martedì 11 febbraio 2014

Il club internazionale di cucina del lunedì. La cassoulet



È iniziato tutto una mattina, calda, nella piscina, fredda.
La fra era da sola in vasca con una signora francese un po’ attempatella ma molto carina e simpatica, e si stava riscaldando un po’ di muscoli a caso. Lei si è avvicinata e le ha fatto la proposta, indecente.

La proposta indecente è consistita nell’invito ad unirsi ad un gruppo di donne a maggioranza francese, ovviamente tutte francofone, che si riuniscono in media una volta a settimana o giù di lì, per insegnare alle altre i piatti tipici del posto da cui vengono.
La prima cosa che la fra ha pensato è stata figo, seguita nell’ordine da come cavolo le capisco e infine sticazzi, figo lo stesso, in qualche modo le capirò.
E così lunedì scorso la fra, dopo aver fatto la prima telefonata autonoma in francese della sua vita e aver ricevuto informazioni, si è recata a casa di una persona che non aveva mai visto in vita sua per imparare a fare un piatto che, ovviamente, non conosceva per niente: la cassoulet.

Niente avrebbe potuto scoraggiare la fra, che era talmente gasata dalla nuova avventura che non si era neanche posta il problema di non sapere il nome della padrona di casa. E infatti, all’ingresso del complesso residenziale ha detto un pietosissimo “sono stata invitata” ai guardiani, che le han chiesto “ok, da chi?” “ehm, non lo so. C’è una riunione con un po’ di persone”. Per mia fortuna o ho una faccia da brava ragazza D.O.C. oppure la padrona di casa ospita, diciamo spesso, persone sconosciute.

Sono stata accompagnata fino alla porta di casa e da lì sono entrata in FrenchLand: pure il cane abbaiava in francese, per dire.
Mi presento alla padrona di casa, una signora grossa due volte me (e scopriremo perché), pago la mia quota (ovvio, vuoi mica che ogni signora offra il pranzo alle altre 8?) e mi avvio a fare conversazione (ah ah ah).

La quota annuale figure di merda della fra è stata raggiunta in meno di 10 minuti, un record.
Mi avvicino ai fornelli con il blocco per prendere appunti e la padrona di casa mi dice “lascia stare, vi mando la ricetta per email” e vabbeh, poi faccio la splendida e le chiedo di poter fare foto perché sai ho un blog in cui parlo delle mie avventure in Africa e delle cose tipiche e lei mi fa “beh la cassoulet è proprio tipicamente africana eh” con un tono che a confronto Severus Piton sembra l’elfo Dobby. E olè!
Non contenta, la fra decide di fare bingo.
Nella pentola sul fornello, sobbollivano tipo 6 salsicce in un liquido non identificato.
Ingenuamente, la fra, che voleva ridarsi un tono, come dire, ha quindi chiesto “Ah, tu a mis de l’eau dedans?” (ci hai messo l’acqua dentro?)
Gelo.
Metà delle francesi presenti rideva (della fra e per l’affermazione, ovvio), l’altra metà era inorridita; una più compassionevole ha detto piano alla fra “le cassoluet n’est pas un plat léger”. La padrona di casa ha guardato la fra come avrebbe guardato uno scarrafone nel suo piatto e ha detto “Pas d’eau, il est graisse de canard
Grasso di anatra.
Porcocazzo, la fra teme di averlo detto pure ad alta voce.
Et voilà, -300 punti sulla “nuove amiche francesi – buoni amici card”: una cosa che per riprendermi dovrò tipo portargli la mozzarella direttamente dalla Puglia, a marzo. Forse.
Ora, a parte la colossale figura di merda della fra, parliamone. Salsicce cotte in una casseruola piena di grasso d’anatra.
Il fegato della povera bestia era lì che recitava l’ora pro nobis, quello della fra diceva sommessamente miei cari, vi ho voluti qui perché mi accorgo che la fine è vicina…

Mentre io mi preoccupavo della salute dei miei organi interni, le francesi eran lì tranquille e per nulla impressionate dalla mole di grasso animale che da lì a tre ore avremmo ingurgitato.
In quel momento la padrona di casa, da allora ribattezzata Madame Tuer-le-foie, ha iniziato ad elencarci gli ingredienti del nostro pranzo.
Salsicce, scolate dal grasso in quel momento (grasso messo a freddare fuori, beh caldo se lo getti nel lavandino rovina i tubi ha pensato la fra, ma per fortuna non l’ha detto), altre salsicce, un salsiccione lungo all’aglio, pancetta di maiale fresca, cotenna fresca di pancetta di maiale fresca (non sia mai a lasciarci dietro qualcosa di grasso eh), agnello.
Il regno della sugna.
E poi, loro.
La bagnarola, del tipo di quelle in cui la fra di solito mette i panni in attesa di stenderli, era occupata da una cosa come 2 kg di fagioli bianchi.
Non sia mai a lasciar lavorar tranquillo un organo interno del sistema digerente.

Visto mai che il piatto fosse leggero, la lista ingredienti ha compreso anche un bouquet garni, 2 spicchi d’aglio schiacciati, 1 cipolla infilzata con  chiodi di garofano e qualche granello di pepe intero.
A quel punto la fra ha iniziato a guardare con apprensione le altre 4 cipolle rimaste lì insieme tipo ai 6 spicchi d’aglio, ma ovviamente non ha detto nulla, prima che Madame Tuer-le-foie pensasse di metterci anche lei, nella cassoulet, sai mai.

Il concetto è che il tutto andava messo in un pentolone da ristorazione e lasciato cuocere, quindi, sempre col dubbio sull’aglio e la cipolla mancanti, la fra si è allontanata dalla cucina per continuare a fare conversazione (ah ah ah. Ah)
E qui la fra ha scoperto un’importante verità: un conto è gestire la conversazione con una-due persone alla volta e una conto sono quattro-cinque persone che fanno conversazione su un argomento con accenti diversi, voci diverse, toni diversi e il tutto in una lingua che conosci tutto sommato anche male.
A quel punto la fra ha cercato di parlare più o meno con tutte ma almeno in gruppetti da tre. Devo dire che sono state tutte piuttosto carine: hanno parlato più o meno tutte abbastanza lentamente, all’inizio. Evidentemente rassicurate dalle risposte della fra poi hanno iniziato a slegarsi e la fra ha iniziato a sorridere e a ridere quando vedeva le altre farlo. Un genio, del male.

Poi, Madame Tuer-le-foie ci chiama dalla cucina e ci annuncia che è arrivato il momento di capire come aglio e cipolla possano contribuire alla precoce dipartita del nostro fegato, sai ci terrebbero taaaaanto.
E vabbeh.
Taglia le cipolle a fettine, l’aglio a pezzettini piccoli e li mette a cuocere in una padella.
Ormai lo avrete capito anche voi, immagino.
Quello nella padella non era olio o burro, quando mai.
Ovviamente li ha fatti andare a fuoco lento lento in una padella con il fondo pieno di una parte del grasso di anatra in cui aveva fatto già bollire le salsicce (mancasse di grasso, insomma).
Il porcocazzo qui ci sta, non ci sono cavoli.
Mentre la fra raccoglieva gli occhi, magari solo quelli, da terra e stava pensando ad una scusa per non rimanere a pranzo, le altre tutte lì contente che quasi saltellavano intorno alla padella. (Al ché la fra ha deciso che minimo, quando toccherà a lei, o coda alla vaccinara o bagna cauda o parmigiana di melanzane. Magari tutte e tre insieme, considerato lo standard di grassi che ‘ste qui sono abituate a ingurgitare).

Quando il tutto è stato pronto, Madame Tuer-le-foie ci ha mostrato lo step successivo: ha scolato tutta la carne e le salsicce dalla pentola e le ha messe da parte, poi nelle teglie da  forno, ben bene ingrassate con grasso d’anatra ovviamente (e lì, io ve lo giuro, volevo morì) ha messo un bello strato di fagioli più o meno uniforme. Sopra a quello strato ha adagiato la carne in modo che una volta assemblato il tutto ogni porzione avesse diciamo un po’ tutti i tipi di carne, negli spazi ha messo le cipolle e l’aglio cotti nel grasso, poi di nuovo uno strato di fagioli. Sopra, ha distribuito abbondante pangrattato e bagnato con l’acqua di cottura di tutta la carne, una cosa che dire grassa è come dire alla fra che è anoressica, non so se ho reso.
In pratica una lasagna “sugna e fagioli”, evviva!!!
Il tutto ha poi preso la via del forno, con la raccomandazione di ripetere almeno 7 volte l’operazione pangrattato e brodo grasso nelle seguenti 3 o 4 ore. In pratica la carne deve diventare vediamo, come dire, un burro, ecco. Tanto per restare nell’ambito del grasso.

Visto che era tipo mezzogiorno, la fra non riusciva a capire come avremmo mai potuto mangiare la cassoulet per pranzo, quando ecco che Madame Tuer-le-foie caccia fuori due teglie della pietanza già cotte in precedenza: anche lei un genio, sempre del male.
Però prima ci propone un aperitivo.
Tu che pensi?
Un prosecchino,  un analcolico, un succo d’ananas ben fresco, del resto siamo in Costa d’Avorio, è mezzogiorno e fuori ci sono 33°.
Ecco, no.
L’aperitivo era in teglia.
Azzo, ha pensato la fra.
Azzo, ha pensato anche il fegato della fra, che era in palestra ad allenarsi per l’imminente arrivo di un cumulo di grasso abnorme e non aveva preventivato un anticipo.
Alza il foglio di alluminio e tutte le altre “ooooooooh, le gésiers confits”, manco avessero visto tipo la madonna; la fra si avvicina e vede ‘na teglia piena di cosette piccine un po’ stortignaccole, di evidente origine animale ma di provenienza anatomica sconosciuta.
La fra doveva avere un punto interrogativo grande come una casa a posto degli occhi, perché Madame Tuer-le-foie le ha immediatamente spiegato “est l’estomac de volaille confit dans le graisse de canard” (per capire di cosa sto parlando, andate qui)
Ok, stomaco di pollo confit nel grasso… indovinate quale? Bravi, di anatra.
A casa di Madame Tuer-le-foie l’anatra è come il maiale, non se butta niente.

Che fai, dopo aver perso quei trecento punti di cui sopra, glie dici pure de no all’aperitivo a base di interiora fatte confit nel grasso? Ennò, non se può.
Edibili, è tutto quello che vi dirò a riguardo.

Finalmente sedute a tavola, abbiamo mangiato la cassoulet.
La fra, aperitivi e cocktail a parte, è diciamo praticamente astemia, ma credo non vi sorprenderà che per mandar giù quel mezzo piatto di roba le ci siano serviti due bei bicchieri di Rosso bello corposo.
La cassoulet era ovviamente pesantissima ma oggettivamente buona e saporita (vorrei vedé) ma la fra ha cortesemente rifiutato il bis e, sotto gli occhi scontenti di Madame Tuer-le-foie, sua vicina di tavolo, ha anche lasciato nel piatto due pezzi di cotenna di pancetta, c’è un limite anche alla compiacenza, suvvia.

La conversazione, ovviamente, non è stata brillantissima: provateci voi, con il livello di colesterolo che vi sale in tempo reale, a parlare del più e del meno.
Due battute, un assaggio ai due (DUE) dolci che la padrona di casa aveva preparato, un tea veloce e poi via, verso nuove avventure.
Non credo vi sorprenderà sapere che la fra si è avvicinata alla macchina con la stessa andatura flessuosa e soprattutto con lo stesso girovita di Mago Pancione. Etcì.

Dopo questa avventura, la prima di una serie, pare, posso serenamente affermare quanto segue:

- I luoghi comuni sui francesi hanno un loro fondamento. Madame Tuer-le-foie ha toccato roba grassa di ogni tipo per tutta la mattina e non si è mai lavata le mani. Ehm. (per inciso, la fra è stata l’unica a lavarsi le mani prima di pranzo ^^’)

- I luoghi comuni sulla cucina francese, pure. Se mai dovessi fare un’analisi del sangue, ancora oggi ad una settimana di distanza, troverebbero, forse, tracce di sangue nel mio colesterolo.

- La fra, evidentemente, sa fingere conoscenze linguistiche che non ha, e lo fa anche bene.
“l’associazione donne francesi espatriate organizza degli incontri e dei corsi di bricolage, vieni?”
“ Ehm, grazie Valerie, ma lo sai che io non sono francese…”
“Sì, ma tu parli francese, quindi non c’è problema!”
Dopo questo, direi che la tipa di Harry ti presento Sally, in quanto a saper fingere, me spiccia casa…

1 commento:

  1. Sono al lavoro con i molesti postumi di un'influenza intestinale. Ho letto tutto il post. E sono morta. L'unico dubbio atroce che mi è rimasto in testa: tutto quel grasso per quante settimane ti si ripropone nella digestione? Più o meno di 4? :)

    RispondiElimina