Una delle
cose più difficili dei rapporti umani, e che ne qualifica l’importanza, è il
saper gioire dei successi altrui come fossero i propri.
Guardare ai progressi degli altri con occhio obbiettivo, con sincera gioia o, quantomeno, con indifferenza.
Guardare ai progressi degli altri con occhio obbiettivo, con sincera gioia o, quantomeno, con indifferenza.
Molto
spesso, un miglioramento delle condizioni di vita, del benessere, della
disponibilità economica, cambia il modo in cui gli altri si relazionano a noi.
Puoi chiamarla invidia, semplicemente.
È un atteggiamento che inizia, in genere, da un giudicare i percorsi altrui per carpirne eventuali meriti o fortune.
Quando si inizia a guardare alla vita degli altri in questo modo, se c’era un qualsiasi rapporto, questo è evidentemente destinato a finire.
L’invidia è un sentimento umano e accomuna tutti: prima o poi la proviamo tutti, inutile dire “no, a me non interessa, non sono un tipo invidioso”, non è vero.
Almeno una volta nella vita ognuno di noi ha visto una fortuna altrui e l’ha invidiata, ha sperato capitasse a lui, si è chiesto “perché a lui sì e a me no”. Il bimbo che ti dorme tutta la notte, la casa bella, la macchina nuova, una vincita, una promozione sul lavoro.
Puoi chiamarla invidia, semplicemente.
È un atteggiamento che inizia, in genere, da un giudicare i percorsi altrui per carpirne eventuali meriti o fortune.
Quando si inizia a guardare alla vita degli altri in questo modo, se c’era un qualsiasi rapporto, questo è evidentemente destinato a finire.
L’invidia è un sentimento umano e accomuna tutti: prima o poi la proviamo tutti, inutile dire “no, a me non interessa, non sono un tipo invidioso”, non è vero.
Almeno una volta nella vita ognuno di noi ha visto una fortuna altrui e l’ha invidiata, ha sperato capitasse a lui, si è chiesto “perché a lui sì e a me no”. Il bimbo che ti dorme tutta la notte, la casa bella, la macchina nuova, una vincita, una promozione sul lavoro.
Dietro ad
ogni cosa che ci accade nella vita, ci sono casualità e scelte. Casualità nel
vederti proporre qualcosa, scelta nel farlo oppure no. La vita è un gioco, in
fondo, fatto di queste due componenti: la fortuna o la sfortuna ci presentano
un piatto, sta a noi decidere se mangiarlo, se rimandarlo indietro, se
modificarlo aggiungendo del sale o del pepe.
Per accettare che le scelte altrui abbiano più fortuna delle proprie, che un altro prenda un voto più alto del nostro all’esame perché gli sian capitate domande più facili o sulle cose che sapeva meglio, che il meraviglioso posto di lavoro dei nostri sogni si liberi proprio quando un altro, e non noi, presenta la domanda di assunzione… beh ci vuole forza, inutile negarselo. È umano, assolutamente umano, rimanerci male.
È normale se rimane dentro di noi, se invece coinvolge anche l’altro diventa qualcosa di più brutto e spiacevole.
Ti aspetti che cose come questa accadano nei paesi ricchi, negli ambienti “viziati”, e invece, anche qui, la vita ti stupisce.
Due nostri amici dell’Ambasciata hanno preso una ragazza per far loro da bonne, come più o meno tutti fanno qui. Queste persone però sono persone di cuore e si prendono cura di lei, non le danno solo un buon stipendio: la curano, a loro spese, curano la sua bambina, le regalano delle cose, le fanno la spesa, la trattano molto bene. Lei li ringrazia con la fedeltà, l’onestà e l’impegno e qui non è cosa da poco, credetemi. È un bel connubio e lei è carinissima, discreta, disponibile (è lei che sta insegnando alla fra a cucinare i piatti locali).
Da quando Clarisse, questa ragazza, ha evidentemente migliorato le sue condizioni di vita, mangia meglio, la casa ha nuove cose (teniamo conto che non ha neanche il frigo eh, vive più o meno in una baracca), la sua vicina di casa non le rivolge la parola e le ha fatto il vuoto intorno; la bimba è stata picchiata più volte da altri bambini per la sua bicicletta nuova.
E cose del genere mi sono state raccontate anche in altri contesti, sia locali che non.
Nel paese dei poveri, non c’è posto per l’affrancamento, evidentemente. Il miglioramento viene visto con invidia, come se migliorandosi si lasciasse colpevolmente qualcuno indietro, come se il l’avere di più togliesse qualcosa agli altri.
La fra, onestamente, non se lo aspettava.
Clarisse è stata fortunata, sì, ma dimostra ogni giorno di meritare la sua fortuna, attraverso il suo lavoro, il suo impegno, la sua onestà, attraverso il meritare la fiducia che ogni giorno le viene data, ma questo non è accettabile per chi è rimasto indietro, anche se è rimasto indietro perché magari non ha saputo sfruttare un’opportunità.
L’epilogo, triste, è che se migliori te stesso perdi l’appoggio della comunità in cui eri inserito precedentemente e dovrai socialmente ricominciare da capo.
Come in una sorta di guerra silenziosa e triste. Ma in una guerra tra poveri, come questa, ci sarà mai un vincitore?
Per accettare che le scelte altrui abbiano più fortuna delle proprie, che un altro prenda un voto più alto del nostro all’esame perché gli sian capitate domande più facili o sulle cose che sapeva meglio, che il meraviglioso posto di lavoro dei nostri sogni si liberi proprio quando un altro, e non noi, presenta la domanda di assunzione… beh ci vuole forza, inutile negarselo. È umano, assolutamente umano, rimanerci male.
È normale se rimane dentro di noi, se invece coinvolge anche l’altro diventa qualcosa di più brutto e spiacevole.
Ti aspetti che cose come questa accadano nei paesi ricchi, negli ambienti “viziati”, e invece, anche qui, la vita ti stupisce.
Due nostri amici dell’Ambasciata hanno preso una ragazza per far loro da bonne, come più o meno tutti fanno qui. Queste persone però sono persone di cuore e si prendono cura di lei, non le danno solo un buon stipendio: la curano, a loro spese, curano la sua bambina, le regalano delle cose, le fanno la spesa, la trattano molto bene. Lei li ringrazia con la fedeltà, l’onestà e l’impegno e qui non è cosa da poco, credetemi. È un bel connubio e lei è carinissima, discreta, disponibile (è lei che sta insegnando alla fra a cucinare i piatti locali).
Da quando Clarisse, questa ragazza, ha evidentemente migliorato le sue condizioni di vita, mangia meglio, la casa ha nuove cose (teniamo conto che non ha neanche il frigo eh, vive più o meno in una baracca), la sua vicina di casa non le rivolge la parola e le ha fatto il vuoto intorno; la bimba è stata picchiata più volte da altri bambini per la sua bicicletta nuova.
E cose del genere mi sono state raccontate anche in altri contesti, sia locali che non.
Nel paese dei poveri, non c’è posto per l’affrancamento, evidentemente. Il miglioramento viene visto con invidia, come se migliorandosi si lasciasse colpevolmente qualcuno indietro, come se il l’avere di più togliesse qualcosa agli altri.
La fra, onestamente, non se lo aspettava.
Clarisse è stata fortunata, sì, ma dimostra ogni giorno di meritare la sua fortuna, attraverso il suo lavoro, il suo impegno, la sua onestà, attraverso il meritare la fiducia che ogni giorno le viene data, ma questo non è accettabile per chi è rimasto indietro, anche se è rimasto indietro perché magari non ha saputo sfruttare un’opportunità.
L’epilogo, triste, è che se migliori te stesso perdi l’appoggio della comunità in cui eri inserito precedentemente e dovrai socialmente ricominciare da capo.
Come in una sorta di guerra silenziosa e triste. Ma in una guerra tra poveri, come questa, ci sarà mai un vincitore?
Che tristezza, povera ragazza, ottiene e perde contemporanea mente.
RispondiEliminaLa vita è ingiusta, le persone sono ingiuste.
Purtroppo è verissimo, succede spesso, e fra le persone mediamente benestanti è abbastanza diffusa una retorica dei poveri buoni a prescindere e solidali fra loro che non è sempre rispondente a realtà. Anche fra i poveri, come fra tutti, ci sono i buoni ed i meno buoni, i generosi e gli egoisti e, purtroppo, la miseria è un male che a volte migliora ma altre volte peggiora le persone.
RispondiEliminaScriveva padre Alex Zanotelli, frate vissuto tanti anni negli slums di Nairobi "Non dobbiamo amare i poveri perché sono buoni, perché non è detto che lo siano, dobbiamo amarli perché hanno più bisogno".
Mila