mercoledì 30 ottobre 2013

(per) fortuna



Potrebbe sembrare una storia da categoria “sfighe varie”, invece io stavolta non l’ho percepita così. Dietro a tutta questa orrenda avventura c’è stata sì una componente di sfiga, ma sicuramente una responsabilità personale piuttosto elevata.
La fra soffre di calcoli, e conseguentemente coliche, renali. Quello, fino a che non scopriremo cosa li causa, possiamo ascriverlo alla colonna sfiga della vita della fra; diversamente questo avrebbe dovuto portare la fra a essere più attenta a dei segnali che a riguardarli poi erano anche abbastanza netti.
Tutta presa da un sacco di casini medici tra metà giugno e luglio (prima una cista ovarica che sembrava dovesse essere tolta con urgenza, poi la ciste non c’era più, poi s’è scoperto che era funzionale, poi le è venuta una gastroenterite che si è ripresa in dieci giorni, insomma cose così) e da altre cose per lei assolutamente fondamentali ad agosto (il mercatino, cui la fra non avrebbe rinunciato per NULLA al mondo, visto che, oltre a Instamamme, è l’unico lavoro che la fra fa e che aveva dedicato i 10 mesi precedenti a produrre oggetti nuovi), rassicurata sulla staticità del calcolo grosso e sulla piccolezza dell’altro, si era detta “ci si pensa a febbraio e stop”. Del resto, dolori, in Italia non ne aveva avuti.
Arrivati in Costa d’Avorio siamo stati tutti molto presi da la rentrée e la fra e il Marito Paziente sono stati portati a viva forza nel vortice della scuola, tra tragitti in macchina, ritorni stancanti, docce, cene e l’Italia non era stata proprio rilassante alla fine (la fra mercatineggiava, che sì è bellissimo e tutto quello che vuoi ma è stancante da morire, e il Marito Paziente stava coi patati), quindi stavamo picchiando sull’acceleratore per inerzia in attesa che le cose prendessero una routine più umana.
Finché una sera la fra sente un dolore forte, che le pare simile alla colica renale ma con ripercussioni puntuali anche pelviche, che la fa star piegata sul divano e soprattutto che si accompagna ad una febbre a 38,5° salita nel giro di 5 minuti. I coniugi latana pensano che sia strano, aspettino che passi con un antispastico e pace. Il giorno dopo febbre senza dolore, poi più nulla. Beh ok, forse il calcolo faceva le bizze e si sta organizzando per uscire. “Vuoi tornare in Italia?” fa il Marito Paziente alla fra, che rifiuta categoricamente: a brevissimo ci sarà l’avvicendamento tra vecchio e nuovo collega e Marito Paziente dovrà lavorare a tempo doppio e poi francamente se è proprio necessario ok, altrimenti sono un sacco sacco di soldi.
Insomma si va avanti con una fra che però inizia a sentire pesantezza a livello dei reni e occasionalmente doloretti: in quei casi si mette tipo sacra sindone sul letto e in genere passano. Però, ancora, la fra si ostina a non voler tornare in Italia.
Poi, la notte dopo il suo compleanno, proprio all’inizio di questo 38° anno d’età nuovo di pacca, la fra ha una colica renale. Prende l’antispastico e non le fa nulla, poi sveglia il marito paziente, poi aspettano che sia un’ora decente per chiamare il nuovo collega Maurizio Diolobenedica a babysitterare i patati. Sono passate 4 ore dall’inizio della colica e la fra va in ospedale piegata come una sedia a sdraio dal dolore. Flebo di antidolorifico, ecografia, tac con contrasto (sta diventando un’abitudine), analisi del sangue. La tac evidenzia 4 calcoli, di cui uno grande ostruttivo nell’uretere (che è il tubicino che unisce reni e vescica), le analisi del sangue danno un quadro di infezione, ma nessuno dà alla fra un antibiotico e i coniugi latana ignorano il campanello dall’allarme che in diretta dall’Italia dal nostro amico Fugraziealuichetuttoincominciò, biologo, dice “occhio, c’è un’infezione”. Beata fiducia nei medici ivoriani.
Ovviamente si decide per un ritorno in patria e si fissa la data per il sabato successivo alle due del mattino (una cosa comoda comoda).
La notte tra il martedì e il mercoledì successivo, però, la fra si sveglia con la febbre alta, si paracetamolizza, sfebbra e rimane a dormire. La mattina ha febbre che sale in verticale, si decide di riandare in ospedale. Rifanno le analisi, non le fanno l’emocromo perché ma no abbiamo quello di sabato, non serve (‘cci loro), in compenso fanno un’analisi che valuta il livello infettivo: la proteina c reattiva, una sorta di VES (che la fra conosce perché la fecero ai patati appena nati), che risulta essere a 25 su un massimo di 5. Incredibilmente continuano a non dare antibiotico. Tornati a casa dopo flebo di paracetamolo, dopo circa 45 minuti la fra ha 40,5 di febbre. Chiamiamo in Italia il Dottor Aldo De Paperis, il riferimento in casa Latanasenior per ogni evenienza medica (e ci sarà pure un perché), al quale mandiamo tutta la documentazione medica e il quale ci consiglia antibiotico che prontamente la fra inizia a prendere. Il paracetamolo abbassa la febbre solo per un’ora e può prenderlo per 3 volte al giorno, quindi fino a giovedì mattina la fra passa 21 ore con la febbre che oscilla tra i 39,5 e i 40,5, no ma bei momenti, credeteci sulla parola.
La mattina dopo Marito Paziente pensa di chiamare un altro medico: quello viene e preleva il sangue alla fra, poi nel pomeriggio torna e mette la fra sotto flebo di doppio antibiotico a dose pesante e paracetamolo, dicendo che con quella cura la cosa guarirà e che, soprattutto, la fra non avrà più febbre. La fra ci crede, vuole crederci, deve crederci: l’indicatore di infezione di cui sopra ora è 221 che significa praticamente setticemia.
Quando, all’una del mattino, la fra ha di nuovo 40,5° ai coniugi Latana prende male, ma male male. Iniziano a vedere tutte le cazzate fatte negli ultimi giorni: essersi fidati di medici ivoriani, non aver prestato troppo ascolto a Fugraziealuichetuttoincominciò, non aver anticipato il viaggio, non aver programmato prima un viaggio, non aver visto un medico al primo dolore con febbre, non aver considerato i reni una priorità. Tutte ce le siamo attribuite, atterriti, senza neanche il coraggio di guardarci in faccia. Una setticemia che non guarisce e non reagisce agli antibiotici si sa dove porta, è inutile nasconderselo: ci si muore, di setticemia.
Diventa importantissimo che la fra sia in grado di tornare in Italia, la notte dopo; diventa importante che un medico viaggi con lei e ci si organizza in tal senso. La giornata di venerdì vede finalmente la svolta: l’antibiotico inizia a fare effetto, invertendo il verso dell’indicatore infettivo e la febbre non viene più. Ovvio, la fra non si regge in piedi, e non è un modo di dire.
Durante la giornata acquista le forze necessarie almeno al trasporto di se stessa fino all’aereo. Il viaggio fino a Parigi va bene, a Parigi tutta la debolezza del mondo le cade addosso, fa l’ultima flebo, saluta il dottore e piano piano trascina se stessa e il suo bagaglio a mano fino al nuovo aereo. Due ore dopo è a Roma, dall’aeroporto va direttamente in ospedale, dove la ricoverano.
E arriviamo a oggi, scrivo dall’ospedale: sono ancora sotto antibiotico, i valori stanno tornando normali e ho perfino ripreso a mangiare (dopo quasi 5 giorni). Stanno cercando di capire cosa possa aver causato l’infezione e domani mi faranno la prima operazione in anestesia generale per togliere i calcoli dagli ureteri, per quelli renali la procedura pare sarà un’altra.
Però, nonostante tutto, nonostante la paura dell’intervento, nonostante la lontananza da Marito Paziente e i patati (atroce), nonostante la solitudine ospedaliera… sono felice. Grata. Ho il cuore gonfio, sorrido a tutti. Guardo fuori dalla finestra questa città che in quella notte orrenda ho temuto non vedere più, vedo i tetti, la luce, le strade e ogni cosa mi pare meravigliosa; perfino il cibo dell’ospedale ha un sapore meraviglioso. Mi sembra di aver ricevuto un dono, così lo percepisco, lo apprezzo e lo vivo.
Mi sto godendo ogni respiro, ogni dito che batte sulla tastiera, ogni sapore, ogni lettura, ogni momento in cui posso pensare. Mi sto godendo la possibilità di farlo ancora. Forse questo 38° anno non è iniziato bene, ma in questo momento è assolutamente bellissimo e l’unica parola che mi viene in mente quando penso a tutto questo è grazie.

7 commenti:

  1. Un abbraccio fortissimo allora, ho letto il tuo racconto tutto d'un fiato ♥
    Aspetto news...in bocca al lupo per ciò che devi ancora fare, ti mando un sorriso!

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    1. prima tranche andata: i calcoli negli ureteri son stati tolti. Ora resta quello nel rene ma siamo a metà dell'opera ;-)

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  2. In bocca al lupo per l'intervento!

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    1. il crepi non lo dicoperché ormai è passata. E' andato tutto bene, per fortuna!

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  3. Mamma mia!!! AUGURI!!!!
    Mila

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