Ci sono parole che non sono parole.
Ci sono parole che sono un filo diretto con tutto quello che vogliono esprimere: sensazioni, odori, rumori, emozioni.
Questa poesia è questo, per me.
Ci sono parole che sono un filo diretto con tutto quello che vogliono esprimere: sensazioni, odori, rumori, emozioni.
Questa poesia è questo, per me.
Conosciuta quando io non ero ancora pronta a recepirla, messa in programma e mai spiegata dalla nostra prof, mi ritrovai a doverne fare quel minimo di critica che ci si sarebbe potuti aspettare da una diciottenne all’esame di maturità, sia mai me la chiedessero.
È stata una delle due cose che ho permesso a Nonna Latana di aiutarmi a capire (l’altra fu il verbo videor), con sommo suo stupore, immagino. Non le ho mai permesso di farmi da “insegnante”, lei era ed è la mia mamma, punto. Un altro ruolo non ero disposta a negoziarlo.
In quel momento di mille nozioni, mille paure, mille cose da sapere e da dimostrare a perfetti sconosciuti, avevo semplicemente bisogno di qualcuno che sapesse comunicarmi emozioni dove io rischiavo di vedere solo una cosa da studiare.
La cosa che principalmente fa di mia madre un’ottima insegnante, la migliore che abbia conosciuto, è la passione che ha per la cultura, la sua sete di emozioni, la sua capacità di vedere nelle cose che conosce e che l’hanno colpita, tutte le sue emozioni e di conseguenza di trasmetterle.
Non ricordo esattamente come mia madre mi parlò di quella poesia, ricordo che la analizzammo sia dal punto di vista del significato che da quello, più sotterraneo, delle suggestioni.
Quella poesia mi rimase dentro perché è una poesia che si respira, non si declama. È una di quelle rare forme espressive che sono capaci di farti entrare dentro la scena narrata, basta concederselo. Parla di natura, di sentimento, è insieme luminosa e crepuscolare, piena di speranze e malinconica. Una perfezione assoluta.
Questa poesia è il motivo per cui, se mai nella Tana arrivasse una figlia femmina, si chiamerebbe Ermione (e no, non sto scherzando).
Va letta con i sensi accesi, la mente rilassata e un’attenzione estrema alla punteggiatura e alle pause date dall’andare a capo, insomma va Letta. Non è immediata, richiede un minimo sforzo, ma ne vale infinitamente la pena.
La pioggia nel pineto – Gabriele D’Annunzio
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, Ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Vi piace l'idea di condividere testi, canzoni, poesie, prose che vi han fatto riflettere su qualcosa o che hanno segnato il vostro percorso? Fatelo anche voi!
Fate un post che parli di questa iniziativa, linkate questo post, su Facebook e Instagram, se li usate e volete condividere, usate l'hashtag #LTAconparolealtrui e #latanaafricana e mettete il link nei commenti a quel post, così che io possa "ritrovarvi".
Scoprirsi attraverso le nostre emozioni e l'interpretazione di parole di altri, può essere bellissimo e costruttivo, facciamolo insieme!
Nessun commento:
Posta un commento