Il capodanno
qui, probabilmente, è diverso da quello occidentale.
Non ho indagato perché non mi metterei MAI, con due figli non piccolissimi ma insomma ancora sempre piccoli, nella bolgia di qualche festa locale.
Voglio dire: qui si festeggiano i compleanni dei bambini dell’asilo con l’animazione che in quanto a decibel sfida i concerti dei Metallica, c’è casino e ballano ovunque e per qualsiasi cosa, figurati cosa possono fare per capodanno!
Le riviste tipo “tuttabidjanminutoperminuto” mi propongono feste fighissime in stile occidentale: le stesse feste che schifo da sempre in Italia, per capirci, e quindi ovviamente anche no.
Capodanno, qui, per noi, come anche Natale, è una festa che si festeggia insieme agli amici italiani, in genere persone che lavorano o gravitano intorno all’ambasciata.
Di locale, al massimo, abbiamo qualche piatto tipo l’alloco, oppure il pesce.
I nostri menù sono predominantemente occidentali: il cotechino con le lenticchie a mezzanotte (con 30° fuori, un delirio), la pasta al forno, la carne.
Quest’anno, tra le altre cose, ci siamo sbafati una teglia di anelletti alla siciliana che avrebbero resuscitato pure un morto.
Eppure mi rimane sempre la sensazione che ci stiamo perdendo tanto. Che potremmo “mischiarci” di più, almeno a livello culinario.
Manca il coraggio, oppure c’è bisogno di sentirci ancora parte di qualcosa oltreoceano (che poi proprio oltreoceano non è, ma fa tanto figo dirlo!), chi lo sa. Resta il fatto che siamo autolimitanti e autolimitati, sicuramente.
Un po’ è paura, un po’ ignoranza, un po’ son proprio gusti diversi. Le cose locali che abbiamo assaggiato non sono male, ma hanno odori e spezie particolari. Il Marito (sperimentatore) Paziente per esempio ha assaggiato un bel po’ di intrugli autoctoni, con le relative guarnitures, una roba in genere in umido che, solo a passarle sotto al naso, alla fra ha rivoltato lo stomaco come un calzino.
Non la vivo bene, questa cosa. Devo trovare il modo di rendere mia questa terra, di portarmene un pezzo dietro, come feci col Perù a suo tempo. Magari dovrò commistionare un po’ le cose tra le loro tradizioni e i nostri sapori e soprattutto rendere gli odori più accettabili per i nostri sensi olfattivo-gustanti.
Una ricetta al mese, magari ce la faccio. Sarà il mio impegno, uno dei miei impegni, per questo 2014. La riporterò anche qui, per testimoniare a me stessa, prima ancora che a chi mi legge, questo percorso di scoperta e di appropriamento parziale o totale di una parte di questo posto.
L’anno scorso dicevo che volevo “sporcarmi” un po’… quale mezzo migliore del cibo?
Non ho indagato perché non mi metterei MAI, con due figli non piccolissimi ma insomma ancora sempre piccoli, nella bolgia di qualche festa locale.
Voglio dire: qui si festeggiano i compleanni dei bambini dell’asilo con l’animazione che in quanto a decibel sfida i concerti dei Metallica, c’è casino e ballano ovunque e per qualsiasi cosa, figurati cosa possono fare per capodanno!
Le riviste tipo “tuttabidjanminutoperminuto” mi propongono feste fighissime in stile occidentale: le stesse feste che schifo da sempre in Italia, per capirci, e quindi ovviamente anche no.
Capodanno, qui, per noi, come anche Natale, è una festa che si festeggia insieme agli amici italiani, in genere persone che lavorano o gravitano intorno all’ambasciata.
Di locale, al massimo, abbiamo qualche piatto tipo l’alloco, oppure il pesce.
I nostri menù sono predominantemente occidentali: il cotechino con le lenticchie a mezzanotte (con 30° fuori, un delirio), la pasta al forno, la carne.
Quest’anno, tra le altre cose, ci siamo sbafati una teglia di anelletti alla siciliana che avrebbero resuscitato pure un morto.
Eppure mi rimane sempre la sensazione che ci stiamo perdendo tanto. Che potremmo “mischiarci” di più, almeno a livello culinario.
Manca il coraggio, oppure c’è bisogno di sentirci ancora parte di qualcosa oltreoceano (che poi proprio oltreoceano non è, ma fa tanto figo dirlo!), chi lo sa. Resta il fatto che siamo autolimitanti e autolimitati, sicuramente.
Un po’ è paura, un po’ ignoranza, un po’ son proprio gusti diversi. Le cose locali che abbiamo assaggiato non sono male, ma hanno odori e spezie particolari. Il Marito (sperimentatore) Paziente per esempio ha assaggiato un bel po’ di intrugli autoctoni, con le relative guarnitures, una roba in genere in umido che, solo a passarle sotto al naso, alla fra ha rivoltato lo stomaco come un calzino.
Non la vivo bene, questa cosa. Devo trovare il modo di rendere mia questa terra, di portarmene un pezzo dietro, come feci col Perù a suo tempo. Magari dovrò commistionare un po’ le cose tra le loro tradizioni e i nostri sapori e soprattutto rendere gli odori più accettabili per i nostri sensi olfattivo-gustanti.
Una ricetta al mese, magari ce la faccio. Sarà il mio impegno, uno dei miei impegni, per questo 2014. La riporterò anche qui, per testimoniare a me stessa, prima ancora che a chi mi legge, questo percorso di scoperta e di appropriamento parziale o totale di una parte di questo posto.
L’anno scorso dicevo che volevo “sporcarmi” un po’… quale mezzo migliore del cibo?
Ecco questo mi sembra un buon proposito per il 2014...e non vedo l'ora di leggere come andrà...Buon anno
RispondiEliminaper ora sto selezionando le ricette ;-)
EliminaAlcune cose necessiteranno di ingredienti locali, temo, ma per il resto secondo me le ricette potrebbero essere anche adattate ad ingredienti italiani ;-)
Dai, ti mando da mia nonna a Fronan, sai che non so nemmeno quanti anni ha mia nonna e nemmeno lei, perché ai tempi non c'era il registro e comunque è nata in Altovolta, in un territorio che adesso è della Costa d'Avorio?
RispondiEliminaTutto questo per dire che se hai voglia di mollare Abidjan, ti mando da lei al Nord.
I miei ricordi più belli delle vacanze infatti sono legati al villaggio, mica alla capitale rinchiusa nel castello delle mie zie rivestito di marmi di Venezia (pensa te! Venivano in italia a prenotare le piastrelle! Mio zio è stato Ministro, e se le faceva mandare giù in nave!)
Ma a Fronan, ah che belle feste e mangiate!
Il funerale di mio nonno è durato 15 giorni, come quello di Mandela in pratica, mio padre che è salito sul primo aereo tutto trafelato si è perso "solo" un giorno di celebrazioni. Ho un DVD di tre ore con il riassunto a puntate (dalla discodance al sacerdote alle streghe del villaggio fino all'entrata trionfale salutata a colpi di fucile).
Avrai letto di lui, ho un ritaglio su un giornale.
Buon anno nuovo!
Mollare Abidjan? no no no.
EliminaOvvero: se fossimo solo io e il Marito Paziente e il suo lavoro lo consentisse, credo che potrei anche provare. Da quando ho i Patati non me la sento di rischiare andando in zone meno "urbane" (magari no, ma ci sono, purtroppo, zone in cui i bianchi non sono visti benissimo, pare).
Sono assolutamente certa che nei villaggi tutto abbia un sapore diverso, a partire dalla cucina.
Del resto tra i ristoranti e i maquis c'è un abisso in termini di sapori: nei maquis mangi delle cose che ti leccheresti anche il piatto!
Ora ho preso contatto con due signore di qui, ivoriane mogli di due italiani (il ché mi facilita un po' con la lingua, perché qualche parola la capiscono, ma non troppo così che possa anche fare palestra di francese), per imaparare "dal vivo" qualche piatto locale.
Magari poi confrontiamo le ricette ;-)