lunedì 27 gennaio 2014

Ricordi e piaghe da tenere aperte


Giornata della Memoria.
Io oggi voglio mettere il dito nella MIA memoria.
La mia memoria di ragazza diciottenne in visita ad un posto di cui non si parlava, nel suo libro di storia.
Un posto che rappresentava un pezzo di Storia, di quella più brutta, più crudele, più follemente brutale. Una Storia che a leggerla, in quel famoso libro di storia, aveva causato turbamento e aveva causato lacrime nel ripeterla, davanti alla classe e all’insegnante.

Alla Risiera di San Sabba, in quella mattina d’estate, non arrivarono le lacrime. L’orrore, lo stupore, il bagno gelido di realtà congelarono anche quelle.
Arrivò un silenzio denso, arrivò uno specchiarsi negli occhi di Fidanzato Storico e vedere lo stesso sentimento indecifrabile e indescrivibile che si agitava dentro, che non trovava parole adatte ad uscire fuori.

In quelle celle buie ho letto storie, immaginato disperazioni e flebili speranze.
In quel cortile grande, assolato, chiarissimo, ho visto il percorso scavato, ho visto la sagoma sul muro e ho visto gli occhi di quell’Uomo, che ancora era mio nonno, riempirsi, anni prima, in un dove tedesco e diverso, di comprensione e orrore.
In quel cortile, quasi vent’anni fa, mi chiesi come fanno occhi che si son spaccati di disumanità a ricomporsi e vedere la vita ancora come qualcosa di bello, come si sopravvive a un pezzo di vita così annichilente, brutto, ingiusto, bastardo. In quel cortile capii i racconti di mia madre e mia zia su un padre freddo, con manie di controllo, rigido, un padre preso più ad aggiustare se stesso, probabilmente, che a costruire e vivere la famiglia.

In quel cortile, poi, feci un passo verso il basso e, nel percorso scavato a terra, seguii una strada che molti, troppi, prima di me avevano seguito. Un percorso su gambe altrui, senza più un cuore a dare ritmo, senza più una volontà, corpi abbandonati, annientati, uccisi, corpi senza pietà di una sepoltura dove poter portare fiori, con la prospettiva di essere portati dal vento, come le foglie.

Tra me e quella ragazza ci sono venti anni di crescita, consapevolezza, esperienze, confronti; ci sono due figli e un Fidanzato Storico che ora è un Marito Paziente. Ma la fotografia di quel cortile è ancora tutta nei miei occhi, intatta, integra e in grado, ogni volta, di fare increspare la pelle, di causare lacrime e di far crescere un fiotto d’aria dentro dandogli la forma di una sola sillaba, no.

Io oggi voglio mettere il dito nella mia memoria, come fosse una piaga. È una piaga che non voglio smetta mai di esistere e di far male; è una piaga che voglio ricordare ogni qual volta mi verrà la tentazione di negarmi cose che mi fanno troppo male o che non comprendo. È una piaga che voglio faccia male quando qualcuno cercherà di farmi credere che il mio benessere possa o debba passare attraverso lo stare male di altri.
È una piaga che fa parte della Storia, della storia di tante persone che non conosco, della storia di mio nonno.
È una piaga che mi porto addosso e dentro con l’orgoglio di non volerla dimenticare, una piaga che tramanderò, affinché questa memoria continui a far male, come deve.

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