giovedì 13 marzo 2014

Con parole altrui #9. Giovanni Pascoli e Roberto Vecchioni



In noi esiste e sopravvive una lotta. È una lotta interna, è quella che ci spinge al di là dei nostri limiti, che ci porta a confrontarci con essi, a discutere ogni giorno dentro di noi se sia più opportuno volgere le spalle alla tranquillità e metterci in gioco oppure tornare al nido sereno di una quotidianità stabile.

Chi più, chi meno, cerchiamo tutti di migliorarci, di conquistare qualcosa, di dimostrare qualcosa sia agli altri che principalmente a noi stessi.

Con la stessa curiosità che spinse il dantesco Ulisse alla ricerca di posti inesplorati e della “canoscenza”, cerchiamo ogni giorno di espandere i nostri orizzonti, reali o virtuali che siano.

Cosa succede quando il viaggio è finito? Quali sentimenti scuotono l’animo quando davanti non c’è più nulla per cui combattere? Cosa succede quando davanti non hai terre da conquistare, nulla da scoprire, quando improvvisamente ti rendi conto che il cammino è finito? Quando senti ancora dentro la brama di proseguire ma non c’è più un sentiero per farlo?

Un poeta, Pascoli, e un cantautore, Vecchioni, hanno affrontato questo tipo di sconcerto e disillusione, entrambi attraverso la figura di Alessandro Magno che, arrivato alla fine delle terre conosciute, si trova davanti l’immensità dell’oceano e capisce che non può andare oltre, che il viaggio, la conquista sono finiti e che la sua brama rimarrà insoddisfatta.

Il linguaggio classico di Pascoli e quello decisamente moderno di Vecchioni restituiscono, seppure con modalità e parole notevolmente diverse, la stessa figura di eroe arrivato di fronte ad un limite non proprio, sgomento e perso.

Ed è tutta lì la lotta tra le aspettative che improvvisamente hanno trovato tutte le realizzazioni possibili e la spinta ad andare oltre che invece continua a nascere da dentro. Pascoli attribuisce addirittura ai due occhi di colore diverso i due aspetti: l’occhio nero sente morire la speranza, l’occhio azzurro invece sente rinascere il desiderio e Alessandro è intrappolato tra queste due emozioni, di fronte a quel mare al di là del quale immagina cose ancora da scoprire attraverso viaggi e conquiste che è cosciente di non poter fare.

Vecchioni lo descrive come un eroe più moderno, più vicino di quello che il linguaggio aulico di Pascoli ci presenta, che di fronte al mare si sente un coglione perché le sue conquiste, i suoi viaggi, lo hanno portato a vedere, alla fine, alla resa dei conti, un sole uguale a quello che aveva lasciato.

Entrambi questi testi mi emozionano sempre tantissimo: c’è dentro una sorta di eroe romantico di fronte alla decadenza della propria lotta interiore, del proprio desiderio. Un desiderio che, per la prima volta, si ferma perché è fermato da qualcosa che non può essere cambiato da nessuno. La lotta improvvisamente è finita e questa figura “svuotata” rimane a contemplare il proprio limite ultimo, con la consapevolezza del cammino compiuto e anche con la tacita domanda di chi ottiene tutto ciò che poteva avere e si chiede “e ora?”

Di entrambi i testi vi propongo solo degli estratti: nel caso di Pascoli quello che secondo me è emblematico del conflitto interno di Alessandro e nel caso della canzone di Vecchioni, che affronta diversi temi, solo la parte che riguarda questo tema.
Buona lettura e buon ascolto!

Aléxandros – Giovanni Pascoli

E così, piange, poi che giunse anelo:
piange dall'occhio nero come morte;
piange dall'occhio azzurro come cielo.

Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)
nell'occhio nero lo sperar, più vano;
nell'occhio azzurro il desiar, più forte.

Egli ode belve fremere lontano,
egli ode forze incognite, incessanti,
passargli a fronte nell'immenso piano,

come trotto di mandre d'elefanti.


Stranamore (pure questo è amore) – Roberto Vecchioni

Ed il più grande conquistò nazione dopo nazione,
e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione
perché più in là non si poteva conquistare niente;
e tanta strada per vedere un sole disperato
e sempre uguale e sempre come quando era partito.



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