Gli ivoriani sono molto tolleranti con gli stranieri.
Davvero.
In due anni che sono qui, nessuno mi ha mai fatto sentire diversa, anzi, hanno tutti capito le mie difficoltà linguistiche e mi hanno aiutato parlando piano e usando termini semplici, non appena dicessi “non parlo bene il francese”.
So per certo che la mia diversità li incuriosisce: quando guardano la mia pelle piena piena di efelidi, non lo fanno con sospetto ma con genuina curiosità: cosa sono quelle macchie? Perché le hai? Ma poi vanno via? Quello che non mi è chiaro, invece, è come si pongano nei confronti della diversità endogena.
Mi è stato detto che qui, tra loro, non siano così tolleranti.
C’è ovviamente, in posti del mondo come questo, un substrato culturale legato a superstizioni, che di solito si accompagna a scarsa alfabetizzazione e scarse possibilità economiche. Per persone che ragionano in maniera tribale (dove “tribale” non ha il valore negativo di “retrogrado”, come viene -troppo- spesso usato in occidente, ma quello naturale ed etimologico di “appartenente ad una tribù”), il “diverso” può essere interpretato come un pericolo, un qualcosa che minaccia la propria identità, o addirittura come un qualcosa legato alle superstizioni (immaginate la nascita di un bambino con una disabilità evidente, ad esempio, che potrebbe essere addirittura interpretata come un segno mandato dal divino: qualche centinaio di anni fa, forse anche poco più di uno, anche in alcune zone d’Italia queste cose accadevano ancora eh). È dura la vita di chi ha sulle spalle un peso simile.
È per esempio il caso degli albini. Avete mai visto un nero albino? In occidente, mai. Qui ovviamente ci sono. Sono dei neri-bianchi: fattezze, tipo di capelli, corporatura autoctona, ma biondi e con la pelle perfino più chiara della mia. Sono “diversi”, e lo sono sia rispetto ai neri, cui è stato inculcato che i diversi sono loro, anche a casa loro, che rispetto ai bianchi, che si sono, da conquistatori, accaparrati il diritto di decidere cosa sia la “normalità”, più o meno ovunque.
Storie che non ho modo di verificare e che si raccontano a mezza bocca, parlano di sacrifici umani, qui, ancora. Ovviamente non ad Abidjan, diciamo nei villaggi, quelli più lontano dai centri urbani.
Non sacrifichi alla divinità, comunque tu la intenda e con qualunque nome tu la chiami, il tuo uomo migliore, sacrifichi il più debole, quello con meno chances, il malato, la donna sterile, lo storpio, il diverso: quello che, a livello istintivo, preferisci non perpetui la specie.
Le società animali sono piene di cose del genere, quella umana si è evoluta in termini di solidarietà sociale e vede la diversità in maniera diversa, ma non sempre: l’accettazione del diverso è una conquista tragicamente recente, a livello culturale.
Certo, il occidente non si fanno (tranne, nel caso fosse vero, a quanto si dice, poche eccezioni portate avanti da pazzi esaltati) sacrifici umani, ma la diversità, in molti ambiti, fa paura ancora oggi.
In due anni che sono qui, nessuno mi ha mai fatto sentire diversa, anzi, hanno tutti capito le mie difficoltà linguistiche e mi hanno aiutato parlando piano e usando termini semplici, non appena dicessi “non parlo bene il francese”.
So per certo che la mia diversità li incuriosisce: quando guardano la mia pelle piena piena di efelidi, non lo fanno con sospetto ma con genuina curiosità: cosa sono quelle macchie? Perché le hai? Ma poi vanno via? Quello che non mi è chiaro, invece, è come si pongano nei confronti della diversità endogena.
Mi è stato detto che qui, tra loro, non siano così tolleranti.
C’è ovviamente, in posti del mondo come questo, un substrato culturale legato a superstizioni, che di solito si accompagna a scarsa alfabetizzazione e scarse possibilità economiche. Per persone che ragionano in maniera tribale (dove “tribale” non ha il valore negativo di “retrogrado”, come viene -troppo- spesso usato in occidente, ma quello naturale ed etimologico di “appartenente ad una tribù”), il “diverso” può essere interpretato come un pericolo, un qualcosa che minaccia la propria identità, o addirittura come un qualcosa legato alle superstizioni (immaginate la nascita di un bambino con una disabilità evidente, ad esempio, che potrebbe essere addirittura interpretata come un segno mandato dal divino: qualche centinaio di anni fa, forse anche poco più di uno, anche in alcune zone d’Italia queste cose accadevano ancora eh). È dura la vita di chi ha sulle spalle un peso simile.
È per esempio il caso degli albini. Avete mai visto un nero albino? In occidente, mai. Qui ovviamente ci sono. Sono dei neri-bianchi: fattezze, tipo di capelli, corporatura autoctona, ma biondi e con la pelle perfino più chiara della mia. Sono “diversi”, e lo sono sia rispetto ai neri, cui è stato inculcato che i diversi sono loro, anche a casa loro, che rispetto ai bianchi, che si sono, da conquistatori, accaparrati il diritto di decidere cosa sia la “normalità”, più o meno ovunque.
Storie che non ho modo di verificare e che si raccontano a mezza bocca, parlano di sacrifici umani, qui, ancora. Ovviamente non ad Abidjan, diciamo nei villaggi, quelli più lontano dai centri urbani.
Non sacrifichi alla divinità, comunque tu la intenda e con qualunque nome tu la chiami, il tuo uomo migliore, sacrifichi il più debole, quello con meno chances, il malato, la donna sterile, lo storpio, il diverso: quello che, a livello istintivo, preferisci non perpetui la specie.
Le società animali sono piene di cose del genere, quella umana si è evoluta in termini di solidarietà sociale e vede la diversità in maniera diversa, ma non sempre: l’accettazione del diverso è una conquista tragicamente recente, a livello culturale.
Certo, il occidente non si fanno (tranne, nel caso fosse vero, a quanto si dice, poche eccezioni portate avanti da pazzi esaltati) sacrifici umani, ma la diversità, in molti ambiti, fa paura ancora oggi.
Così, tornando al discorso principale, se nella mia cultura
esiste ancora il concetto di sacrificio, sacrifico la seconda scelta, il
diverso, l’albino.
Quando vedo questi ragazzi o bambini per strada (in due anni MAI visti albini più grandi, e questa cosa unita alle voci che ho sentito, mi dà i brividi), provo sempre una gran pena: c’è una società che, se culturalmente elevata, può accettarli ma che istintivamente non li riconosce come parte di se stessa e una che non è pronta ad inserirli nella sua quotidianità. Sono “diversi” qui, sono “diversi” in occidente, sono “diversi” ovunque: hanno caratteristiche che li legano ad entrambe le razze (che poi che brutta parola, “razza”) ma non sono identificabili univocamente in nessuna delle due.
Appartengono alla razza umana: questo dovrebbe bastare per cancellare la loro, e quella di molti altri, diversità.
Temo tristemente che, per questa tappa culturale-evolutiva buona parte del mondo, purtroppo, non sia ancora affatto pronta.
Quando vedo questi ragazzi o bambini per strada (in due anni MAI visti albini più grandi, e questa cosa unita alle voci che ho sentito, mi dà i brividi), provo sempre una gran pena: c’è una società che, se culturalmente elevata, può accettarli ma che istintivamente non li riconosce come parte di se stessa e una che non è pronta ad inserirli nella sua quotidianità. Sono “diversi” qui, sono “diversi” in occidente, sono “diversi” ovunque: hanno caratteristiche che li legano ad entrambe le razze (che poi che brutta parola, “razza”) ma non sono identificabili univocamente in nessuna delle due.
Appartengono alla razza umana: questo dovrebbe bastare per cancellare la loro, e quella di molti altri, diversità.
Temo tristemente che, per questa tappa culturale-evolutiva buona parte del mondo, purtroppo, non sia ancora affatto pronta.
Mai visto un albino nero...Certo che sentirsi emarginati a casa propria non deve essere per nulla semplice. Ci si sofferma solo alle apparenze, ai colori, alle fattezze....che tristi che siamo
RispondiEliminadietro all'avversione per gli albini c'è anche molta superstizione, temo.
EliminaIo stessa che sono abituata alla doversità, rimango sempre un po' turbata quando ne incontro uno, mio malgrado.
Non deve essere affatto semplice, no :-(
In Congo o giù di lì esiste una casa-famiglia che accoglie bambini albini per evitare che nei villaggi siano vittime di sacrifici, come se fossero esseri demoniaci, allucino.....
RispondiEliminagià. Mi sono arrivate voci di sacrifici umani con vittime albine anche qui, ed è terrificante anche solo pensarlo :-(
EliminaRimasi colpita dai Berberi, africani con i capelli abbastanza chiari, lentiggini e occhi verdi...sono (tra le altre cose) bellissimi...ma non di certo ghettizzati così. Non l'avrei mai detto...ma la razza umana è strana.
RispondiEliminaI Berberi sono un'etnia a parte, vivono probabilmente in tribù o comunque tra loro ma hanno un'identità sociale e culturale.
EliminaGli albini, qui, sono bianchi con le fattezze e i capelli da neri (ma biondissimi). Hanno genitori neri, fratelli e sorelle neri e probabilmente faranno figli neri, la cosa purtroppo è diversa :-(
Comunque della "guerra tra poveri", ne parlerò presto, perché è una cosa che lascia davvero basiti!