Devo
ammettere che pensavo che crescendo diventasse tutto più facile.
Che i primi, diciamo, 5 anni per il primo figlio e circa 3-4 per il secondo, fossero i più tosti, in termini di fatica genitoriale.
Avevo sempre pensato che la cosa più difficile fosse sopravvivere alle poppate notturne, alle loro prime cadute (in termini di infarto, ovvio), alle prime malattie, alla fase dei capricci, a quella dei “no”.
Pensavo, ingenuamente, che, passate quelle fasi, la questione educativa fosse oggettivamente in discesa, che, una volta instradati, i Patati sarebbero andati lungo la via segnata e stop.
Beata ingenuità di madre.
Alla fase dei perché, si è sovrapposta, senza soluzione di continuità, la fase delle domande importanti.
Giusto alcune:
cos’è la guerra?
chi è la madonna? (chiesto in una famiglia di non praticanti per scelta, è una domanda difficile)
come fanno i semini del papà a finire nella pancia della mamma?
come nascono, fisicamente, i bambini, ovvero: da dove escono?
Ecco, domandine così, buttate lì en passant in momenti assolutamente random della giornata, non quando sei pronta ad affrontare un argomento perché è, come dire, nell’aria.
Per i Patati sono io “l’esperto” e quindi è la mia risposta quella giusta. Il peso di una responsabilità del genere è enorme, non pensavo.
Sapere che quando spiego una cosa a mio figlio lui merita la mia onestà, una risposta vera ma adatta a quello che può capire, merita coerenza e attenzione.
Una risposta sbagliata o anche giusta ma data nel modo sbagliato o col tono sbagliato può far pensare al Patato che la domanda fosse inopportuna, che quello è un argomento tabù, che ha sbagliato a chiedere a me, che io non voglia rispondergli e le risposte inizierà a cercarle altrove oppure coverà le domande dentro di sé.
Dare risposte giuste, col tono giusto e al momento immediato non è stato, non è e non sarà facile.
Poi, ancora peggio, dopo la fase delle domande (che è destinata, temo, a non esaurirsi mai), ora stiamo sperimentando anche quella dei ragionamenti. Di quelle cose che ci fanno capire che il Patato Grande non è più il bimbetto che tenevamo per mano ma inizia a formulare pensieri compiuti e razionali sulle opportunità, sulle scelte, sul futuro. Ha delle sue consapevolezze.
“faccio i compiti oggi, così domani sono libero di giocare”. E tu rimani lì a guardare i suoi sei anni e tre quarti e a chiederti questa gestione autonoma del suo tempo da dove l’abbia presa. La consapevolezza delle implicazioni di una scelta, il senso del dovere. Dov’è il mio bimbo piccino?
Ma il peggio doveva ancora arrivare.
L’altro giorno, quando sono andata a prenderlo, l’ho trovato alla lavagna che scriveva con la sua compagna di banco, Victoria.
Uscendo, gli ho chiesto se fosse la sua fiancée (fidanzata) e lui prima si è imbarazzato, poi mi ha detto, più serio: “la mia fidanzata è Beatrice” (la figlia della mia amica Instamamma Viv: si sono conosciuti l’anno scorso e per lui è stata stima e amore immediato) e io già mi son stupita di come mio figlio, a neanche sette anni, viva la fedeltà nei rapporti amorosi talmente tanto da non farsi la fidanzatina anche a 4500 km da una bimba che neanche sa di essere “la mia fidanzata”.
Allora gli ho detto, con tatto e buttandola sullo scherzoso (per rispettare questa sua idea di fedeltà ma per capirne anche i contorni) “ma Beatrice è in Italia, non vorresti una fidanzatina qui?”, giusto diciamo per sondare il terreno dell’amore in Patato’s Land. E lui mi ha risposto, serissimo: “mamma, non posso avere una fidanzata qui, tra un anno ce ne andiamo”.
E io mi sono pietrificata.
No, cioè, aspetta, quand’è che mi hanno sostituito il Patato pacioccone e piccoletto con questo ragazzino qui capace di farmi ragionamenti così adulti?
Cos’è che mi sono persa, perché non mi sento pronta ad affrontare discorsi in cui io e lui siamo sullo stesso livello?
Perché improvvisamente mio figlio fa discorsi da grande, perché ha queste consapevolezze così nette, spietate, adulte?
Come rielabora quella testolina bella gli input che riceve da noi, dalla scuola, dalla vita?
Ma soprattutto, in quale momento della mia vita ho perso quel dannatissimo manuale di istruzioni?
Che i primi, diciamo, 5 anni per il primo figlio e circa 3-4 per il secondo, fossero i più tosti, in termini di fatica genitoriale.
Avevo sempre pensato che la cosa più difficile fosse sopravvivere alle poppate notturne, alle loro prime cadute (in termini di infarto, ovvio), alle prime malattie, alla fase dei capricci, a quella dei “no”.
Pensavo, ingenuamente, che, passate quelle fasi, la questione educativa fosse oggettivamente in discesa, che, una volta instradati, i Patati sarebbero andati lungo la via segnata e stop.
Beata ingenuità di madre.
Alla fase dei perché, si è sovrapposta, senza soluzione di continuità, la fase delle domande importanti.
Giusto alcune:
cos’è la guerra?
chi è la madonna? (chiesto in una famiglia di non praticanti per scelta, è una domanda difficile)
come fanno i semini del papà a finire nella pancia della mamma?
come nascono, fisicamente, i bambini, ovvero: da dove escono?
Ecco, domandine così, buttate lì en passant in momenti assolutamente random della giornata, non quando sei pronta ad affrontare un argomento perché è, come dire, nell’aria.
Per i Patati sono io “l’esperto” e quindi è la mia risposta quella giusta. Il peso di una responsabilità del genere è enorme, non pensavo.
Sapere che quando spiego una cosa a mio figlio lui merita la mia onestà, una risposta vera ma adatta a quello che può capire, merita coerenza e attenzione.
Una risposta sbagliata o anche giusta ma data nel modo sbagliato o col tono sbagliato può far pensare al Patato che la domanda fosse inopportuna, che quello è un argomento tabù, che ha sbagliato a chiedere a me, che io non voglia rispondergli e le risposte inizierà a cercarle altrove oppure coverà le domande dentro di sé.
Dare risposte giuste, col tono giusto e al momento immediato non è stato, non è e non sarà facile.
Poi, ancora peggio, dopo la fase delle domande (che è destinata, temo, a non esaurirsi mai), ora stiamo sperimentando anche quella dei ragionamenti. Di quelle cose che ci fanno capire che il Patato Grande non è più il bimbetto che tenevamo per mano ma inizia a formulare pensieri compiuti e razionali sulle opportunità, sulle scelte, sul futuro. Ha delle sue consapevolezze.
“faccio i compiti oggi, così domani sono libero di giocare”. E tu rimani lì a guardare i suoi sei anni e tre quarti e a chiederti questa gestione autonoma del suo tempo da dove l’abbia presa. La consapevolezza delle implicazioni di una scelta, il senso del dovere. Dov’è il mio bimbo piccino?
Ma il peggio doveva ancora arrivare.
L’altro giorno, quando sono andata a prenderlo, l’ho trovato alla lavagna che scriveva con la sua compagna di banco, Victoria.
Uscendo, gli ho chiesto se fosse la sua fiancée (fidanzata) e lui prima si è imbarazzato, poi mi ha detto, più serio: “la mia fidanzata è Beatrice” (la figlia della mia amica Instamamma Viv: si sono conosciuti l’anno scorso e per lui è stata stima e amore immediato) e io già mi son stupita di come mio figlio, a neanche sette anni, viva la fedeltà nei rapporti amorosi talmente tanto da non farsi la fidanzatina anche a 4500 km da una bimba che neanche sa di essere “la mia fidanzata”.
Allora gli ho detto, con tatto e buttandola sullo scherzoso (per rispettare questa sua idea di fedeltà ma per capirne anche i contorni) “ma Beatrice è in Italia, non vorresti una fidanzatina qui?”, giusto diciamo per sondare il terreno dell’amore in Patato’s Land. E lui mi ha risposto, serissimo: “mamma, non posso avere una fidanzata qui, tra un anno ce ne andiamo”.
E io mi sono pietrificata.
No, cioè, aspetta, quand’è che mi hanno sostituito il Patato pacioccone e piccoletto con questo ragazzino qui capace di farmi ragionamenti così adulti?
Cos’è che mi sono persa, perché non mi sento pronta ad affrontare discorsi in cui io e lui siamo sullo stesso livello?
Perché improvvisamente mio figlio fa discorsi da grande, perché ha queste consapevolezze così nette, spietate, adulte?
Come rielabora quella testolina bella gli input che riceve da noi, dalla scuola, dalla vita?
Ma soprattutto, in quale momento della mia vita ho perso quel dannatissimo manuale di istruzioni?
La fase delle poppate è decisamente più pesante fisicamente, ma molto basata sull'istinto e meno a rischio di commettere errori con ripercussioni significative. Quando crescono, la fatica diventa sempre più mentale e non sempre si riesce a dare le risposte o a mettere in pratica i comportamenti che vorremmo. E' una strada in salita!
RispondiEliminagià! e ogni giorno più ripida, ti diro ^^'
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