoli elettrodomestici, gabbiette con uccellini, bicchieri, album da colorare, salvagente , cagnolini, noccioline, acqua, conigli...
Per cui quando la fra ha visto un uomo che teneva per le zampe quello che le sembrava a prima vista un coniglio, non si è stupita più di tanto.
Senonché avvicinandosi con la macchina la fra si è accorta che si trattava di un gatto, adulto. Morto.
I motivi per vendere e comprare un gatto morto non sono tantissimi alla fine.
E le parole di quasi un anno fa sono uscite dalla memoria della fra e l'hanno lasciata assolutamente sconvolta dalle implicazioni, ovvie, di una compravendita del genere.
Bimba Kira, facciamo che rimani dai nonni va.
La prima figlia dei coniugi latana è infatti una bella e stronzissima gattona, scelta personalmente dalla fra in una imprevista cucciolata fatta su un balcone di un padrone di cani di taglia enorme, cui è stato dato il nome della protagonista di uno dei fumetti preferiti della fra. Per far capire quanto la nostra gatta sia importante per noi basti dire che dopo 24 ore di aerei per tornare dal viaggio di nozze in Perù, i coniugi latana si son messi in macchina per andarsela a riprendere e si son fatti roma-paesedelcazzoespostosoloanord (ridente cittadina di mezza montagna vicina alla Terra di Mezzo)-roma in una giornata. Due folli.
Comunque alla domanda, ci fu risposto che loro non avevano animali domestici prima, ma che si eran presi un gattino qui, senza problemi.
Aaaaaaaaaaaah, aveva tirato un sospiro la fra,che adora la sua stronza gattona.
Certo, però devi stare attenta che non esca che sennò se lo mangiano, ah ah ah.
Ah, vabbeh, sta scherzando, che simpatica.
Insomma quando si è trattato di fare i biglietti aerei, a novembre, la fra si è trovata al bivio della decisione: comprare il biglietto anche a bimba Kira o no.
Nel marasma dell'organizzazione iniziale, la fra era per portarla, il marito no. Si arrivò al compromesso di non portarla sùbito: andiamo, vediamo com'è e poi decidiamo.
Di questa decisione la fra non era contentissima, ma quando si è trovata a gestire una casa piena di scatoloni e due figli malaticci con un marito lavorante, ne ha apprezzato le conseguenze. Nel frattempo gatta Kira si satollava allegramente a croccantini a casa dei nonni materni.
Poi, passato il periodo clou organizzativo e sanitario, la fra ha iniziato a notare la totale assenza di gatti per la strada. Ma anche di cani, del resto. Meglio, in quest'ultimo caso, visto che trasmettono la rabbia.
Ogni tanto le parole che le eran state dette le tornavano in mente, ma la fra le ricacciava nell'antro del "non ce la posso fare".
Ad Abidjan, e nella Costa d'Avorio in genere, per strada trovi e puoi comprare di tutto: tappeti, piccoli elettrodomestici, gabbiette con uccellini, bicchieri, album da colorare, salvagente , cagnolini, noccioline, acqua, conigli...
Per cui quando la fra ha visto un uomo che teneva per le zampe quello che le sembrava a prima vista un coniglio, non si è stupita più di tanto.
Senonché avvicinandosi con la macchina la fra si è accorta che si trattava di un gatto, adulto. Morto.
I motivi per vendere e comprare un gatto morto non sono tantissimi alla fine.
E le parole di quasi un anno fa sono uscite dalla memoria della fra e l'hanno lasciata assolutamente sconvolta dalle implicazioni, ovvie, di una compravendita del genere.
Bimba Kira, facciamo che rimani dai nonni va.
lunedì 28 maggio 2012
Bisogni
Ci sono cose di cui non riesco a fare a meno. I miei figli, mio marito. La pasta, il sushi. Il sesso, il cazzeggio, spesso legati insieme. Ridere, commuovermi per le piccole cose. Le mie mani e altre mani da stringere.
Ci sono poi cose di cui ho imparato a fare a meno, negli anni.
Ogni cosa di cui ti privano è un dolore, ma ogni cosa di cui ti privi tu è una cicatrice. E io sono un'autolesionista.
Mi faccio male con metodo e con calma, sempre convinta che farsi male da soli è meglio che farsi far male da altri. E allora tolgo a loro l'ingrato compito, me lo prendo io, aumentando il carico delle cose per cui devo perdonare me stessa.
Non voglio permettere ad altri di farmi male, nella mia mente assolutamente contorta è meglio farmi del male da sola e poi rinfacciare loro di non aver capito, anticipato, aiutato. Ma il male non autoprovocato non lo gestisco, non lo affronto, non lo perdono. Non ce la faccio.
E nella assoluta e assurda contorsione della mia mente perversa questo si concretizza nel non mettere gli altri a parte dei miei bisogni. Non se voglio loro bene.
E' successo, anni fa, che lo abbia fatto e le cose mi son tornate indietro come boomerang per immaturità, per mancanza di conoscenza, per superficialità. Ed è lì che ho scoperto che io i boomerang non so prenderli al volo, mi lascio colpire in piena faccia senza neanche pararmi.
E sì che la vita certe cose avrebbe dovuto insegnarmele ben prima. E lo ha fatto, eh. Lo ha fatto con brutalità. La fiducia nelle persone cui voglio bene è per me un dono talmente prezioso che nella sfera in cui io sono io e sono a nudo, coi miei Bisogni, le mie Paure, i miei Terrori, i miei Desideri, lascio entrare solo poche, pochissime persone. Non entrano nelle dita di una mano.
Con queste persone mi è ancora più difficile esprimermi in termini di bisogni. Sono talmente importanti per me che se non potessero o non volessero soddisfare il mio bisogno, espresso a fatica, io ci starei malissimo. Allora preferisco continuare a tenere i miei bisogni per me e a rimproverare loro di non averli capiti e anticipati. Un Bisogno espresso è un imperativo. La non risposta è imperdonabile.
Così, negli anni, ho imparato a mascherare i Bisogni con i capricci. Per me, mica per gli altri. Se sento di esprimere un Bisogno in quel momento son cristallo trasparente e fragilissimo. Se lo esprimo ridendo, togliendo la maiuscola, giocando a fare la viziata, posso accettare che non venga capito e accolto.
Se vinco la mia paura di essere ferita ed esprimo un Bisogno e questo non viene accolto, quella persona per me si spegne. Come una lampadina che si fulmina. Per questo non ne esprimo mai.
Non che non mi costi. Mi costa eccome. Questo anticipare i possibili errori altrui è impegnativo e devastante. Non è da me dirti che sto male. Lo saprai sempre dopo, quando starò meglio, quando non potrò più affidarti il peso della mia sopravvivenza a quel momento.
Chi lo vede da fuori, e lo subisce, lo definisce spesso orgoglio.
Io sono orgogliosa. Sono orgogliosa della mia capacità di pensiero, che reputo migliore di tanti altri, della mia capacità di esprimermi, dell' essere "quella che ce la fa ad ogni costo"...ma non è per orgoglio che non esprimo il mio star male. E' per paura.
E la paura è talmente irrazionale che non ti fa vedere bene e permette al tuo pensiero di arrotolarsi su se stesso e diventare contorto.
"Ho bisogno di te" è un qualcosa che mi ricordo di aver detto una sola volta nella vita. E non è andata bene.
Allora preferisco tenerlo per me per far sì che il colpevole sia io. Con metodo, ancora e ancora.
E' stato così anche con gli Amici. Non ho mai detto "ho Bisogno di condividere con te la mia nuova vita, la mia casa, i miei figli". E dio solo sa se ne avevo bisogno. Ho aspettato che lo capissero da soli, dietro ai miei inviti buttati lì. Non l'hanno capito, nella maggioranza dei casi. Presi da loro stessi e dalla loro vita non hanno avuto il tempo e il modo di capire che dietro ai miei rimproveri c'era una maiuscola. Sono ancora Amici per me, proprio perché io quella maiuscola non l'ho usata. Pertanto ho dato loro tutte le attenuanti che meritavano.
E' stato sempre così.
Questo pensavo ieri, mentre risistemavo casa dopo una cena con amici che son cari ma che non ho scelto, che la vita, il caso e la geografia han scelto per me.
Persone con le quali mi trovo bene, benissimo. Ma che non sono, appunto, il frutto di una scelta.
Persone con le quali condivido la vita, con le quali parlo dei miei problemi, racconto le mie idee, alle quali faccio vedere le mie nuove creazioni, chiedo consigli.
Persone per le quali organizzo cene, con cui gioco dopo cena a carte o a giochi di società.
Persone con cui cazzeggio, alle quali spiego i cambiamenti che farò nella casa e le cose che ho comprato.
E...m'è venuto il magone. Forte.
Perché tutte queste cose io vorrei farle con e per i miei Amici. E mi son resa conto che è un Bisogno, forte.
E nell'attimo esatto il cui il cervello, srotolandosi, mi ha permesso di metterlo a fuoco, ho capito che è un Bisogno Irrealizzabile.
Che qui non ci verrà la mia famiglia, figurati gli amici. Per tanti, comprensibilissimi, motivi.
Che il mio sogno di avere la casa piena di gente, di coccolare i miei ospiti, di dopocena giocosi e alticci organizzati coi bimbi che dormono di là...resterà per sempre un sogno.
Che tutti i piatti carini, le cazzatine da aperitivo, le cosine colorate comprate all'alba della convivenza in vista di tutte quelle cose che io immaginavo, alla fine son rimaste lì, inutilizzate.
Che forse è ora che cambi i miei Bisogni, o impari ad accettare che siano irrealizzabili.
Se solo capissi come fare...
Ci sono poi cose di cui ho imparato a fare a meno, negli anni.
Ogni cosa di cui ti privano è un dolore, ma ogni cosa di cui ti privi tu è una cicatrice. E io sono un'autolesionista.
Mi faccio male con metodo e con calma, sempre convinta che farsi male da soli è meglio che farsi far male da altri. E allora tolgo a loro l'ingrato compito, me lo prendo io, aumentando il carico delle cose per cui devo perdonare me stessa.
Non voglio permettere ad altri di farmi male, nella mia mente assolutamente contorta è meglio farmi del male da sola e poi rinfacciare loro di non aver capito, anticipato, aiutato. Ma il male non autoprovocato non lo gestisco, non lo affronto, non lo perdono. Non ce la faccio.
E nella assoluta e assurda contorsione della mia mente perversa questo si concretizza nel non mettere gli altri a parte dei miei bisogni. Non se voglio loro bene.
E' successo, anni fa, che lo abbia fatto e le cose mi son tornate indietro come boomerang per immaturità, per mancanza di conoscenza, per superficialità. Ed è lì che ho scoperto che io i boomerang non so prenderli al volo, mi lascio colpire in piena faccia senza neanche pararmi.
E sì che la vita certe cose avrebbe dovuto insegnarmele ben prima. E lo ha fatto, eh. Lo ha fatto con brutalità. La fiducia nelle persone cui voglio bene è per me un dono talmente prezioso che nella sfera in cui io sono io e sono a nudo, coi miei Bisogni, le mie Paure, i miei Terrori, i miei Desideri, lascio entrare solo poche, pochissime persone. Non entrano nelle dita di una mano.
Con queste persone mi è ancora più difficile esprimermi in termini di bisogni. Sono talmente importanti per me che se non potessero o non volessero soddisfare il mio bisogno, espresso a fatica, io ci starei malissimo. Allora preferisco continuare a tenere i miei bisogni per me e a rimproverare loro di non averli capiti e anticipati. Un Bisogno espresso è un imperativo. La non risposta è imperdonabile.
Così, negli anni, ho imparato a mascherare i Bisogni con i capricci. Per me, mica per gli altri. Se sento di esprimere un Bisogno in quel momento son cristallo trasparente e fragilissimo. Se lo esprimo ridendo, togliendo la maiuscola, giocando a fare la viziata, posso accettare che non venga capito e accolto.
Se vinco la mia paura di essere ferita ed esprimo un Bisogno e questo non viene accolto, quella persona per me si spegne. Come una lampadina che si fulmina. Per questo non ne esprimo mai.
Non che non mi costi. Mi costa eccome. Questo anticipare i possibili errori altrui è impegnativo e devastante. Non è da me dirti che sto male. Lo saprai sempre dopo, quando starò meglio, quando non potrò più affidarti il peso della mia sopravvivenza a quel momento.
Chi lo vede da fuori, e lo subisce, lo definisce spesso orgoglio.
Io sono orgogliosa. Sono orgogliosa della mia capacità di pensiero, che reputo migliore di tanti altri, della mia capacità di esprimermi, dell' essere "quella che ce la fa ad ogni costo"...ma non è per orgoglio che non esprimo il mio star male. E' per paura.
E la paura è talmente irrazionale che non ti fa vedere bene e permette al tuo pensiero di arrotolarsi su se stesso e diventare contorto.
"Ho bisogno di te" è un qualcosa che mi ricordo di aver detto una sola volta nella vita. E non è andata bene.
Allora preferisco tenerlo per me per far sì che il colpevole sia io. Con metodo, ancora e ancora.
E' stato così anche con gli Amici. Non ho mai detto "ho Bisogno di condividere con te la mia nuova vita, la mia casa, i miei figli". E dio solo sa se ne avevo bisogno. Ho aspettato che lo capissero da soli, dietro ai miei inviti buttati lì. Non l'hanno capito, nella maggioranza dei casi. Presi da loro stessi e dalla loro vita non hanno avuto il tempo e il modo di capire che dietro ai miei rimproveri c'era una maiuscola. Sono ancora Amici per me, proprio perché io quella maiuscola non l'ho usata. Pertanto ho dato loro tutte le attenuanti che meritavano.
E' stato sempre così.
Questo pensavo ieri, mentre risistemavo casa dopo una cena con amici che son cari ma che non ho scelto, che la vita, il caso e la geografia han scelto per me.
Persone con le quali mi trovo bene, benissimo. Ma che non sono, appunto, il frutto di una scelta.
Persone con le quali condivido la vita, con le quali parlo dei miei problemi, racconto le mie idee, alle quali faccio vedere le mie nuove creazioni, chiedo consigli.
Persone per le quali organizzo cene, con cui gioco dopo cena a carte o a giochi di società.
Persone con cui cazzeggio, alle quali spiego i cambiamenti che farò nella casa e le cose che ho comprato.
E...m'è venuto il magone. Forte.
Perché tutte queste cose io vorrei farle con e per i miei Amici. E mi son resa conto che è un Bisogno, forte.
E nell'attimo esatto il cui il cervello, srotolandosi, mi ha permesso di metterlo a fuoco, ho capito che è un Bisogno Irrealizzabile.
Che qui non ci verrà la mia famiglia, figurati gli amici. Per tanti, comprensibilissimi, motivi.
Che il mio sogno di avere la casa piena di gente, di coccolare i miei ospiti, di dopocena giocosi e alticci organizzati coi bimbi che dormono di là...resterà per sempre un sogno.
Che tutti i piatti carini, le cazzatine da aperitivo, le cosine colorate comprate all'alba della convivenza in vista di tutte quelle cose che io immaginavo, alla fine son rimaste lì, inutilizzate.
Che forse è ora che cambi i miei Bisogni, o impari ad accettare che siano irrealizzabili.
Se solo capissi come fare...
sabato 19 maggio 2012
Ritorno a casa
Se la fra si era trovata a sperimentare la nostalgia di Abidjan mentre ancora la sorvolava, tutto faceva presupporre che avrebbe provato la stessa cosa, per di più amplificata, sui voli che l'avrebbero portata via dalla capitale prima e dall'Europa poi.
E invece...invece nulla.
Nessuna nostalgia, nessun rimpianto, nessun senso di tristezza.
Solo la consapevolezza che si sta tornando a casa.
Dopo aver fatto il pieno di attenzioni, abbracci, vestiti, pappa buona, negozi, sorrisi.
Dopo aver riempito le classica valigia dell'emigrante: parmigiano, affettati, biscotti, pasta, vestiti, libri, musica, giochi. Otto bagagli da 23 chili, mica niente.
Dopo tutto questo la famiglia latana ha avvertito un'incredibile e non prevista urgenza di quotidianità, un po' come quando si parte per una bella vacanza lunga e alla fine non si vede l'ora di tornare a casa propria.
Ecco.
E a tutti quelli che glielo han chiesto, la fra alle domande di base come stai? come ti trovi? ha risposto una sincera sequenza di "bene", perché la fra si è accorta che in realtà quando pensa a questa esperienza che sta vivendo, è felice di viverla.
Sì il caldo mostruoso, sì ti suda ogni cm di pelle (e nel caso della fra è rilevante, credetemi), sì devi stare attenta all'igiene, sì parlano solo francese, sì ci sono malattie...
Però ci sono anche i condizionatori, il sudore purifica, esistono gli igienizzanti, il francese l'ho sempre voluto imparare, ci siamo vaccinati per tutto il vaccinabile.
Insomma la fra ha deciso di adottare Pollyanna.
E forse per questo, tutte le persone che l'han vista l'han trovata serena, più bella e rilassata.
L'Africa ti fa bene, mi è stato detto.
Sì l'Africa mi fa bene.
Son tornata a casa.
E invece...invece nulla.
Nessuna nostalgia, nessun rimpianto, nessun senso di tristezza.
Solo la consapevolezza che si sta tornando a casa.
Dopo aver fatto il pieno di attenzioni, abbracci, vestiti, pappa buona, negozi, sorrisi.
Dopo aver riempito le classica valigia dell'emigrante: parmigiano, affettati, biscotti, pasta, vestiti, libri, musica, giochi. Otto bagagli da 23 chili, mica niente.
Dopo tutto questo la famiglia latana ha avvertito un'incredibile e non prevista urgenza di quotidianità, un po' come quando si parte per una bella vacanza lunga e alla fine non si vede l'ora di tornare a casa propria.
Ecco.
E a tutti quelli che glielo han chiesto, la fra alle domande di base come stai? come ti trovi? ha risposto una sincera sequenza di "bene", perché la fra si è accorta che in realtà quando pensa a questa esperienza che sta vivendo, è felice di viverla.
Sì il caldo mostruoso, sì ti suda ogni cm di pelle (e nel caso della fra è rilevante, credetemi), sì devi stare attenta all'igiene, sì parlano solo francese, sì ci sono malattie...
Però ci sono anche i condizionatori, il sudore purifica, esistono gli igienizzanti, il francese l'ho sempre voluto imparare, ci siamo vaccinati per tutto il vaccinabile.
Insomma la fra ha deciso di adottare Pollyanna.
E forse per questo, tutte le persone che l'han vista l'han trovata serena, più bella e rilassata.
L'Africa ti fa bene, mi è stato detto.
Sì l'Africa mi fa bene.
Son tornata a casa.
venerdì 11 maggio 2012
Terra di Mezzo e spiagge di vita
Il fatto che la fra non sia riuscita a postare dalla Terra di Mezzo la dice assai lunga sul tempo "libero" nella tana originaria. Di questa esiguità temporale la fra ha ringraziato per ogni singolo momento.
Giorni di abbracci sinceri, commozione, racconti di vita, voglia di condivisione, feste, parole.
Giorni densi di conferme. Giorni come pasta a lievitare che ti si attacca alle mani. E di quelle mani sporche la fra ha gioito con tutta se stessa.
Amici di vecchia data, amici seminuovi, amici che scopri che la profondità non è una variabile dipendente dal tempo.
La famiglia latana è rientrata nella sua tana con il timore della nostalgia. E si è accorta, quasi con stupore, di non provarne. Perché la sua tana non sono state quelle mura, la sua tana sono state le persone, con il loro correrti incontro, con il loro volerti vicino, con la curiosità per quella vita così lontana che si sta vivendo.
Giorni frenetici e pieni di visi, risate, confidenze, timori confessati, sfoghi.
Giorni che danno la misura di quanto alla fine di questa avventura sarà bello tornare alla Terra di Mezzo.
Giorni di una festa non festeggiata in Africa e candeline spente dal vento tra bimbi allegri, asinelli e occhi felici.
Giorni di maggio che mantiene quello che ha promesso 20 anni fa, in un altro luogo, con più maturità, con due figli, ma sempre insieme.
Giorni di pasti fuori casa per non accendere una voglia di quotidinianità domestica che poi non si sarebbe potuta mantenere.
Giorni che ci son rimasti addosso come la bruma della mattina, che ci han fatti sentir vivi.
E saluti sereni. Stavolta sappiamo dove andremo, cosa abbiam lasciato e quello che è il nostro posto, qui e là.
E stasera, la fra, tornata al Borgo Natìo, s'è trovata a passare per la villa comunale e a passeggiare nella sua storia. E ha passeggiato accanto a sua mamma bambina col vestitino ricamato e a suo padre che imparava ad andare in bicicletta; si è riempita le narici della sua aria svagata da tredicenne; s'è fermata vicino ad un quadrato d'erba che l'ha vista parte di un pomeriggio a sei, tra cinema e carezze; ha assaporato l'odore della cena alla festa dell'unità con una collega che le ha insegnato tanto; ha passeggiato nei passi lievi di una serata d'estate di quattro adulti e due passeggini con ancora la non consapevolezza che si era in sette, non in sei.
E allora la frasi è sentita come in balìa delle onde, tra passato e presente, tra i diversi luoghi della sua storia.
E la fra si è resa conto che le onde ti possono portare lontano dalla tua origine, attraverso blu che non conosci, con compagni diversi, ma che prima o poi, e più e più volte, esse non potranno far altro che depositarti su altre spiagge: grana grossa, grana fine, sassi, bianche, scure, calde, fredde, ampie o strette... ma nuovi posti da cui partire e in cui voler tornare, altri granelli da portar con sé.
E in questa sera di inizio maggio, guardando andar giù un sole che non può guardare, la fra ha pensato al suo sole africano grande, enorme, caldo, arancione e assolutamente guardabile e ha avuto la consapevolezza che quello ora è il suo sole ed è lì che lei deve tornare.
Solo, nel procedere, le è sembrato di sentirsi un po' di sabbia in tasca...
Giorni di abbracci sinceri, commozione, racconti di vita, voglia di condivisione, feste, parole.
Giorni densi di conferme. Giorni come pasta a lievitare che ti si attacca alle mani. E di quelle mani sporche la fra ha gioito con tutta se stessa.
Amici di vecchia data, amici seminuovi, amici che scopri che la profondità non è una variabile dipendente dal tempo.
La famiglia latana è rientrata nella sua tana con il timore della nostalgia. E si è accorta, quasi con stupore, di non provarne. Perché la sua tana non sono state quelle mura, la sua tana sono state le persone, con il loro correrti incontro, con il loro volerti vicino, con la curiosità per quella vita così lontana che si sta vivendo.
Giorni frenetici e pieni di visi, risate, confidenze, timori confessati, sfoghi.
Giorni che danno la misura di quanto alla fine di questa avventura sarà bello tornare alla Terra di Mezzo.
Giorni di una festa non festeggiata in Africa e candeline spente dal vento tra bimbi allegri, asinelli e occhi felici.
Giorni di maggio che mantiene quello che ha promesso 20 anni fa, in un altro luogo, con più maturità, con due figli, ma sempre insieme.
Giorni di pasti fuori casa per non accendere una voglia di quotidinianità domestica che poi non si sarebbe potuta mantenere.
Giorni che ci son rimasti addosso come la bruma della mattina, che ci han fatti sentir vivi.
E saluti sereni. Stavolta sappiamo dove andremo, cosa abbiam lasciato e quello che è il nostro posto, qui e là.
E stasera, la fra, tornata al Borgo Natìo, s'è trovata a passare per la villa comunale e a passeggiare nella sua storia. E ha passeggiato accanto a sua mamma bambina col vestitino ricamato e a suo padre che imparava ad andare in bicicletta; si è riempita le narici della sua aria svagata da tredicenne; s'è fermata vicino ad un quadrato d'erba che l'ha vista parte di un pomeriggio a sei, tra cinema e carezze; ha assaporato l'odore della cena alla festa dell'unità con una collega che le ha insegnato tanto; ha passeggiato nei passi lievi di una serata d'estate di quattro adulti e due passeggini con ancora la non consapevolezza che si era in sette, non in sei.
E allora la frasi è sentita come in balìa delle onde, tra passato e presente, tra i diversi luoghi della sua storia.
E la fra si è resa conto che le onde ti possono portare lontano dalla tua origine, attraverso blu che non conosci, con compagni diversi, ma che prima o poi, e più e più volte, esse non potranno far altro che depositarti su altre spiagge: grana grossa, grana fine, sassi, bianche, scure, calde, fredde, ampie o strette... ma nuovi posti da cui partire e in cui voler tornare, altri granelli da portar con sé.
E in questa sera di inizio maggio, guardando andar giù un sole che non può guardare, la fra ha pensato al suo sole africano grande, enorme, caldo, arancione e assolutamente guardabile e ha avuto la consapevolezza che quello ora è il suo sole ed è lì che lei deve tornare.
Solo, nel procedere, le è sembrato di sentirsi un po' di sabbia in tasca...
martedì 1 maggio 2012
Ritorni e nostalgie
Voltarsi quando si sta lasciando un posto non è mai una buona idea.
Se n'è accorta la fra, quando nel lasciare Abidjan ha guardato dal finestrino dell'aereo e ha visto i due ponti illuminati e ha indovinato casa sua. E nel silenzio di un volo intercontinentale notturno, con le luci basse e contornata da gente che dormiva, la fra ha sperimentato una struggente nostalgia per la sua casa, per gli occhi di Habib, per maitresse c'est pas grave, per la sabbia per strada, per le palme, per l'oceano, le banane, per la fidanzata dell'enp, per i sorrisi a 100 denti degli ivoriani.
E la fra mica era preparata a tutto questo.
Mica era pronta a sentire la nostalgia per un posto in cui è palesemente capitata per caso.
Che la voglia di tornare si palesasse quando ancora si sorvolava il continente nero, le sembrava quantomeno difficile.
Eppure.
E la fra si è sentita anche scema, per questo.
E si è sentita pure un po' in colpa nei confronti di tutte quelle persone per le quali il suo ritorno era qualcosa di atteso.
Non che la fra non sentisse il bisogno di abbracciare i suoi e gli amici. Lo sentiva eccome. La fra e il marito ormai se lo ripetevano come un mantra: "tra n giorni abbiamo l'aereo e torniamo a casa", con un numero n che si assottigliava sempre di più.
Però il momento del distacco è stato inaspettatamente duro.
Meglio, vuol dire che tornare non sarà troppo pesante, afferma sicura Pollyanna. La fra si riserva di scoprirlo.
Il viaggio si è svolto con tranquillità, lo scalo non è stato troppo corto da andar di corsa né troppo lungo da non saper come riempirlo.
E arrivata a Roma, dove li attendeva un altro po' pure la banda del cirque du soleil, la famiglia latana, nella sua componente over 5, si è scoperta mezza disadattata.
A una tipa che l'ha urtata la fra ha risposto un convinto "pardon", ma soprattutto la fra si è guardata intorno e ha visto tutte persone dalla pelle bianca e le ha fatto strano, come dire.
Poi la fra e il marito si sono avvicinati alla finestra e guardandosi commossi si son detti all'unisono "il cielo azzurroooooo" con sommo stupore ed evidente compatimento degli astanti.
Siamo tornati in Italia nei giorni in cui il vento africano portava temperature alte anche in patria e siamo stati accolti da una giornata tersa, calda, bella.
Mancare da un posto ti fa apprezzare quelle piccole cose che non facendo parte della tua quotidianità africana, hai archiviato. Il profumo dei fiori, il cielo azzurro, i tramonti, gli alberi, la terra umida. La mozzarella, la carne al sangue, il salame, i carciofi, i porcini. Tutte cose che ti scopri a gustare con tutti i tuoi sensi e ad apprezzare come mai avevi fatto prima.
Il ché rientra nel pacchetto "crescita" di questa esperienza ivoriana. Rendersi conto di quello che si ha e ringraziare per ogni singola cosa. Ringraziare Dio, per chi ci crede, o la fortuna, il caso, quel qualcosa che ci ha fatto nascere in un posto dove l'aspettativa di vita non si ferma a 50 anni e i bambini non muoiono.
E, nella stralunata prima acclimatazione italiana, la fra quel caso lo ha ringraziato.
E lo ha ringraziato anche per essersi resa conto che è giusto ringraziare e perché questa esperienza le sta insegnando che le cose tanto scontate non sono.
Per il resto questi primi giorni romani (domani ce ne andremo alla Terra di Mezzo) sono stati abbracci sinceri, commozione, acquisti, sole, fiori.
E sono stati anche stressanti, evidentemente, ma la fra, a parte il totale disinteresse della suocera nei confronti del contingente adulto-sia consanguineo che non, non ne trova uno specifico motivo...
Solo che ha l'herpes che praticamente le fa il giro della faccia e si dà il cinque sulla nuca.
Quando si dice bella presenza.
Se n'è accorta la fra, quando nel lasciare Abidjan ha guardato dal finestrino dell'aereo e ha visto i due ponti illuminati e ha indovinato casa sua. E nel silenzio di un volo intercontinentale notturno, con le luci basse e contornata da gente che dormiva, la fra ha sperimentato una struggente nostalgia per la sua casa, per gli occhi di Habib, per maitresse c'est pas grave, per la sabbia per strada, per le palme, per l'oceano, le banane, per la fidanzata dell'enp, per i sorrisi a 100 denti degli ivoriani.
E la fra mica era preparata a tutto questo.
Mica era pronta a sentire la nostalgia per un posto in cui è palesemente capitata per caso.
Che la voglia di tornare si palesasse quando ancora si sorvolava il continente nero, le sembrava quantomeno difficile.
Eppure.
E la fra si è sentita anche scema, per questo.
E si è sentita pure un po' in colpa nei confronti di tutte quelle persone per le quali il suo ritorno era qualcosa di atteso.
Non che la fra non sentisse il bisogno di abbracciare i suoi e gli amici. Lo sentiva eccome. La fra e il marito ormai se lo ripetevano come un mantra: "tra n giorni abbiamo l'aereo e torniamo a casa", con un numero n che si assottigliava sempre di più.
Però il momento del distacco è stato inaspettatamente duro.
Meglio, vuol dire che tornare non sarà troppo pesante, afferma sicura Pollyanna. La fra si riserva di scoprirlo.
Il viaggio si è svolto con tranquillità, lo scalo non è stato troppo corto da andar di corsa né troppo lungo da non saper come riempirlo.
E arrivata a Roma, dove li attendeva un altro po' pure la banda del cirque du soleil, la famiglia latana, nella sua componente over 5, si è scoperta mezza disadattata.
A una tipa che l'ha urtata la fra ha risposto un convinto "pardon", ma soprattutto la fra si è guardata intorno e ha visto tutte persone dalla pelle bianca e le ha fatto strano, come dire.
Poi la fra e il marito si sono avvicinati alla finestra e guardandosi commossi si son detti all'unisono "il cielo azzurroooooo" con sommo stupore ed evidente compatimento degli astanti.
Siamo tornati in Italia nei giorni in cui il vento africano portava temperature alte anche in patria e siamo stati accolti da una giornata tersa, calda, bella.
Mancare da un posto ti fa apprezzare quelle piccole cose che non facendo parte della tua quotidianità africana, hai archiviato. Il profumo dei fiori, il cielo azzurro, i tramonti, gli alberi, la terra umida. La mozzarella, la carne al sangue, il salame, i carciofi, i porcini. Tutte cose che ti scopri a gustare con tutti i tuoi sensi e ad apprezzare come mai avevi fatto prima.
Il ché rientra nel pacchetto "crescita" di questa esperienza ivoriana. Rendersi conto di quello che si ha e ringraziare per ogni singola cosa. Ringraziare Dio, per chi ci crede, o la fortuna, il caso, quel qualcosa che ci ha fatto nascere in un posto dove l'aspettativa di vita non si ferma a 50 anni e i bambini non muoiono.
E, nella stralunata prima acclimatazione italiana, la fra quel caso lo ha ringraziato.
E lo ha ringraziato anche per essersi resa conto che è giusto ringraziare e perché questa esperienza le sta insegnando che le cose tanto scontate non sono.
Per il resto questi primi giorni romani (domani ce ne andremo alla Terra di Mezzo) sono stati abbracci sinceri, commozione, acquisti, sole, fiori.
E sono stati anche stressanti, evidentemente, ma la fra, a parte il totale disinteresse della suocera nei confronti del contingente adulto-sia consanguineo che non, non ne trova uno specifico motivo...
Solo che ha l'herpes che praticamente le fa il giro della faccia e si dà il cinque sulla nuca.
Quando si dice bella presenza.
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