Domenica è andato via il collega di Marito Paziente, con la
moglie, Marianna Santasubito, e la bimba.
E io sono stata proprio brava eh. Ho augurato loro buona vita, li ho abbracciati, ho detto “non sparite", ho chiuso la porta.
E poi ho pianto.
Ho pianto per loro che andavano via, ho pianto per me che restavo.
Stare qui, l’ho già detto, non è facile. Certi periodi
va bene, altri meno, altri ancora sono pessimi. In Italia li affronteresti con
telefonate chilometriche, andando a farti una passeggiata, uscendo a prendere
un caffè con un’amica. Tutte cose che qui ti son negate, per un motivo o per
l’altro. E allora apprezzi anche cose che in Italia daresti per scontate, fai
di persone che conosci da poco un tuo punto di riferimento, deleghi loro dei ruoli
che in Italia hai concesso a persone selezionate e coltivate. E io sono stata proprio brava eh. Ho augurato loro buona vita, li ho abbracciati, ho detto “non sparite", ho chiuso la porta.
E poi ho pianto.
Ho pianto per loro che andavano via, ho pianto per me che restavo.
Per le amicizie qui, ogni anno vale almeno doppio.
Quando sono arrivata qui, quasi due anni fa, ormai, le prime, primissime persone con cui mi sono relazionata sono state loro. Che ci hanno aperto casa loro, preparato la cena, aiutato in ogni cosa.
Essere dall’altra parte del mondo e avere qualcuno con cui poter dividere la vita a distanza misurabile in passi, ha un valore incredibile. Poter attraversare un pianerottolo e trovare una voce conosciuta e amica, quando intorno a te tutti parlano una lingua che capisci appena, è una cosa meravigliosa, “calda”, importante.
Perché questi due anni sono stati pieni di confidenze, di momenti belli e di momenti bruttissimi. Sono stati pesanti, ma senza loro lo sarebbero stati di più. Sono stati belli, con loro anche di più.
Sono stati fine settimana passati insieme al mare, sono stati serate a cena fuori, sono stati dopocena a giocare a burraco, sono stati pomeriggi con bambini che giocavano e crescevano insieme.
Sono stati risate di cuore e abbracci e lacrime su muretti di ospedale. Sono stati confronti e consigli.
E ora siamo al giro di boa.
Ora chi accoglie siamo noi. Con l’enorme responsabilità emotiva di far vivere bene a chi è arrivato e a chi arriverà questo momento particolare, questo posto particolare. Ora siamo noi quelli che indirizzano, consigliano, mettono in guardia, preparano.
Il mondo delle ambasciate è fatto di gente che fa carriera diplomatica, la quasi totalità delle persone che lavorano in Ambasciata non sono alla loro prima esperienza e sono abituate a girare il mondo e confrontarsi con posti e culture diverse. Per i militari il discorso è diverso: questa è un’esperienza, nella stragrande maggioranza dei casi, semel in vita. Questi 4 anni sono un’esperienza fondamentale, sia a livello economico che di crescita personale. Sono 4 anni che cambiano le cose e le persone. Sono uno spartiacque, anche per le famiglie. Quattro anni sono tanti e la scelta di viverli o meno insieme segna, e quanto!
Andati via da qui, la nostra vita ricomincerà in Italia esattamente com’era prima, organizzativamente e logisticamente parlando. Il personale civile dell’Ambasciata invece ogni tot deve organizzarsi in posti diversi del mondo e non capisce l’unicità della nostra esperienza e il valore che gli diamo. Quanto sia dirompente, nella nostra vita.
Sono 4 anni che possono rimanerti dentro o che puoi farti scivolare addosso, che puoi assaporare a fondo o guardare come fosse la vita d’altri, in cui puoi tuffarti e bagnarti gli alveoli dell’anima o respirare a pelo d’acqua con una cannuccia.
Qualunque sia il modo che i nostri nuovi amici sceglieranno per vivere questa esperienza, io vorrei che fossero consapevoli che in questa tana c’è un posto nel cuore anche per loro, per le loro storie, per le loro felicità, per le loro difficoltà, per le loro confidenze e per le loro cose non dette.
Fa una certa impressione la consapevolezza di essere diventati un punto di riferimento, ci dà la misura di quanto è passato, di quanto rimane.
Sono sensazioni strane, che devo ancora decifrare per bene.
Ora come ora mi fanno sentire “pesante”, in senso positivo e costruttivo. Mi pare un buon inizio.
Essere un punto di riferimento è una bella responsabilità. Loro vedranno il posto inizialmente con i tuoi occhi, quindi non è facile credo.
RispondiEliminaIn bocca al lupo
io infatti la percepisco come tale. Spero di riuscire a trasmettere il rispetto per questa terra: bellezza o bruttezza sono soggettive, come anche la capacità di adattarsi... il rispetto viene dal vivere un posto per quello che è, senza aspettative né drammi. :-)
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