Si dice
spesso che i bambini devono. Devono imparare, essere
educati, rispettosi, evitare di sporcarsi, parlare per bene, imparare a leggere
e scrivere, sapere disegnare, fare sport, imparare a suonare uno strumento e
via così fino a “renderci fieri di loro”.
Un delirio di corbellerie.
I bambini non devono fare nulla di tutto questo: possono fare alcune di quelle cose e, con il nostro aiuto, ed esempio, soprattutto, imparare a farne altre e a relazionarsi col mondo in maniera sana.
I bambini devono fare una cosa sola: essere bambini.
Ci sono bambini, in questa realtà difficile, che non possono essere bambini, che la guerra, o la povertà, o una cultura che vede l’attenzione parentale in maniera diversa, spinge verso un lavoro, verso lo svendere oggetti e se stessi più o meno sulla stessa strada che porta i miei figli verso il mare. C’è gente, qui, che non esita ad offrirti una poco più che bambina come un piacevole svago tra un bagno e l’altro in piscina, e non puoi farci nulla.
In certe zone del mondo i bambini nascono già con gli occhi pieni di brutture e le spalle curve dei vecchi. La cosa brutta è che non puoi farci, concretamente, praticamente nulla. Puoi salvarne uno, dieci, cento, un milione, ma il cambiamento deve essere mentale e culturale e ha, purtroppo, bisogno di tempo.
L’altro giorno stavo facendo notare proprio questo ai Patati: quanto siano fortunati, quanto ci siano nel mondo (e loro lo vedono ogni giorno) bambini che, al contrario, non possono andare a scuola, imparare, divertirsi e giocare.
Ecco, giocare.
I bambini, se esiste un “devono”, devono giocare. Possono, attraverso il gioco, capire come esprimere se stessi, in positivo o in negativo, possono capire quali sono le loro aspirazioni, i loro interessi, possono scoprire parti di se stessi semplicemente giocando.
Il gioco è da sempre la manifestazione di qualcosa di interiore: il nostro modo, adulti o bambini che siamo, di giocare, a qualsiasi gioco, dice molto di noi, di come ci relazioniamo con gli altri, di come reagiamo agli imprevisti, alle sfide, di come viviamo il perdere e il vincere.
Il gioco che da piccoli è scoperta e coscienza dei propri limiti, da grandi è consapevolezza e sfida. Non bisognerebbe mai smettere di giocare, da soli, con gli amici, coi figli, con persone conosciute da poco, con chiunque.
In casa Latana, oltre ai giochi dei bambini (ne ho parlato, indirettamente, qui), abbiamo anche giochi per noi: di società o di carte, in genere. Giocare con altre coppie, la sera, ha aiutato molto a fare gruppo e a conoscersi. In Italia, facevamo, quando era possibile, lo stesso (memorabile una partita a scarabeo con la fra con le contrazioni mentre si aspettava di andare in ospedale per la nascita del Patato primogenito).
Insomma il gioco, se ne si accetta i limiti e le possibili sconfitte, è un’attività che contraddistingue sì i bambini, ma che dovrebbe rimanere sottilmente permeante anche nella vita degli adulti. Chi gioca, e gioca per il gusto di giocare, è generalmente una persona allegra e vitale.
Con queste premesse non vi stupirà che la fra, appena messo piede, o giù di lì, nel patrio territorio, si recherà ad Expogames, la prima manifestazione del gioco e del fantasy, e lo farà da blogger ufficiale dell’evento (che emozione!!!). Questo significa che la fra si tufferà in un mondo meraviglioso e pieno di gente allegra, cosplayers, giochi di tutti i tipi, libri e riviste di settore!
Ma soprattutto la fra entrerà in un mondo in cui nessuno giudica “infantile” la sacrosanta passione per l’immedesimazione, per il gioco in tutte le sue forme, da quello di carte a quello di ruolo… sembra una cosa banale, ma non lo è. La dimensione del gioco non è, come molti vogliono insinuare, l’ambito in cui si manifesta la “sindrome di Peter Pan”, bensì un qualcosa di molto più articolato e complesso che rimanda all’aspetto dionisiaco della vita, al confronto, alla libertà di divertirci senza condizionamenti esterni, prendendoci una pausa dalla vita di tutti i giorni.
Il gioco è libertà di essere e solo chi è “libero”, in realtà, può giocare. Un aspetto della vita da non sottovalutare, e soprattutto da non dare per scontato, mai.
Un delirio di corbellerie.
I bambini non devono fare nulla di tutto questo: possono fare alcune di quelle cose e, con il nostro aiuto, ed esempio, soprattutto, imparare a farne altre e a relazionarsi col mondo in maniera sana.
I bambini devono fare una cosa sola: essere bambini.
Ci sono bambini, in questa realtà difficile, che non possono essere bambini, che la guerra, o la povertà, o una cultura che vede l’attenzione parentale in maniera diversa, spinge verso un lavoro, verso lo svendere oggetti e se stessi più o meno sulla stessa strada che porta i miei figli verso il mare. C’è gente, qui, che non esita ad offrirti una poco più che bambina come un piacevole svago tra un bagno e l’altro in piscina, e non puoi farci nulla.
In certe zone del mondo i bambini nascono già con gli occhi pieni di brutture e le spalle curve dei vecchi. La cosa brutta è che non puoi farci, concretamente, praticamente nulla. Puoi salvarne uno, dieci, cento, un milione, ma il cambiamento deve essere mentale e culturale e ha, purtroppo, bisogno di tempo.
L’altro giorno stavo facendo notare proprio questo ai Patati: quanto siano fortunati, quanto ci siano nel mondo (e loro lo vedono ogni giorno) bambini che, al contrario, non possono andare a scuola, imparare, divertirsi e giocare.
Ecco, giocare.
I bambini, se esiste un “devono”, devono giocare. Possono, attraverso il gioco, capire come esprimere se stessi, in positivo o in negativo, possono capire quali sono le loro aspirazioni, i loro interessi, possono scoprire parti di se stessi semplicemente giocando.
Il gioco è da sempre la manifestazione di qualcosa di interiore: il nostro modo, adulti o bambini che siamo, di giocare, a qualsiasi gioco, dice molto di noi, di come ci relazioniamo con gli altri, di come reagiamo agli imprevisti, alle sfide, di come viviamo il perdere e il vincere.
Il gioco che da piccoli è scoperta e coscienza dei propri limiti, da grandi è consapevolezza e sfida. Non bisognerebbe mai smettere di giocare, da soli, con gli amici, coi figli, con persone conosciute da poco, con chiunque.
In casa Latana, oltre ai giochi dei bambini (ne ho parlato, indirettamente, qui), abbiamo anche giochi per noi: di società o di carte, in genere. Giocare con altre coppie, la sera, ha aiutato molto a fare gruppo e a conoscersi. In Italia, facevamo, quando era possibile, lo stesso (memorabile una partita a scarabeo con la fra con le contrazioni mentre si aspettava di andare in ospedale per la nascita del Patato primogenito).
Insomma il gioco, se ne si accetta i limiti e le possibili sconfitte, è un’attività che contraddistingue sì i bambini, ma che dovrebbe rimanere sottilmente permeante anche nella vita degli adulti. Chi gioca, e gioca per il gusto di giocare, è generalmente una persona allegra e vitale.
Con queste premesse non vi stupirà che la fra, appena messo piede, o giù di lì, nel patrio territorio, si recherà ad Expogames, la prima manifestazione del gioco e del fantasy, e lo farà da blogger ufficiale dell’evento (che emozione!!!). Questo significa che la fra si tufferà in un mondo meraviglioso e pieno di gente allegra, cosplayers, giochi di tutti i tipi, libri e riviste di settore!
Ma soprattutto la fra entrerà in un mondo in cui nessuno giudica “infantile” la sacrosanta passione per l’immedesimazione, per il gioco in tutte le sue forme, da quello di carte a quello di ruolo… sembra una cosa banale, ma non lo è. La dimensione del gioco non è, come molti vogliono insinuare, l’ambito in cui si manifesta la “sindrome di Peter Pan”, bensì un qualcosa di molto più articolato e complesso che rimanda all’aspetto dionisiaco della vita, al confronto, alla libertà di divertirci senza condizionamenti esterni, prendendoci una pausa dalla vita di tutti i giorni.
Il gioco è libertà di essere e solo chi è “libero”, in realtà, può giocare. Un aspetto della vita da non sottovalutare, e soprattutto da non dare per scontato, mai.
Se si perde la voglia di giocare, di divertirsi, si perde una parte importante di noi.
RispondiEliminaSarà sicuramente una bella esperienza!!!
Viva il gioco! Sempre e dappertutto.
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