Quando
facevo le superiori, credo più o meno in secondo liceo, andavo alla ricerca di
libri di aforismi o di brevi scritti che potessero aiutarmi a esprimere la
complessità che mi sentivo dentro e me li segnavo sul diario (che ho ancora
eh), per farli miei, per potermi ricordare che in quel momento quella cosa mi
aveva colpito e fatto riflettere.
Uno dei libri che mi capitò in mano in quel periodo fu “L’antologia di Spoon River”, di Edgar Lee Masters: piano piano mi addentrai, virtualmente, in quel cimitero di cittadina americana e ne scoprii le storie, gli intrecci, i momenti di poesia, quelli di sorriso e quelli amari.
Trovai ben pochi aforismi ma diversi scritti intensi.
Quello che pubblicherò qui oggi, in verità, mi era sfuggito finché la mia professoressa di Italiano del triennio, una donna che, in termini scolastici ed espressivi, mi ha dato tanta di quella fiducia in me stessa da farmela durare finché campo, per uno dei primi compiti in classe, la utilizzò come titolo di una delle tracce.
Ovviamente quel giorno io avevo tipo un’infiammazione alla mano, neanche ricordo cosa, sta di fatto che non potei svolgere quel tema. Sono state le tre ore più lunghe della mia vita: dentro avevo parole, pensieri, idee, riflessioni, ribollivo di voglia di fermarle su carta, di esprimerle.
In quell’inizio di terzo liceo cambiò sostanzialmente il mio modo di scrivere e di approcciarmi al foglio bianco: non riflettevo neanche un secondo, sceglievo la traccia e immediatamente sentivo nascere dentro cose che volevo dire, riflessioni, urgenze. Mai più fatta una brutta copia. Ehm no, fatta sempre, ma nelle mie brutte non ci sono mai state cancellature, esattamente come negli articoli che scrivo oggi, sia qui che su instamamme.
Generalmente staccavo la penna quasi tre ore dopo, con un foglio protocollo pieno di calligrafia minuscola e ordinata.
Non ho mai avuto idea di dove la scrittura mi avrebbe portato: ho lasciato che mi portasse, collegando direttamente i pensieri alla penna, senza filtri, come ora faccio con le dita sulla tastiera (ovviamente quando scrivo riflessioni personali, altrimenti sto bene attenta a inserire il filtro “razionalità & opportunità”).
Mi è sempre piaciuto scrivere, ma mi ponevo obiettivi e nel farlo automaticamente aggiungevo limiti.
Quel tema non svolto se non nella mia mente, quelle parole che sentivo affollarsi e urlarmi in testa, hanno in qualche modo cambiato il mio modo di vedere un tema da un esprimere delle opinioni e raccontare dei fatti, a un mettere me stessa in un foglio attraverso parole.
Tutto questo non significa che questo modo di vedere la scrittura sia il migliore: è solo il mio, quello che mi accompagna da allora.
Quello che ho amato, fin da subito, di questa finta epigrafe è il suo rappresentare la vita come una dicotomia tra gioventù e vecchiaia, e conseguentemente inesperienza e saggezza, attraverso la figura delle ali di un uccello.
Non voglio commentarla qui, perderei tutta l’interiorizzazione che allora, e negli anni a seguire, ne ho fatto. Ve la lascio come un dono, da assaporare; ve la appoggio su carta (o su schermo, dovrei dire, ma converrete che si perda tutta la poesia) e spero ve la godiate tutta.
La traduzione rispetto all’originale non è letterale, diciamo resa un po’ più poetica e adatta alla profondità del messaggio, perdonatemi ma ogni lingua ha il suo modo di rendere emozioni e poesia e una traduzione pedissequa a volte nega l’essenza dello scritto stesso.
Uno dei libri che mi capitò in mano in quel periodo fu “L’antologia di Spoon River”, di Edgar Lee Masters: piano piano mi addentrai, virtualmente, in quel cimitero di cittadina americana e ne scoprii le storie, gli intrecci, i momenti di poesia, quelli di sorriso e quelli amari.
Trovai ben pochi aforismi ma diversi scritti intensi.
Quello che pubblicherò qui oggi, in verità, mi era sfuggito finché la mia professoressa di Italiano del triennio, una donna che, in termini scolastici ed espressivi, mi ha dato tanta di quella fiducia in me stessa da farmela durare finché campo, per uno dei primi compiti in classe, la utilizzò come titolo di una delle tracce.
Ovviamente quel giorno io avevo tipo un’infiammazione alla mano, neanche ricordo cosa, sta di fatto che non potei svolgere quel tema. Sono state le tre ore più lunghe della mia vita: dentro avevo parole, pensieri, idee, riflessioni, ribollivo di voglia di fermarle su carta, di esprimerle.
In quell’inizio di terzo liceo cambiò sostanzialmente il mio modo di scrivere e di approcciarmi al foglio bianco: non riflettevo neanche un secondo, sceglievo la traccia e immediatamente sentivo nascere dentro cose che volevo dire, riflessioni, urgenze. Mai più fatta una brutta copia. Ehm no, fatta sempre, ma nelle mie brutte non ci sono mai state cancellature, esattamente come negli articoli che scrivo oggi, sia qui che su instamamme.
Generalmente staccavo la penna quasi tre ore dopo, con un foglio protocollo pieno di calligrafia minuscola e ordinata.
Non ho mai avuto idea di dove la scrittura mi avrebbe portato: ho lasciato che mi portasse, collegando direttamente i pensieri alla penna, senza filtri, come ora faccio con le dita sulla tastiera (ovviamente quando scrivo riflessioni personali, altrimenti sto bene attenta a inserire il filtro “razionalità & opportunità”).
Mi è sempre piaciuto scrivere, ma mi ponevo obiettivi e nel farlo automaticamente aggiungevo limiti.
Quel tema non svolto se non nella mia mente, quelle parole che sentivo affollarsi e urlarmi in testa, hanno in qualche modo cambiato il mio modo di vedere un tema da un esprimere delle opinioni e raccontare dei fatti, a un mettere me stessa in un foglio attraverso parole.
Tutto questo non significa che questo modo di vedere la scrittura sia il migliore: è solo il mio, quello che mi accompagna da allora.
Quello che ho amato, fin da subito, di questa finta epigrafe è il suo rappresentare la vita come una dicotomia tra gioventù e vecchiaia, e conseguentemente inesperienza e saggezza, attraverso la figura delle ali di un uccello.
Non voglio commentarla qui, perderei tutta l’interiorizzazione che allora, e negli anni a seguire, ne ho fatto. Ve la lascio come un dono, da assaporare; ve la appoggio su carta (o su schermo, dovrei dire, ma converrete che si perda tutta la poesia) e spero ve la godiate tutta.
La traduzione rispetto all’originale non è letterale, diciamo resa un po’ più poetica e adatta alla profondità del messaggio, perdonatemi ma ogni lingua ha il suo modo di rendere emozioni e poesia e una traduzione pedissequa a volte nega l’essenza dello scritto stesso.
Epigrafe di Alexander Throckmorton -
Antologia di Spoon River - Edgar Lee Masters
Da giovane avevo ali forti e instancabili
ma non conoscevo la montagna
Quando fui vecchio, conobbi la montagna
ma le ali stanche non tennero dietro alla visione-
Il genio è saggezza e gioventù.
Vi piace l'idea di condividere testi, canzoni, poesie, prose che vi han fatto riflettere su qualcosa o che hanno segnato il vostro percorso? Fatelo anche voi!
Fate un post che parli di questa iniziativa, linkate questo post, su Facebook e Instagram, se li usate e volete condividere, usate l'hashtag #LTAconparolealtrui e #latanaafricana e mettete il link nei commenti a quel post, così che io possa "ritrovarvi".
Scoprirsi attraverso le nostre emozioni e l'interpretazione di parole di altri, può essere bellissimo e costruttivo, facciamolo insieme!
Da giovane avevo ali forti e instancabili
ma non conoscevo la montagna
Quando fui vecchio, conobbi la montagna
ma le ali stanche non tennero dietro alla visione-
Il genio è saggezza e gioventù.
Vi piace l'idea di condividere testi, canzoni, poesie, prose che vi han fatto riflettere su qualcosa o che hanno segnato il vostro percorso? Fatelo anche voi!
Fate un post che parli di questa iniziativa, linkate questo post, su Facebook e Instagram, se li usate e volete condividere, usate l'hashtag #LTAconparolealtrui e #latanaafricana e mettete il link nei commenti a quel post, così che io possa "ritrovarvi".
Scoprirsi attraverso le nostre emozioni e l'interpretazione di parole di altri, può essere bellissimo e costruttivo, facciamolo insieme!
Avrei voluto incontrare anch'io una professoressa cosi :'(
RispondiEliminaLa poesia è così vera nelle parole, che un po' mi fa paura...
Un abbraccio forte Tara
La mia prof mi adorava, temo che gli altri miei compagni non ne serbino un ricordo così felice come il mio. Io la stimavo e lei stimava me. Non la sento da tempo ma le voglio molto bene.
EliminaRiguardo alla poesia: perché non partecipi anche tu?
Bellissima. Devo togliere quel libro dallo scaffale e rileggerlo.
RispondiEliminaCiao
ce ne sono altre attrettanto belle, perché non partecipi anche tu all'iniziativa? ;-)
EliminaDevo riprendere seriamente con il mio blog... l'idea mi alletta.. ti faccio sapere! Ciao
Eliminadai!!! bellissimo!!! ti aspetto!!!
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